La pittrice francese Jeanne Hébuterne è nota per essere stata l’ultima compagna di Amedeo Modigliani e averne condiviso la tragedia: quando l’artista livornese morì di meningite tubercolare, nel 1920, la donna, al nono mese di gravidanza, si uccise lanciandosi dal quinto piano. I familiari di Jeanne, che disapprovavano la sua relazione con Modigliani, la tumularono nel cimitero parigino di Bagneux, ma nel 1930 ne permisero il trasferimento al cimitero Père Lachaise affinché venisse seppellita accanto all’amato. Il suo epitaffio recita: “Devota compagna sino all’estremo sacrifizio”.
Modigliani lo aveva conoscosciuto appena tre anni prima della tragedia. Introdotta dal fratello André all’interno della comunità artistica parigina di Montparnasse, divennè una modella di Tsuguharu Foujita. La perfezione del suo viso, oltre ai bellissimi e lunghi capelli castano chiaro, le valsero il soprannome di noix de coco, noce di cocco. Desiderosa di una carriera nelle arti, si iscrisse all’Académie Colarossi dove, nella primavera del 1917, conobbe Amedeo Modigliani con il quale andò a vivere, divenendone il suo principale soggetto artistico. Il poco che si trova sulla vita di questa valente pittrice s’incentra sul suo amore devoto e disperato.
Grazie a “Di schiena”, nuovo intenso romanzo della scrittrice siciliana Anna Burgio (Città del Sole edizioni), il lettore può sapere di più sullo spirito e i sentimenti di “Jeanne Hébuterne senza Modigliani”, come recita il sottotitolo. Abbiamo intervistato l’autrice fra i promotori di “Kaos”, festival itinerante nella provincia di Agrigento dedicato all’editoria, alla legalità e all’identità siciliana.
Quando e come ha “conosciuto” Jeanne?
Ho conosciuto Jeanne Hèbuterne grazie a un cantautore che amo, Vinicio Capossela. Nella sua “Modì”, Capossela fa raccontare direttamente a Jeanne gli ultimi istanti della sua storia con Modigliani. Questa figura di donna mi ha incuriosito e così ho cominciato le mie ricerche.
Che cosa vi ha subito unito?
Sono attratta dalle storie di donne dimenticate. Nel libro scrivo che, se esistono vite precedenti, in una di queste sarò stata una donna dimenticata anch’io. Mi ha unito a Jeanne la voglia di ridarle spessore e dignità.
Si sa poco su Jeanne Hébuterne: in che maniera ne ha narrato la storia? Quali elementi ha privilegiato? La sua scrittura quali informazioni mancanti ha rimpiazzato?
Partendo dalle poche basi storiche e artistiche, ho preferito procedere in maniera introspettiva, che è poi quella che mi è più congeniale. Ho cercato di ricostruire la vita privata e il “sentire” di Jeannette, il modo e le emozioni con cui ha attraversato la sua epoca e la sua storia.
La sua arte pittorica quanto ha raccontato di lei in assenza di scritti e diari?
La sua arte pittorica ha cominciato a delineare un ritratto dell’artista da pochi anni, considerato che le sue opere non sono state divulgate fino alla morte del fratello Andrè, che si è sempre categoricamente rifiutato di renderle pubbliche. Dalle opere emerge un’attenzione ai particolari, ai dettagli, al circostante, oltre che una grande sensibilità. Pasternak scrisse di lei che era “una pittrice timida come un sogno”.
La decisione finale della sua vita è stata la coerente conclusione di un percorso personale o di un’indole?
Sembrerebbe di sì. Io dico che lasciò la vita di schiena, così come l’aveva vissuta. Non così era la sua infanzia, ma qualcosa, nel corso della sua breve esistenza, deve averla spinta a diventare un’ombra.
Come scrittrice, pensa che tante donne ancora oggi vivano solo “di schiena”?
È evidente che, per quanto riguarda la condizione della donna, molte cose sono cambiate rispetto ai primi decenni del Novecento. Tuttavia, se le pagine dei nostri giornali sono piene di notizie di femminicidi, se tante donne continuano ostinatamente a voler restare accanto a uomini che le mortificano e le umiliano, ci deve essere una spinta interiore – forse dovuta, e lo dico in maniera semplicistica, a una mancanza di autostima – che le spinge a scegliere per se stesse una strada di sofferenza.
Ha fatto un viaggio sulle orme del suo personaggio? Con quali sensazioni e conoscenze è tornata?
Il viaggio è stato emozionante. Poiché avevo già concluso le mie ricerche e scritto il libro, ho avuto la sensazione di essere a casa, di conoscere già ogni luogo. E mi è accaduto, esattamente come mentre scrivevo, di sentirmi Jeanne, di provare a vivere le sue stesse emozioni.
Mentre scriveva e si avviava alla conclusione del romanzo, era tentata di cambiarne il finale per riscattare Jeanne?
È stata una tentazione che ha attraversato tutta la stesura del testo, tanto che a un certo punto ho anche pensato di desistere, perché non si può cambiare la storia. Ma la passione e l’ossessione per questa giovane e sfortunata donna hanno avuto la meglio.