Calabria is known for the beauty of its landscape, its food and for its historical connections with Ancient Greece. The region was one of the richest colonies of Magna Graecia,_° and Hellenic culture is still deeply entrenched in some areas, where Greek-based dialects are still spoken today.
Not many, however, know about the connection between Calabria and another neighbor of ours, Albania, a connection that has in the village of Civita and its dialect one of its most vivid representatives. Civita is a small village of about 1,000, in the Cosenza province of Calabria, located in the natural reserve of the Gole del Raganello, within the National Park of Pollino. Just like in the neighboring villages of Ejanina and Frascineto, the people of Civita speak Arbëreshe, a dialect used exclusively by the Albanian minorities of the Bel Paese.
In the province of Cosenza, 25 villages and towns belong to the Arbëreshe community, and Civita is one of them. It was founded in 1471 by Albanian refugees who fled their country to escape Ottoman conquest. In this quietly beautiful part of Calabria, they found protection in Irene Castriota Skanderbeg, wife of the Prince of Bisignano and a relative of Gjergj Kastrioti Skanderbeg, a 15th-century Albanian hero. Here, the Albanian community flourished, keeping their language, habits and traditions alive, including the Greek-Byzantine rite, which is still utilized in the local church of Santa Maria Assunta today.
Some say that the toponymCivita may come from the Arbëreshe word çifti, “couple,” which would refer to the two boroughs of the village, Sant’Antonio and Magazeno; others believe its origin lies in another Arbëreshe term, qifti, which means “eagle,” while others still believe it comes from the Latin word civitas.
Civita is charming, but not in a picture-perfect way: the village carries its scars proudly on its sleeve, yet remains full of beauty. Its center is characterized by narrow alleys called rughe, that join together the village’s many little squares. The old town, especially the borough of Saint Anthony – Sin Andoni, in Arbëreshe – is very characteristic: its homes have very quirky façades, with small windows resembling eyes, large central doors that look like mouths and chimneys to mimic a person’s nose. These dwellings are known as case di Kodra, the homes of Kodra, to honor Albanian-Italian painter Ibrahim Kodra. Indeed, chimneys are something you should check out in Civita because, in the old days, expert craftsmen used to carve embellishments for them, which were used to keep evil spirits away.
In Civita, it’s the village as a whole that charms, and not only because its old 15th-century, traditionally Albanian structure is perfectly preserved. As it often happens in small places, life in Civita almost runs at a different pace and it’s not unusual to find women gathering in the street in front of their homes to chat or to embroider in the company of one another. This alternating of alleys and small squares – known as gjitonia – is a bona fide part of Civita’s social fabric because it is an extension of people’s homes, much like one can see in the kasbahs of Maghreb.
Local cuisine is a delicious mix of Arbëreshe food and Pollino dishes: homemade pasta served with kid ragouts or porcini sauce, hams, gnocchetti with sheep ricotta, roast lamb or goat served with delicious Pollino wines.
Locals here are very proud of their traditional costumes because they are so deeply connected with their Albanian heritage. They are usually richly made with colorful silks and velvets, then embroidered with artistry by local women. Indeed, embroidery is one of the traditional activities of Civita.
Traditions are celebrated also throughout the year in a series of events, including on the Tuesday after Easter when the Vallja, an old ethnic dance with ancient Greek and Illiric roots, is performed in the village’s main squares and alleys. Not long after, on the first three days of May, Civita celebrate its foundation with the Danze dei Falò, a rite recalling the times when the village founders, guided by Giorgio Paleologo Assan, had arrived in the area and used to gather around large bonfires to warm up during cold nights. Today, people gather around the fire to sing traditional polyphonic chants called vjershë.
La Calabria è nota per la bellezza del suo paesaggio, per il suo cibo e per i suoi legami storici con l’Antica Grecia. La regione fu una delle più ricche colonie della Magna Grecia e la cultura ellenica è ancora profondamente radicata in alcune zone, dove ancora oggi si parlano dialetti di origine greca.
