Un piccolo profugo con un giubbotto salvagente. Ha in mano un razzo segnaletico da cui esce del fumo rosa. I piedini scemano verso l’acqua del canale.
A disegnarlo sulla facciata di un palazzo disabitato di Venezia, il misterioso street artist inglese Banksy.
L’accusa di imbrattamento è stata archiviata. Nessuna denuncia a suo carico, né richieste di comparizione. L’artista potrà continuare a operare senza pendenze con la legge dell’antica Repubblica Marinara. La sua opera intanto, continua a far parlare di sé. Gli scatti su Instagram e Facebook, si moltiplicano. Cliccando “Banksy” su Google Maps di Venezia, l’applicazione rimanda a “Banksy Street Art” con la collocazione precisa della sua opera: a due passi dalla chiesa di San Pantalon.
E’ ben visibile dall’omonimo ponte e ancora meglio dalla parte opposta del canale, affacciandosi su Rio Novo, dove poi proseguendo si arriva in campo Santa Margherita, anfiteatro della movida giovanile studentesco-veneziana.
La storia di quest’opera è cominciata lo scorso maggio quando Banksy è arrivato in laguna e ha allestito un piccolo stand con dei dipinti a olio da lui realizzati. Messi l’uno accanto all’altro formavano una nave da crociera. Titolo dell’opera: Venice in Oil, un abile gioco di parole per dire la propria opinione su di un tema alquanto spinoso e su cui, attualmente, non c’è ancora nessuna decisione da parte del Governo italiano: le grandi navi a Venezia.
Complici i recenti incidenti, la pericolosità di questi giganti galleggianti è sotto gli occhi di tutti. Nel frattempo però arriva la polizia locale e poiché l’artista che esponeva era privo dei necessari permessi, gli viene intimato di sgomberare. Ed ecco poco dopo comparire sull’account dell’artista tutto il siparietto. Passa qualche giorno e fa la sua comparsa il murales incriminato. È suo o non è suo? A fugare ogni dubbio ci pensa lui stesso. Banksy tocca un altro tema delicato e molto chiacchierato nel Belpaese. L’immigrazione dei cosiddetti “barconi”.
Insieme a Malta e Grecia, l’Italia è la prima terra di sbarco per bambini, donne e uomini. Banksy ha scelto una creatura ancora implume per far parlare dell’emergenza sociale e umana dei nostri tempi.
Banksy ha scelto una città speciale per questo murales. Una città che ha nel suo Dna l’accoglienza. Una città che nel corso della storia è stata un crocevia naturale di culture e ancora oggi, la parte più umanamente nobile della Serenissima si batte con forza perché la Venezia del domani resti la stessa di sempre: un posto accogliente non solo per i turisti danarosi ma anche per chi è alla ricerca di un angolo, una fondamenta o un campiello, per ricominciare a vivere.
Il bambino di Banksy non è un miserabile. Nel suo volto deciso c’è la fierezza e la forza di chi non vuole scomparire. Nel bambino di Banksy c’è la forza della sopravvivenza. Una richiesta silenziosa e orgogliosa. Magari nessuno lo ascolterà ma quel fumo rosa lo vedranno e lo vediamo tutti noi. Non si può ignorare. Lui ci guarda. Ci chiede, pretende una risposta.
Il bambino di Banksy potrebbe essere nostro figlio che parte verso un nuovo mondo che non è la sua città natale.
L’opera di Banksy intanto ha contribuito ad aumentare il valore del palazzo (in vendita) e la Soprintendenza, nel presentare denuncia contro ignoti, ha sottolineato che trattasi di opera d’arte e dunque il futuro nuovo proprietario, qualora non gradisse, non potrà cancellarla ma semmai farla solo rimuovere. Operazione quest’ultima che nessuno si augura. Banksy ha regalato a Venezia un frammento di accogliente umanità pittorica. Ora tocca alla città preservarla e tramandarla.