Cremona's violin maker at work.© Misterbeautiful | Dreamstime.com

If you think of “Made in Italy,” two words spring to mind: quality and tradition. No business seems to embody them better than  violin-making these days. A quintessentially Italian craft, the making of stringed instruments is associated with the  Lombardy town of Cremona since the 16th century. 

Stradivari, Guarneri del Gesù and Amati produced in their times instruments that still bless our stages today, played by some of the most talented musicians. Theirs are the most famous violins in the world, all made in the first half of the  18th century: the Cremonese, the  Vesuvius and the Maréchat Berthier, by  Stradivari; Paganini’s Cannone, made by Guarnieri, and the Collins by Amati. Their techniques and industrious know-how were passed from generation to generation and, then, from an atelier to another, so much so that Cremona became — and still is — the city of luthiers: this is where you go to become one  or to find the violin of  your dreams. 

With more than 160 master luthiers around town, the choice is wide, but their craft doesn’t come cheap, and rightly so: among them, they produce and sell some 7.000 pieces a year, which are usually made on order for high ranked professional musicians. But behind the higher price  tag, you’ll find quality, craftsmanship, dedication to the detail and love for the craft. Having a stringed instrument Made in Cremona is like marrying the  love of your life. 

It takes an average of three months to a luthier to make a single violin (or cello, or viola…) and this is why these aren’t pieces for beginners. Not surprising at all, though: if you have ever learnt to play a musical instrument, you know the first you get is usually a cheap one, sturdy enough to resist the wear and tear caused by inexperienced hands. 

It takes up to three months to a Cremona luthier to make one violin Image by Niek Verlaan from Pixabay

This  is where Chinese instrument manufacturers enter the picture. 

China has  been producing an enormous amount of violins: last year, according to Businessinsider, it churned out 1.5 million of the 2 million pieces sold around the world, against the 6.727 of Italy. Much of the Chinese production falls in the hands of music students, but this is not to say of course, that their instruments are not  good. Just, they are not the same. 

As pointed out by Bénédicte Friedmann, a French violin maker who works in Cremona, in an interview with Megan Teckman-Fullard and her colleagues Dylan Bart and Brittany Stephanis, Chinese violins “are the combination of several hands, whereas the artisan violins made in Cremona have the  luthier’s personality within them.” It may seem simple poetry, but every musician can tell you that there is a truth in the old saying about instruments having a soul: they do, and certainly, the hand of their creator breathes within it. 

The real problem, however, is that while Cremona has, hands down, superior craftsmanship,  tradition and, therefore, products, it cannot compete with China quantity-wise, just like a small, family owned enterprise that makes everything by hand cannot compete with a business that mass produces its products. And while the better quality and iconic, almost sacred status of Cremona’s violins is recognized all over the world, the market remains saturated with  Chinese ones. 

© Filippophotographer | Dreamstime.com

Covid-19 also affected the trade, perhaps more than others, considering that Cremona has been one of the first areas hit by the disease: not only existing orders were cancelled, but with the whole world of music halted because of the pandemic, new ones failed to come in. On  top of that, lack of tourism throughout the winter and the spring meant no visitors for the workshops. At the same time, and in typical Italian fashion — one that shows resilience, self-assurance and an incredible faith in the future — Cremona’s luthiers are confident that this, too, shall pass. Giorgio Grisales, president of Cremona luthiers’ consortium and a violin maker himself for more than 30 years, confided to the Businessinsider that, “The tradition of making violins will survive if whoever holds the  reins of the economy realizes that Cremona and all of Italy is a country of craftsmen.” 

And maybe this is the point: we are a small country, when compared to mastodons like China. Mass production can’t be and shouldn’t be  our aim. Italy is about tradition, about slowness that creates quality, about uniqueness; it’s about objects that’ll last you for  a lifetime and that can become heirlooms, like our grandmothers’ Sunday coats and  shoes, or handmade lace. It’s also about innovation and research, developing new horizons but with our feet sturdily set into the tradition  that made us known in the world. This is why it’s important to keep businesses like that of Cremona’s luthiers alive,  well and for long: because we can learn valuable lessons from them, and not only in making fantastic violins. It’s the precision, the creativity, the love and passion for the craft we need to keep close to our heart because that’s what makes the real difference. 

