Cento anni fa scompariva a Copenaghen il pittore Kristian Zahrtmann (1843-1917), maestro per generazioni di pittori scandinavi, che visse una parte significativa della sua vita in Italia ed in particolare a Civita d’Antino, piccolo paese nascosto tra le montagne dell’Abruzzo aquilano.

La figura e la storia di un artista come il pittore danese Kristian Zahrtmann, sceso nella seconda metà dell’800, è assai singolare e solo negli ultimi anni sta riemergendo sia nei paesi scandinavi che in Italia, con eventi e pubblicazioni. In Svezia la storia di questa comunità di artisti è stata raccontata da Johan Werkmaster, con un racconto di viaggio dal titolo “Lärkorna i L’Aquila, Abruzzo, Italiens hjärta”, ed. Carlssons, 2015, che sembra ripercorrere l’impronta letteraria di un nuovo Grand Tour. A Pistoia deve riconoscersi il merito di aver dedicato – nel 1999 – una prima coraggiosa mostra dedicata a Kristian Zahrtmann, che pure aveva realizzato nella città toscana una sola opera, “Matrimonio pistoiese”, ispirata alla tradizione locale legata all’insediamento del nuovo vescovo.

Dieci anni dopo, un’altra mostra – “La lunga strada dal nord” – fu allestita a Pescara, a cura della Fondazione Pescarabruzzo. Negli anni successivi è venuto sempre più ad emergere, dall’oblio seguito al catastrofico terremoto del 1915, lo speciale rapporto che l’artista stabilì con Civita d’Antino. Dopo aver fatto di Roma il terminale del suo primo soggiorno in Italia, il pittore si mosse alla conoscenza di altre località come Portofino, Pistoia, la costiera amalfitana, Sora, per poi approdare nell’estate 1883 a Civita d’Antino. Fu amore a prima vista. Stregato dalla posizione del paese, una terrazza isolata e come sospesa nella Valle Roveto, a oltre novecento metri di altezza, al centro di una corona di montagne.

Come scrisse la storica dell’arte Hanne Honnens de Lichtnberg, che ricostruì la straordinaria esperienza della “Zahrmann Skole”, “… quel piccolo paese di montagna divenne sempre più presente, al punto che Zahrtmann lo ritenne un posto importante per lo sviluppo dell’arte danese”. Dei circa duecento allievi del maestro, provenienti dall’intera Scandinavia, almeno la metà lo seguì anche a Civita d’Antino, con soggiorni più o meno lunghi, soprattutto nel periodo estivo. Seguirono il maestro anche amici artisti come P.S. Kroyer, P. Skoovgard, e altri. Il risultato fu una imponente produzione di opere, non facile da ricostruire.

Una selezione di queste fu addirittura esposta nella mostra “Civita d’Antino af danske kunstenere” (Civita d’Antino dei pittori danesi), che si tenne presso il Kunstforeningen di Copenaghen nella primavera del 1908. Più recentemente l’ambasciatore di Danimarca in Italia Birger Riis-Jørgensen, dopo aver visitato il paese, scrisse che “…per Zahrtmann, e i suoi tanti amici artisti nordici, Civita d’Antino ha rappresentato per molti anni un rifugio meraviglioso dove crescere artisticamente…”.

Il paese, che allora contava duemila abitanti, rappresentava un luogo appartato, isolato dal mondo, raggiungibile – ancora fino agli inizi del novecento – solo attraverso una tortuosa mulattiera che saliva al paese dal fondovalle. Zahrtmann era un romantico visionario, attratto dalla luminosità dei paesaggi, dall’innato senso di ospitalità della popolazioni e dalla disponibilità di modelli.

 Per tutti era il “signor Cristiano”.

E‘ stato ricordato il suo forte rapporto con Civita d’Antino, di cui fu cittadino onorario, mecenate e benefattore dei poveri del paese. Era intimamente legato al piccolo paese, tanto da voler estrosamente denominare “Casa d’Antino” la sua nuova casa a Copenhagen, fatta costruire dopo essere diventato un pittore di successo, come ricorda una targa all’esterno, ancora oggi visibile. Molte le persone presenti al convegno rimaste affascinate dalla storia di Zahrtmann, le quali si chiedevano come era stato possibile che una vicenda così significativa fosse rimasta così a lungo ignorata.

Recentemente è stata presentata una cartolina commemorativa che riproduce un quadro di Johannes Wilhjelm, in cui l’artista è ripreso mentre dipinge nella affollata piazza di Civita d’Antino. Lo storico dell’arte Marco Nocca ha così commentato l’opera: “Il quadro di Wilhjelm del 1905 esprime in sintesi mirabile l’esperienza della comunità d’artisti nordici in Abruzzo.  Al centro del dipinto Zahrtmann, infaticabile caposcuola, è al lavoro al tramonto sulla piazza di Civita d’Antino, su cui si staglia l’infiammata mole del palazzo Ferrante: nel gesto di dipingere “en plein air”, in piena libertà. E’ evidente la stessa ferrea volontà che aveva animato gli Impressionisti francesi, di avvicinarsi alla verità del reale senza mediazioni. Intorno al maestro, concentrato sul suo cavalletto, una comunità ammirata e incuriosita: lo circondano incalzanti i popolani, a spiare il miracolo della creazione artistica, e, a più rispettosa distanza, i colleghi nordici e i notabili del luogo. Sullo sfondo la vita del borgo che continua a scorrere, quasi incurante di ciò che accade, la natura selvaggia dell’Abruzzo: le montagne, paesaggio insolito, di cui gli artisti scandinavi hanno cercato la lingua segreta, cornice dei riti contadini della comunità, e il cielo, di un blu fresco di colore, fondale solenne della vita di tutti i giorni, nella luce dell’Italia”.


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