Quanti napoletani sono costretti a vedere la propria città da lontano per esigenze diverse?
Ciò che accomuna chi risiede all’estero è un sentimento di malinconia che emerge alla vista di una fotografia che ritrae la città in lontananza. Immaginano quel paesaggio incantevole incastonato al centro del Mediterraneo che ha stregato milioni di abitanti e visitatori per le sue geometrie perfette, la forma ondeggiata di un imponente vulcano sinonimo di bellezza e di timore contornato da un cielo azzurro variopinto da candide nuvole bianche.
Vedono Napoli da lontano, ma la sentono vicina, la amano; conservano nella memoria i ricordi delle giornate di stagione trascorse in città: gli amori, le amicizie, le speranze, le paure e le difficoltà. La distanza provoca un improvviso senso di nostalgia nell’emigrante che matura un forte legame di appartenenza con la propria terra d’origine. Ma cosa lo lega alla città?
A Napoli, il cittadino è immerso in un luogo che conta straordinarie bellezze, difficilmente riscontrabili altrove; pochi conoscono la versione pubblicata dal Bureau du Patrimoine Mondial dell’Unesco per l’inserimento, nel dicembre del 1995, del centro storico di Napoli nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti.
I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse le conferiscono un valore universale senza uguali, che ha esercitato profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa. Precisamente, l’area del centro storico indicata nel documento, comprende: una parte dei quartieri di Chiaia e Posillipo, una piccola parte del Vomero, i quartieri San Ferdinando, Montecalvario e San Giuseppe, parte del quartiere Avvocata, una frazione dei quartieri Stella e San Carlo all’Arena, gran parte del quartiere di San Lorenzo, una delle più grandi strutture settecentesche d’Europa: “L’Albergo dei Poveri”, il Corso Vittorio Emanuele (riconosciuto come prima vera “tangenziale” del XIX secolo), i “quartieri spagnoli”, le pendici di Posillipo e tanto altro.
L’area del centro storico di Napoli circoscritta dall’Unesco copre una superficie di circa 350 mila abitanti, rappresenta quindi una parte viva della città. Il legame che si crea tra Napoli ed i suoi abitanti è dovuto anche alle sfumature uniche del suo viver quotidiano. È forse l’unica città d’Europa e del mondo dove convivono: religione e superstizione, amuleti scaramantici e figure di santi, sacro e profano. Il legame che si crea tra gli abitanti e la città esiste, perché Napoli è terra di poesia; il suo golfo, come una madre premurosa, abbraccia le sue tre figlie: Capri, Ischia, Procida ed un vulcano suggestivo all’interno del quale ribolle minacciosa la sua lava circondato da un mare che al solo sguardo effonde quiete nell’aria.
Il legame che si crea tra Napoli e i suoi abitanti è dovuto al suo dialetto, ultimamente riconosciuto dall’Unesco come lingua a tutti gli effetti ed è oggi considerata la seconda lingua ufficiale più parlata dopo l’italiano. La storia, le tradizioni, i riti, la lingua e la poesia a Napoli appartengono al suo popolo che avverte la nostalgia di casa quando si trova altrove, percepisce più di ogni altro abitante la lontananza dalla terra d’origine proprio in virtù delle sue insostituibili bellezze, usanze, tradizioni tali da rendere la città, unica nel suo genere.
Tantissime sono state le canzoni che in passato hanno raccontato il sentimento di malinconia dell’emigrante napoletano, due tra le più celebri sono: “Santa Lucia Luntana”, scritta nel 1919 da E. A. Mario e “Lacrime napulitane” di Bovio – Buongiovanni (1925).
In quest’ultima, il tema dell’allontanamento è interpretato con un canto addolorato e malinconico nel quale il protagonista lascia la famiglia e la sua Patria per cercare lavoro in America: ”E nce ne costa lacreme st’America, a nuje Napulitane! Pe’ nuje ca ce chiagnimmo ‘o cielo ‘e Napule, comm’è amaro stu ppane!”, tradotto: “E ce ne costa lacrime quest’America, a noi Napoletani! Per noi che piangiamo il cielo di Napoli, come è amaro questo pane”.
Basta soffermarsi sulla balaustra di San Martino al Vomero ed accostare l’orecchio in direzione della città per sentire vicino il ritmo fluente di vita del suo popolo, l’attività dinamica del suo movimento quotidiano che riempie l’aria di voci, urla, suoni che fanno di Napoli un palcoscenico d’arte, conservatore di uno spettacolo vivente.