Se si pensa al “Made in Italy”, vengono in mente due parole: qualità e tradizione. Nessun business sembra incarnarle meglio della liuteria al giorno d’oggi. La costruzione di strumenti ad arco, quintessenza dell’artigianato italiano, è associata alla città lombarda di Cremona fin dal XVI secolo.
Stradivari, Guarneri del Gesù e Amati producevano ai loro tempi strumenti che ancora oggi benedicono i nostri palcoscenici, suonati da alcuni dei più talentuosi musicisti. I loro sono i violini più famosi al mondo, tutti costruiti nella prima metà del XVIII secolo: il Cremonese, il Vesuvio e il Maréchat Berthier di Stradivari; il Cannone di Paganini fatto da Guarnieri, e il Collins da Amati. Le loro tecniche e il loro laborioso know-how si sono tramandati di generazione in generazione e, poi, da un laboratorio all’altro, tanto che Cremona è diventata – ed è ancora oggi – la città dei liutai: è qui che si va per diventarlo o per trovare il violino dei propri sogni.
Con oltre 160 maestri liutai in giro per la città, la scelta è ampia, ma il loro mestiere non è a buon mercato, e giustamente: producono e vendono circa 7.000 pezzi all’anno, che di solito vengono realizzati su ordinazione per musicisti professionisti di alto livello. Ma dietro il prezzo più alto si nascondono qualità, artigianalità, dedizione al dettaglio e amore per il mestiere. Avere uno strumento a corda Made in Cremona è come sposare l’amore della propria vita.
A un liutaio servono in media tre mesi per fare un solo violino (o violoncello, o viola…) ed è per questo motivo che questi non sono strumenti per principianti. Non c’è da stupirsi, però: se avete mai imparato a suonare uno strumento musicale, saprete che il primo che si è di solito uno strumento economico, abbastanza robusto da resistere all’usura causata da mani inesperte.
È qui che entrano in gioco i produttori cinesi di strumenti musicali.
La Cina produce una quantità enorme di violini: l’anno scorso, secondo Businessinsider, ha sfornato 1,5 milioni dei 2 milioni di pezzi venduti nel mondo, contro i 6.727 dell’Italia. Gran parte della produzione cinese finisce nelle mani degli studenti di musica, ma questo non vuol dire, ovviamente, che i loro strumenti non siano buoni. Solo che non sono la stessa cosa.
Come ha sottolineato Bénédicte Friedmann, liutaio francese che lavora a Cremona, in un’intervista a Megan Teckman-Fullard e ai suoi colleghi Dylan Bart e Brittany Stephanis, i violini cinesi “sono la combinazione di più mani, mentre i violini artigianali costruiti a Cremona portano con sé la personalità del liutaio”. Può sembrare semplice poesia, ma ogni musicista può dire che c’è una verità nel vecchio detto secondo cui gli strumenti hanno un’anima: ce l’hanno, e certamente la mano del loro creatore respira al loro interno.
Il vero problema, però, è che se Cremona vanta, senza dubbio, un’artigianalità superiore, una tradizione e, quindi, dei prodotti di qualità, non può competere con la Cina in termini di quantità, proprio come una piccola impresa a conduzione familiare che fa tutto a mano non può competere con un’impresa che produce in serie i suoi prodotti. E se la migliore qualità e lo status iconico, quasi sacro, dei violini di Cremona è riconosciuto in tutto il mondo, il mercato resta saturo di quelli cinesi.
Il Covid-19 ne ha colpito anche il commercio, forse più di altri settori, considerando che Cremona è stata una delle prime zone colpite dalla malattia: non solo gli ordinativi sono stati cancellati, ma con tutto il mondo della musica fermo a causa della pandemia, non ne sono arrivati di nuovi. Inoltre, la mancanza di turismo durante tutto l’inverno e la primavera non ha permesso la visita dei laboratori. Allo stesso tempo, e in un tipico stile italiano che dimostra resistenza, sicurezza di sé e un’incredibile fiducia nel futuro, i liutai cremonesi sono certi che anche questo passerà. Giorgio Grisales, presidente del consorzio liutai di Cremona e liutaio egli stesso da oltre 30 anni, ha confidato a Businessinsider che “la tradizione della costruzione di violini sopravviverà se chi tiene le redini dell’economia si renderà conto che Cremona e tutta l’Italia sono un Paese di artigiani”.
E forse è proprio questo il punto: siamo un Paese piccolo, se paragonato a giganti come la Cina. La produzione di massa non può e non deve essere il nostro obiettivo. L’Italia è fatta di tradizione, di quella lentezza che crea qualità, di unicità; è fatta di oggetti che durano una vita e che possono diventare cimeli, come i cappotti e le scarpe della domenica delle nostre nonne, o i pizzi fatti a mano. Si tratta anche di innovazione e ricerca, di sviluppare nuovi orizzonti ma tenendo i piedi saldamente inseriti nella tradizione che ci ha fatto conoscere nel mondo. Ecco perché è importante mantenere vive, sane e a lungo imprese come quella dei liutai cremonesi: perché da loro possiamo imparare lezioni preziose, e non solo nella costruzione di fantastici violini. È la precisione, la creatività, l’amore e la passione per il mestiere che ci devono stare a cuore perché è questo che fa la vera differenza.

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