Abitazioni, edifici storici, natura secolare e purtroppo qualche vittima. Tutto in poche ore di furia inaudita. Qualcosa che in Veneto, e in gran parte del Bel paese, ancora non si era visto. Dal mare alle montagne fino alle colline e in pianura, le piogge autunnali non hanno dato tregua e i risultati hanno toccato epiloghi di altissima drammaticità.
A finire nell’occhio del ciclone, moltissime località montane e la città di Venezia dove una marea eccezionale è arrivata a sfiorare i 160 cm. allagando gran parte dell’antica Repubblica Marinara e obbligando le autorità, in via eccezionale, a chiudere per qualche ora piazza San Marco. Disagi a parte per i residenti e i sempre moltissimi turisti, a risentire dell’acqua alta, anzi altissima, la Basilica di San Marco che ha subito danni non indifferenti a causa dell’acqua salata penetratavi. Prima vittima il pavimento a mosaico, quindi il battistero, le colonne, i portoni, i marmi. Un “bagno” che ha toccato i 90 cm ed è proseguito ininterrottamente per ben 16 ore.
Se l’indomani del disastro la città lagunare ha ripreso il suo scorrere quotidiano con maree rientrate nei parametri di stagione, ben diversa è stata la situazione “qualche chilometro” più a nord, nel Bellunese, a cominciare dal Comelico e in particolare dalla Val Visdende (1300 m s.l.m), una delle località più placide e amate di tutta la regione.
Val Visdende è sempre stata un delicato connubio di montagna, torrenti e prati mescolati a boschi. Un autentico e sincero piccolo angolo di paradiso rimasto così fino al 29 ottobre scorso, quando la furia di madre natura si è scagliata con una violenza inaudita distruggendo interi boschi secolari e mutandone il panorama per sempre.
Formata dalla confluenza dei torrenti Cordevole e Londo, da Val Visdende si può scorgere il maestoso Monte Peralba (2694 metri), la seconda vetta per altitudine delle Alpi Carniche e alle cui pendici nasce il Piave, il Fiume Sacro alla Patria, teatro di un epico scontro bellico durante la I Guerra Mondiale tra le truppe italiane e l’esercito austroungarico.
Val Visdende, un luogo di pace d’altri tempi. Un panorama innocente fatto di natura dove anche un piccolo sassolino metamorfico arrivato da chissà dove, ha il fascino di una storia lontana. Una località molto amata dal VII presidente della Repubblica, il partigiano Sandro Pertini, e da papa Paolo Giovanni II, qui sbarcato nel lontano 1987 che la definì Tempio di Dio, inno al Creatore. Le sue parole pronunciate durante la celebrazione della santa messa ancora echeggiano come monito d’amore e speranza: “Queste montagne suscitano nel cuore il senso dell’infinito, con il desiderio di sollevare la mente verso ciò che è sublime”.
Oggi il paesaggio è decisamente cambiato. Alberi sradicati a perdita d’occhio. Uno scenario che per rivederlo com’era, gli esperti parlano addirittura di cent’anni.
Non è andata troppo bene nemmeno ad Alleghe, situata nella parte nord-orientale della Vallata Agordina circondata dal Massiccio del Civetta (3220 metri), e dove il lago omonimo è esondato. La prima documentazione storica del comune bellunese risale a quasi mille anni fa, nel 1185. Una bolla papale di Lucio III attesta il dominio del Vescovo di Belluno sulla Cappella di Alleghe. Allora nessun lago era presente.
Alcuni secoli dopo, l’11 gennaio 1771, ci fu un evento naturale che ne cambiò per sempre la storia. Dal Monte Piz (Alpi di Siusi) si staccò una gigantesca frana che travolse il villaggio di Riete, seppellendo l’abitato di Marin e in parte Fusine, uccidendo 49 persone. L’enorme quantità di materiale, ostruendo il corso del torrente Cordevole (il maggior affluente del fiume Piave), diede origine appunto al lago di Alleghe. Vederlo d’inverno tutto ghiacciato è uno spettacolo notevole.
Nel 2018 la natura è tornata protagonista. In questi travagliati giorni d’autunno, ad Alleghe come a Val Visdende e in molte altre località della provincia di Belluno, la bellezza lascia spazio a preoccupazioni e fatica. La voglia e la forza di ricostruire c’è oggi, come c’è sempre stata. La gente di montagna non è abituata ad aspettare né a lamentarsi. Tutti sono già al lavoro. La comunità montana veneta è viva e continuerà ad esserlo, più energica che mai. Ma per tornare a vedere rigoglioso e fitto il suo magico bosco bisognerà comunque aspettare almeno cento anni.