Non molti, però, conoscono il legame tra la Calabria e un nostro vicino, l’Albania, legame che ha nel villaggio di Civita e nel suo dialetto uno dei suoi più vivi rappresentanti. Civita è un piccolo paese di circa 1.000 abitanti, in provincia di Cosenza, situato nella riserva naturale delle Gole del Raganello, all’interno del Parco Nazionale del Pollino. Come nei vicini paesi di Ejanina e Frascineto, gli abitanti di Civita parlano l’arbëreshe, un dialetto utilizzato esclusivamente dalle minoranze albanesi del Bel Paese.
Nella provincia di Cosenza, 25 paesi e cittadine appartengono alla comunità arbëreshe, e Civita è uno di questi. Fu fondata nel 1471 da profughi albanesi fuggiti dal loro Paese per sottrarsi alla conquista ottomana. In questa parte di Calabria dalla bellezza tranquilla, trovarono protezione in Irene Castriota Skanderbeg, moglie del principe di Bisignano e parente di Gjergj Kastrioti Skanderbeg, eroe albanese del XV secolo. Qui fiorì la comunità albanese, che mantenne viva la propria lingua, le proprie abitudini e le proprie tradizioni, tra cui il rito greco-bizantino, ancora oggi utilizzato nella locale chiesa di Santa Maria Assunta.
Secondo alcuni il toponimoCivita potrebbe derivare dalla parola arbëresheçifti, “coppia”, che si riferirebbe ai due borghi del paese, Sant’Antonio e Magazeno; altri ritengono che la sua origine sia da un altro termine arbëreshe, qifti, che significa “aquila”, mentre altri ancora credono che derivi dalla parola latina civitas.
Civita è affascinante, ma non in modo perfetto: il villaggio porta le sue cicatrici con orgoglio, ma rimane pieno di bellezza. Il suo centro è caratterizzato da stretti vicoli, chiamati rughe, che uniscono le numerose piazzette del paese. Il centro storico, in particolare il quartiere di Sant’Antonio – Sin Andoni, in arbëreshe – è molto caratteristico: le sue case hanno facciate molto stravaganti, con piccole finestre che sembrano occhi, grandi porte centrali che sembrano bocche e camini che imitano il naso di una persona. Queste abitazioni sono note come case di Kodra, in onore del pittore italo-albanese Ibrahim Kodra. In effetti, i camini sono una cosa da vedere a Civita perché, anticamente, esperti artigiani vi scolpivano delle decorazioni che servivano a tenere lontani gli spiriti maligni.
A Civita è il borgo nel suo complesso ad affascinare, e non solo perché la sua antica struttura quattrocentesca, di tradizione albanese, è perfettamente conservata. Come spesso accade nei piccoli luoghi, la vita a Civita scorre quasi con un ritmo diverso e non è raro trovare donne che si riuniscono in strada davanti alle loro case per chiacchierare o ricamare in compagnia. Questo alternarsi di vicoli e piazzette – la cosiddetta gjitonia – fa parte a tutti gli effetti del tessuto sociale di Civita, perché è un’estensione delle case delle persone, proprio come si vede nelle kasbah del Maghreb.
La cucina locale è un delizioso mix di piatti arbëreshe e del Pollino: pasta fatta in casa con ragù di capretto o sugo di porcini, prosciutti, gnocchetti con ricotta di pecora, arrosti di agnello o capretto accompagnati da deliziosi vini del Pollino.
Gli abitanti del luogo sono molto orgogliosi dei loro costumi tradizionali, perché sono profondamente legati alla loro eredità albanese. Di solito sono riccamente realizzati con sete e velluti colorati, poi ricamati con maestria dalle donne locali. Il ricamo è infatti una delle attività tradizionali di Civita.
Le tradizioni vengono celebrate anche durante l’anno in una serie di eventi, tra cui il martedì dopo Pasqua, quando la Vallja, un’antica danza etnica con radici greche e illiriche, viene eseguita nelle piazze e nei vicoli principali del paese. Poco dopo, nei primi tre giorni di maggio, Civita festeggia la sua fondazione con le Danze dei Falò, un rito che rievoca i tempi in cui i fondatori del villaggio, guidati da Giorgio Paleologo Assan, arrivarono nella zona e si riunirono intorno a grandi falò per riscaldarsi durante le notti fredde. Oggi ci si riunisce intorno al fuoco per intonare i tradizionali canti polifonici chiamati vjershë.
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