La vignetta fece storia: raffigurava negli anni Settanta una cabina telefonica rigorosamente a gettoni (all’epoca cellulari, Iphone e tablet erano pura astrazione) con, affisso sulla cornetta, il cartello “chiuso per ferie”. Un’esagerazione, ovviamente, ma che, all’epoca, rendeva l’idea. Le ferie iniziavano, per l’80% delle persone, il 1° agosto terminando il 31. Le scuole riaprivano ad ottobre, per cui c’era tempo e spazio, anche a settembre, per tornare al mare, ravvivando l’abbronzatura. Interi quartieri svuotati, i cassonetti dell’immondizia senza contenuto.
 
Pare passata una vita intera: in realtà il ricordo illustra uno spaccato italiano di soli quarant’anni fa. Oggi è tutto radicalmente cambiato. Abbondano i quartieri delle grandi città con i negozi aperti. Idem supermercati, farmacie, benzinai. Una volta ti affacciavi sul balcone e ti sembrava di essere il padrone della città. Tanto che i più snob, quasi controvoglia, facevano i bagagli, allontanandosi dalla città per le ferie.
 
Colpa della crisi (un italiano su quattro, stando alle ultime stime, si è venduto l’oro di famiglia), colpa di lauti stipendi che non ci sono più. La realtà di oggi dice che le città non si svuotano, che i cassonetti sono (perlomeno) semipieni. Che si cammina in macchina e si fa pure un po’ di  fila. Ancora la scorsa settimana, sul Lungotevere, nelle vicinanze di San Pietro, c’erano clacson e tante auto in colonna.
 
Restano a casa le famiglie che incassano, a testa, mille euro al mese. Impossibile partire con tutto ciò che la crisi economica promette a settembre: il rischio che l’Imu, la tassa sulla prima casa, si torni a pagare. Il paventato aumento delle bollette. Oltre al rincaro dei generi di prima necessità.
 
Un tempo, neppure tanto remoto agosto, era il mese della spensieratezza. La Fiat chiudeva i propri stabilimenti, dando appuntamento a settembre. Ora la chiusura è quasi indotta per centinaia di lavoratori cassintegrati. Agosto, ovvero i giorni in cui si partiva – tutti assieme – per i mari e per i monti. Tutto pareva sospeso, aspettando l’autunno. Ora non è più il tempo neppure per lo svago, per far evaporare dalla mente i pensieri più torbidi e nefasti. Una volta si caricavano i nonni per un Ferragosto allargato e spensierato. Adesso gli anziani in città – sotto la graticola di trenta gradi e passa – pullulano e, con essi, le richieste di intervento medico.
 
Una volta gli italiani sembravano felici: gli anni Settanta erano l’ultimo retaggio del boom economico vissuto alla fine degli anni ’50. Le prime “Topolino” sostituite dalle “128” o dalla “Lancia”. Quello di oggi, estate del 2013, è l’istantanea di un Paese condannato a non poter più sognare. Governando il presente con mille stenti, per sé e per i propri figli. Una volta – se l’ombrellone e la sdraio costavano più del dovuto – si chiudeva un occhio.
 
Era estate e bisognava quasi accodarsi all’euforia collettiva. Oggi si fa la cresta su tutto. Soprattutto non si va più in vacanza. Preparandosi a un autunno nuovamente in trincea.
 
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