Sulla falsariga di uno spiritualismo di matrice cattolica e di un atteggiamento vagamente esistenzialista, alla metà degli anni Trenta si era affermata in Italia la poesia ermetica, così definita dalla critica, inizialmente in senso dispregiativo, a motivo di uno stile oscura, misteriosa e di difficile interpretazione.
Firenze, dopo l’esperienza futurista, si era mantenuta al centro della scena culturale italiana, ospitando nelle sale dell’ormai celebre Caffè delle Giubbe Rosse, le serate del gruppo degli ermetici, che in città contavano, fra gli altri, Mario Luzi, Piero Bigongiari e Alessandro Parronchi. Di questi tre grandi uomini, ricorrono i cento anni dalla nascita, occasione per riscoprire una stagione culturale fiorentina e italiana che si è intrecciata con l’arte figurativa.
Accade con la suggestiva mostra Volti dell’ermetismo. Venturino a Villa Bardini e all’Archivio Bonsanti, a cura di Lucia Fiaschi, una mostra che s’inserisce in un più ampio progetto di riscoperta del Novecento, che proseguirà lungo tutto il 2015.
In quest’occasione, seguiamo il delicato connubio umano fra scultura e poesia, attraverso i ritratti dei protagonisti, nonché si fa luce su Venturino Venturi, scultore e pittore, figura chiave del Novecento toscano e italiano. Nato a Loro Ciuffenna nel 1918, dovette presto trasferirsi in Francia e Lussemburgo, al seguito del padre esule politico; tuttavia, il Pratomagno fatto di boschi secolari, roccia e ruscelli gli sarebbe sempre rimasto nel cuore. Già con la vocazione per l’arte ben chiara, giunge a Firenze nel ’36 sulle tracce di Masaccio, Donatello e Michelangelo. Nello stesso tempo, frequenta le Giubbe Rosse, e l’ambiente dell’ermetismo, che in quegli anni surriscalda il dibattito culturale italiano.
Tuttavia, da artista puro, non aderirà mai a nessun movimento, rifiutando nel ’47 l’invito di Fontana ad avvicinarsi allo Spazialismo. La sua incessante ricerca avrà costanti e spiccati caratteri individuali. La sua carriera artistica si consolida definitivamente nel Dopoguerra, dopo gli anni difficili sul fronte albanese, e le gravi ferite che ne riportò.
Del suo lungo percorso artistico, la mostra è occasione per riscoprire i primi anni Cinquanta e i primi anni Sessanta: a Villa Bardini si potranno ammirare circa ottanta opere, fra cui i ritratti dei protagonisti della grande stagione poetica dell’ermetismo, e, per la prima volta, trenta olii su carta della serie degli astratti, mentre l’Archivio Bonsanti del Gabinetto Viesseux ospita una selezione di ritratti astratti, oltre a vari scritti di Venturi. Che da parte sua era convinto che l’arte fosse specchio dell’uomo, e nei suoi ritratti ha sempre cercato la psicologia, l’intimità, la specificità di ognuno dei soggetti. In mezzo, gli anni bui di San Salvi, dove fu ricoverato per una grave depressione.
L’arte, quella più autentica, che nasce da dentro e non cerca le facili, chiassose platee, è affare da galantuomini, che nel silenzio di un’esistenza appartata danno forma alle loro più intime riflessioni. Nel caso di Venturi, si tratta di avvinarsi a quella “letteratura come vita”, secondo la celebre formula di Carlo Bo, già al centro della visione ermetica, specchio di una condizione storico-esistenziale difficile, stretta tra il regime fascista e l’incombente Seconda Guerra Mondiale, attraverso una scultura che della vita sia capace di narrare gli aspetti più intimi dell’uomo.
Toccanti i volti degli amici poeti: Bigongiari, Luzi, Parronchi, tre uomini, tre personaggi, tre vite, cui Venturino Venturi si avvicina con l’occhio dell’artista e del’amico, immortalandoli in splendidi ritratti scultorei. Particolare forma d’espressività artistica, poetica biografia di forme, ombre e colori, che, con maggior intimità della fotografia, ritrae quella luce dell’anima attraverso la quale l’artista parla di sé, delle sue ambizioni e angosce, dei suoi dubbi e spavalderie, il ritratto è una scelta espressiva particolarmente coraggiosa per chi ne è l’oggetto; è un mettersi a nudo davanti all’artista e al pubblico, sino ad esprimere quasi sempre un’intensità tanto intima da comunicare una certa qual commozione.
I ritratti di Venturi, oltre che indiscussi capolavori scultorei, sono chiavi d’accesso per l’invisibile, nel senso che alzano il velo sull’intima essenza del singolo. In scultura, inizia la sua ricerca partendo da materiali “primitivi”, quali pietra, legno, ferro, quelli che hanno accompagnato da sempre il cammino evolutivo della specie, che gli hanno permesso di affinare lo spirito d’osservazione, la manualità, il senso di appartenenza a una realtà composita, e la consapevolezza di poter modellare questa stessa realtà, di imporle il proprio volere, affermando il suo arbitrio di uomo. L’arcaicità greca e il primitivismo africano, si ritrovano nelle sculture di Venturi, che catturano quel carattere mitico e soprannaturale che forse l’umanità primordiale ha per un attimo posseduto. Il suo astrattismo pittorico è teso a riportare il linguaggio alla sua elementarità, cercando di dare ordine a spazi, bisogni, pensieri, ragionamenti.
Il catalogo della mostra è edito da Polistampa: la pubblicazione è dedicata all’artista toscano e ai legami di quest’ultimo con gli scrittori e i poeti attivi a Firenze nella stagione ermetica. Le ottanta opere tra dipinti e sculture di Venturi, e in particolare i ritratti di Mario Luzi, Piero Bigongiari e Alessandro Parronchi, testimoniano la singolare osmosi che si venne a creare tra poesia e arte visiva nella Firenze del secondo Novecento.
“Da quei volti”, scrive Giovanna Giusti, “di Parronchi, di Bigongiari, di Bergomi, di Luzi e di Ungaretti, della Campo e della Vigo, Venturino traeva linfa per scalfire una materia che si affidava, come la parola, alla sintesi, all’espulsione del superfluo; e lo faceva per il puro interesse a cavarne l’essenza, senza interpretazioni o complicità psicologiche. Per sé. Per tutti”.
I testi sono di Lucia Fiaschi, Susanna Ragionieri, Giovanna Giusti, Nicoletta Mainardi, Franco Zabagli