Venezia, antica porta d’Oriente e da sempre realtà aperta al mondo. Sarajevo, centro di più credo religiosi: cristiano, ebraico e musulmano. Due città idealmente legate da un sentire comune, l’umanità sotto il medesimo cielo sconfinato dove ognuno ha la propria storia e tutti desiderano condividerla pacificamente con gli altri. Venezia ha smesso di combattere guerre da un pezzo. Poco più di vent’anni fa invece, Sarajevo si ritrovò strangolata dalla follia nazionalista della Guerra dei Balcani (1991-1995). Finita l’era di Tito, l’allora Jugoslavia implose. Persone che fino al giorno prima camminavano nella stessa terra, imbracciarono il fucile le une contro le altre. Fu un massacro su tutti i fronti, con apice il genocidio di Srebrenica. Fu un eccidio che interessò poco alla comunità internazionale, o quanto meno non lo dimostrò coi fatti, intervenendo in modo tardivo quando ormai la situazione era precipitata ed espressioni come “campi di concentramento” e “stupri di massa” erano tornate a far sentire il proprio latrato di terrore nel vecchio continente.
Chi al contrario non rimase con le mani in mano fu la società civile e quella politica meno appariscente. Quella dei comuni. Quella della gente. Anche la città di Venezia fece la sua parte, arrivando il 15 maggio 1994 allo storico gemellaggio con Sarajevo mentre quest’ultima pativa ancora sotto il fuoco delle forze serbo-bosniache i cui implacabili cecchini colpivano senza pietà. “I ricordi di quegli anni purtroppo sono quelli tipici di ogni guerra: morti, feriti, gente violentata in tutti i modi” ricorda l’ex-sindaco di Venezia,
Massimo Cacciari, artefice di quella storica unione, “Molto importante per la riuscita del gemellaggio fu Mohamed Kreseliakovic, amico e storico bosniaco ambasciatore di Bosnia in Italia. Ci furono moltissime iniziative a Venezia tra il 1994 e il 1995, dal Premio Campiello al Teatro Goldoni”. E proprio nel 1994, mentre sull’altra sponda dell’Adriatico le truppe agli ordini di Slobodan Milosevic (morto in carcere nel 2006) sparavano contro la popolazione, in laguna, tra i finalisti del sopracitato e celeberrimo premio letterario arrivò anche Margaret Mazzantini. Proprio lei che nel 2009 avrebbe trionfato nell’ambito concorso con il romanzo “Venuto al mondo” (di cui il regista Sergio Castellitto avrebbe diretto l’omonimo film pochi anni più tardi), ambientato quest’ultimo prima, durante e dopo l’assedio di Sarajevo. Un’altra coincidenza a sancire il legame tra Venezia e la capitale bosniaca, durante il secondo mandato come sindaco di Massimo Cacciari, quando alla 64° edizione della Mostra del Cinema (sezione Fuori concorso) venne presentato “The Hunting” Party di Richard Shepard con Richard Gere protagonista. Un film in parte ispirato alla ricerca dell’allora latitante Ratko Mladic, autore del genocidio di Srebrenica.
Sarajevo rimase schiacciata nella morsa dell’accerchiamento per quasi quattro anni, in quello che fu (al momento) il più lungo assedio della Storia post-bellica: dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996. La guerra poi cessò. Furono firmati gli accordi di Dayton e la Jugoslavia venne divisa in più nazioni indipendenti. Il legame tra Massimo Cacciari e Sarajevo è invece proseguito. In virtù della sua azione politica e culturale nel corso del conflitto, fu nominato cittadino onorario della capitale bosniaca e da allora ha continuato a mantenere ottimi rapporti con i suoi rappresentanti politici e culturali, come lui stesso ha confermato. Il 29 febbraio 2016 ha segnato vent’anni esatti dalla fine dell’assedio di Sarajevo.
Esco di casa. Salgo in battello a Venezia. Fin da ora so che non ci sarà alcuna milizia né checkpoint a sbarrarmi la strada verso la mia meta. Attraverso una porzione di laguna fino a sbarcare al Lido di Venezia. Proseguo a piedi direzione mare Adriatico. Davanti a me c’è l’ex-Jugoslavia. Lì ci sono ancora profonde cicatrici. Quelle cicatrici cui Venezia provò a tamponare. Parafrasando le immortali parole della canzone “Miss Sarajevo” interpretata da Bono e Luciano Pavarotti, “C’è stato un tempo che trovavi difficile pronunziare nomi diversi, questo deve essere il tempo per la pace e la convivenza tra i popoli”.