Il Sotoportego dei Preti, teatro della leggenda di Orio e Melusina, si raggiunde in vaporetto dalla fermata della Celestia (Ph.Luca Ferrari)

C’era una volta Orio, un giovane pescatore che nel corso dell’ennesima nottata passata al largo, tra le sue reti, trovò una sirena di nome Melusina. Per entrambi fu amore a prima vista e non passò molto tempo prima che i due decidessero di unirsi in matrimonio. 

La creatura si dichiarò pronta a rinunciare alla sua natura marina, a patto che il pescatore non si facesse mai vedere di sabato sulla spiaggia di Malamocco, sede dei loro incontri notturni. A dispetto della promessa però, spinto dalla curiosità, l’uomo volle andarci e fu allora che vide un gigantesco serpente di mare. Terrorizzato, si mise in fuga fino a quando non sentì la voce dell’amata. La creatura marina era la sirena, vittima di una maledizione. Una condizione che si sarebbe interrotta proprio con le nozze, che ebbero poi luogo. Il classico “vissero felici e contenti” però durò poco. La coppia si amava molto ed ebbe tre figli ma Melusina presto si ammalò e morì. L’inconsolabile pescatore dovette badare da solo ai figli ma qualcosa di strano cominciò ad accadere tra le mura domestiche. Ogni volta che tornava dal mare, la casa era sempre in ordine e pulita, pargoli inclusi.    Chi poteva essere stato? Magari un vicino premuroso? Un giorno, di sabato, rientrato prima del previsto, trovò nella cucina una grande serpe. Temendo per la propria incolumità e quella dei figli, l’uomo uccise la bestia con destrezza e velocità. Dal giorno dopo però, le misteriose pulizie cessarono del tutto. Solo allora capì chi era il serpente. Era lei, Melusina. In memoria di questa sofferta storia d’amore, un cuore di mattoni è stato messo proprio lì, dove visse la coppia.   

Il cuore fra i mattoni della leggenda veneziana (Ph. Luca Ferrari)

Raggiungere il “cuore” della leggenda è un affascinante viaggio dentro la Venezia meno battuta. Se dalla porzione di Riva degli Schiavoni tra San Zaccaria e l’Arsenale, è questione di pochissimi minuti, ben più affascinante e consigliato, è arrivarvi direttamente dal dedalo del sestiere di Castello, smontando (in caso di vaporetto) alla fermata della Celestia. Questa area della città è una Venezia che gli stessi autoctoni non conoscono abbastanza ed è davvero facile (e piacevole) perdersi. Questa porzione dell’antica Repubblica Marinara non è per nulla affollata.   

Dopo essermi imbattuto in una lapide commemorativa che ricorda il periodo vissuto in laguna del poeta e scrittore Ugo Foscolo (1778-1827), arrivo al Sotoportego dei Preti passando da Salizada del Pignater. Secondo le indicazioni il cuore si dovrebbe trovare lì dentro. Entro e non vedo nulla. Attraverso l’intera calle ma niente. Torno indietro. Forse ho capito male. La giornata è assolata, dovrei vederlo facilmente. Non è così. Il cuore c’è ma la luce gioca brutti scherzi ed è totalmente al buio. Finalmente lo vedo, rosso sangue. Tra l’arco in pietra e la parte lignea.  Verona, penso, ha il balcone di Giulietta e Romeo, Venezia il suo cuore d’amore.   

Riprendo la Salizada (una calle larga, ndr) e a pochissimi passi, ecco che sulla sinistra vengo condotto a Campo Bandiera e Moro o de la Bragora, dove sorge l’omonima chiesa di San Giovanni. Un campo da sempre preda di giochi fanciulleschi, in passato come oggi. Lì nel mezzo, tra infinite partite a pallone, disegni coi gessetti colorati sui masegni (lastroni in trachite euganea, ndr), corse a perdifiato, c’è spazio anche per gli innamorati in visita alla Serenissima.   

Sto per andarmene ma ho la sensazione di aver dimenticato qualcosa. Un principio di sentimento o un’ispirazione. Ritorno davanti alla calle del cuore, le sagome di un uomo e una donna mi appaiono nella penombra. Non voglio disturbarli. Attraverso il sotoportego ma di loro non v’è più traccia. Il cuore invece è ancora lì, per tramandare l’amore eterno di Orio e Melusina.


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