Ogni anno nel Duomo di San Giacomo di Innsbruck, in Austria, durante la Quaresima, la rassegna Kunstraum Kirche promuove il dialogo tra tradizione e modernità negli spazi sacri, attraverso opere d’arte contemporanea nelle chiese. Si vuole rinnovare, in chiave moderna, la collaborazione tra chiesa e artisti che ai giorni nostri si sta perdendo. L’arte non più subordinata alla fede, con essa crea un concreto dialogo e un libero confronto. 
 
Il comitato scientifico, da venticinque anni, seleziona un artista a livello internazionale per produrre un’opera site specific da collocare nel Duomo fino a Pasqua. L’edizione 2016 ha come protagonista l’artista tentina Annamaria Gelmi con l’installazione “Oltre il Sacro” in cui riflette tutta la complessità del simbolo della croce. 
Una forma che viene da lontano, alla quale l’artista si è riferita col termine “Perimetri” in quanto memoria delle prime forme architettoniche, come la pianta delle prime costruzioni, quello che solitamente si vede visitando i siti archeologi. In questa forma si racchiudono molti significati non solo religiosi. La croce, come simbolo e forma architettonica, esisteva prima del cristianesimo: era presente nelle piante delle città romane.
 
L’artista non è estranea all’utilizzo di questo simbolo nelle sue opere, spesso protagoniste della sua attività dal 1989 ad oggi. Le forme geometriche richiamano alla mente precise strutture architettoniche, espressioni di un’autentica “geometria poetica” e di una “bellezza estrema, cioè un’armonia assoluta e senza tempo”, come lei stessa le definisce. Gran parte dello studio delle sue opere persegue proprio questa armonia assoluta. Il simbolo della croce in questo caso però, trova nella sua visione di segno primordiale di ordine cosmico non un punto di arrivo, ma un punto di partenza.  È affascinante osservare che, come l’evoluzione che si registra nell’iconografia della croce nel corso dei secoli, anche nel percorso dell’artista questa viene solo in un secondo momento associata alla simbologia cristiana. 
 
Si passa dunque dal significato di cosmico e di divino, non necessariamente religioso, a quello di vita e di morte associato, come vuole la fede, alla speranza e alla resurrezione. 
È in questa nuova visione che “Oltre il Sacro” può essere letta. La grande croce alla base dell’altare, centrale rispetto al transetto, come uno specchio d’acqua, raddoppia la grandezza della cupola grazie a un effetto ottico, ma emana anche un’intensa pulsione al trascendente. Così come la seconda croce, uguale e parallela alla prima, con il suo perimetro luminoso di colore rosso aggiunge, ai riferimenti architettonici, elementi emozionali che intrecciano un rapporto più personale con chi guarda, quasi ad esprimere la tensione verso il mistero che è in ognuno di noi.
 
In una società spesso “profana” ma anche “multiculturale” come la nostra c’è ancora bisogno di parlare di sacro?
“Oltre il sacro”, cioè “Al di là dei santi”, mostra che oggi l’incontro degli orizzonti della comprensione tra religioni ed estetica è possibile. Al tempo stesso domina una sorta di incertezza rispetto al fenomeno ‘religione’, nel cui ampio contesto si immagina inserita la spiritualità, nel suo rapporto con l’estetica.
 
Al centro della visione artistica di quest’opera c’è la croce. Un simbolo che non solo definisce la cristianità ma che fa parte della storia occidentale, delle radici della sua cultura. E’ anche un’opera di riscoperta identitaria?
Un ultimo orizzonte religioso di interpretazione non è, tuttavia, la forma di una croce greca; una forma di “estrema bellezza” e “assoluta  armonia senza tempo” di carattere geometrico puro, ma che racchiude in sè molteplici significati: la memoria dei resti archeologici che troviamo in molti siti, un recinto-limite che chiude uno spazio, uno interno e uno esterno. All’interno si può entrare e definire uno spazio o  qualcosa che delimita una realtà che va osservata solo dall’esterno. In questa immagine vedo le forme primarie dell’architettura, quindi anche lo spazio della memoria consapevole, e per questo l’abituale punto di vista dev’essere infranto.
 
L’arte consente una riflessione più profonda su simbologie o architetture che spesso diamo per scontate anche perchè siamo tanto “abituati” a vederle che ne perdiamo i significati profondi. Dovremmo forse riscoprire l’importanza di avere una visione più artistica nella nostra quotidianità?
Il concetto di estetica e bellezza dovrebbe entrare nel nostro essere quotidiano e il “vedere” esserne il tramite. 
“Bellezza e Verità’” (F. Rella) forse queste parole hanno assunto via via significati diversi, in  contraddizione, fino rendersi invisibili, irriconoscibili e quasi scomparire nel mondo moderno. Ma la ricerca del bello può oggi esprimere il suo senso più alto.
Credo sia importante che ogni lavoro, progetto, schizzo, disegno o installazione, sia  messo a confronto con i temi dell’umanità e quindi alle problematiche del mondo contemporaneo. 
 
Durante il suo percorso artistico si è confrontata anche con gli Usa e la sua società. In Dolomiti-New York sviluppa il tema della contrapposizione tra cultura e natura. Quanto, secondo lei, è diversa la cultura americana da quella italiana? E cosa invece c’è di comune, di condiviso, tra Italia e Usa?
Nel mondo globale dove tutto e tutti si contattano sul web, molto si è appiattito e le differenze si devono cogliere ai margini della cultura ufficiale. E più facile intuire delle differenze all’interno della grande America che nella società globalizzata dove tutto è uguale per tutti. In Italia rimangono forti ed evidenti i legami profondi con la nostra origine storico-artistica, attraverso stratificazioni che vediamo e viviamo anche oggi, e questo, credo, faccia molta differenza.
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