Questa è la storia di un albero e di un affetto particolare che lo legava a un quartiere di Roma. Può ancora capitare questo, vivaddio, in città metropolitane in cui i rapporti umani stentano a decollare per via della vita sempre di corsa, casa, lavoro, scuola dei bambini e poi sempre uguale, fino alla fine della settimana.
Piazza dell’Alberone è una sorta di ritrovo di un intero quartiere: è posizionato a metà di via Appia, settecento metri più avanti rispetto alla Basilica di San Giovanni.
 
Qui, fino al 1986, sorgeva una quercia di oltre duecento anni, testimone dell’evoluzione del quartiere e pure di eventi storici. Come, ad esempio, quando sotto alla sua capiente ombra, nel luglio del ’43, i giovani antifascisti di Roma si diedero appuntamento nel giorno della caduta di Benito Mussolini.
 
Nel corso degli anni, gradualmente, la quercia si ammalò, attaccata dalle termiti. Si racchiuse quasi in sè stessa, rinsecchendosi, diventando un problema per la comunità perché, così malata, poteva anche cadere mettendo a repentaglio l’incolumità di tanti passanti, sconvolgendo pure la viabilità (la via Appia è una delle arterie più battute della Capitale).
 
Così, ventotto anni fa, la quercia, abbattuta, cedette il passo a un leccio di sessanta quintali, alto quasi dieci metri, cresciuto in Umbria, impiantato sempre in piazza dell’Alberone, uno dei quartieri più a misura d’uomo di Roma, in cui molti abitanti dei palazzi si conoscono e si frequentano. Insomma, i classici condominii in cui se ti manca il sale o la pasta puoi scendere a chiederli al vicino, senza remora alcuna.
 
Quando il leccio venne impiantato – dopo ore di lavoro – il quartiere parve rinascere: non sembrava piazza dell’Alberone senza l’ombra e la maestosità di quell’albero che aveva quasi vegliato, per tanti anni, sugli abitanti. Scese in strada gran parte del rione, quel giorno, per assistere a quella cerimonia. C’era anche la banda, molti portarono bibite e panini. Una festa improvvisata in onore di un albero che rinasceva.
 
Ventotto anni dopo ci risiamo, come per uno schiaffo del destino. All’inizio di novembre piogge torrenziali hanno flagellato Roma e non solo. Il leccio, vecchio e ansimante, scosso dal vento e dalla furia della natura, ha ceduto, perdendo gran parte dei rami, ferendo pure una donna. L’arbusto storico così è sprofondato, portandosi appresso la storia recente del quartiere. Prima la quercia, poi il leccio, ora più nulla. Un vuoto cosmico che ha immalinconito una intera comunità.
 
Così è nata una nuova idea: impossibile pensare a piazza dell’Alberone senza quel suo compagno silenzioso, ma sempre presente. È nato un comitato, con esso una raccolta di firme. Mobilitati giornali cittadini, radio e Tv locali. Il miracolo è avvenuto: pochi giorni fa il Servizio Giardini del Comune ha annunciato che sta già pensando al modo di sostituire il leccio.
 
Sparsasi la voce, il quartiere ha iniziato nuovamente ad aspettare. Mancava qualcosa e quel qualcosa, finalmente, riavrà il suo spazio, ciò che si protraeva dall’inizio del secolo scorso. Una storia romantica, a lieto fine: chi dice che nelle grandi città non ci si commuove più? 
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