Fu uno dei più grandi baritoni della Lirica italiana. Conobbe e fu amico, tra gli altri, di Enrico Caruso, Beniamino Gigli e Ruggero Leoncavallo. 
Adolfo  Virginio  Pacini era nato il 27 agosto del 1882 a Manoppello, vicino Pescara, da  Arcangelo, cancelliere  di Pretura, e da Concetta Colagrande, donna di casa.  Il padre precedentemente era stato a L’Aquila presso il Tribunale come “commesso da stralcio”, poi come vice-cancelliere presso le Preture di San Buono e Tossicia. Nominato cancelliere, Arcangelo Pacini fu inviato presso la Pretura di Manoppello. Ed è lì, nella casa posta in Corso Santarelli, che Concetta diede alla luce il piccolo Adolfo. 
 
Un aneddoto racconta che la levatrice sentito il suo primo forte vagito disse: “Questo farà il cantante”.  In effetti sin da piccolo, Adolfo mostrò di avere una voce forte ed intonata. A lui venivano deputate tutte le incombenze canore della scuola ed il maestro, un appassionato di lirica, consigliò ai genitori di non sottovalutare quella voce: “Adolfo è un predestinato”. 
 
I genitori, non senza sacrifici,  assecondarono in tutto il talento del figlio e lo mandarono a  studiare presso l’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Qui Adolfo conobbe come maestro, divenendone poi allievo prediletto, il grande baritono Antonio Cotogni. Questi rimase affascinato dalle doti dell’allievo e ne favorì la carriera. Nel 1904 arrivò per Pacini il debutto come baritono al Teatro Dal Verme di Milano nel ”Ruy Blas” e fu subito un grande successo. Ad applaudirlo in prima fila, neanche a dirlo, c’era il suo maestro Antonio Cotogni. 
 
Nel 1905 gli offrirono un contratto per tenere una serie di prestazioni nell’America centrale dove sarà ospite di importantissime personalità ma soprattutto sarà festeggiato dai nostri emigranti. Nel 1907 la tournée negli Stati Uniti ed in Canada. Al suo rientrò in Italia cantò a Bologna nella ”Cavalleria rusticana” e  nei ”Pagliacci”. Poi si esibì a  Pisa e Napoli. Nel 1910 altra tournée in Sud America e al suo rientro, quasi inevitabilmente, la più importante delle chiamate: il “Teatro alla Scala” di Milano. 
 
I critici esaltarono il baritono abruzzese per l’interpretazione in ”Simon Boccanegra” e ”Sigfrido” e nel 1911 è “Il signore di Faninal” nella prima italiana de “Il Cavaliere della Rosa” proprio alla Scala di Milano. Nel 1912 va al “Gran Teatre del Liceu” di Barcellona per ”Manon Lescaut” e ”Romeo e Giulietta”. Nel 1920 si esibì a Il Cairo, due anni dopo a Istanbul.
 
Grandi successi nel 1921 al Politeama Greco di Lecce con “Aida”; nel 1923 al Teatro Regio di Torino nella “Lucia di Lammermoor; nel 1925 al Teatro Mastroieni di Messina nella “Tosca”; nel 1927 al Teatro Adriano “Il Piccolo Marat”; al Teatro dell’Opera di Roma (dal 1927 al 1939)  in “L’Amico Fritz”, “I Compagnacci, “LaTraviata”, “Dafni”, “Fra’ Gherardo”.  Il 24 giugno del 1930, sempre al Teatro dell’Opera di Roma, in “Marta” di Flotow nel ruolo de “lo Sceriffo di Richmond”. 
 
Rimangono per descriverlo meglio alcuni ritagli di giornale e alcune recensioni. 
Quando  interpretò Amonastro  nell’Aida la critica ne fu entusiasta: “Pacini allievo prediletto dell’illustre maestro Cotogni, applaudito per la straordinaria potenza dei suoi mezzi vocali e per un’arte scenica eccezionalmente efficace” o , dopo la Tosca, “Il baritono abruzzese Adolfo Pacini è uno dei più grandi Scarpia di sempre”. 
 
Incise numerosi dischi e alcuni con il grande tenore Beniamino Gigli. Alcune curiosità: Adolfo Pacini nel luglio del 1914 a Montecatini fu, suo malgrado, testimone, e poi paciere nella storica lite tra il compositore Ruggero  Leoncavallo ed il tenore Enrico Caruso. All’inizio degli anni ’20 il nascente regime fascista gli chiese di dare la sua voce, accompagnata dal coro, per l’inno “Il Canto dei Fascisti”. 
 
Sempre negli anni Venti divenne agente dell’Annuario dell’Arte Lirica. Il 28 aprile del 1938 sposò a Roma la sua amata Angela. Negli ultimi anni iniziò a intensificare i ruoli di “cantante buffo” e la sua carriera, che comprese anche ruoli meno importanti, arrivò fino agli anni ’40. Nel 1941 a Messina nell’Atrio del Palazzo Municipale tenne l’ultima sua, applauditissima,  esibizione ne la “La Bohème”. 
 
Subito dopo accusò un malore che lo indusse alla drastica decisione: non canterà mai più. Continuò, invece, a collaborare con il “Teatro Reale dell’Opera” di Roma e a scrivere articoli sulla Lirica per diversi giornali.

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