“Fa freddo nello Scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa”. Una citazione dal suo romanzo più famoso, “Il nome della rosa”, per salutare Umberto Eco, grande uomo di cultura italiano, che si è spento all’età di 84 anni nella sua casa milanese. Un erudito che ha saputo rivolgere il suo sguardo curioso, ironico e critico ad ogni aspetto della società e alla sua progressiva evoluzione, e che ha saputo avvicinare il pubblico italiano e straniero alla buona letteratura italiana.
Nato ad Alessandria il 5 gennaio del 1932, Umberto Eco fu semiologo, filosofo, prolifico saggista, scrittore e collaboratore di grandi quotidiani italiani come “La Repubblica” e “L’Espresso”, sul quale curò la nota rubrica “La bustina di Minerva”.
Dopo una formazione e una militanza cattolica, abbandonò la fede dedicandosi allo studio della filosofia. Si laureò a Torino con una tesi sull’estetica di Tommaso d’Aquino. Dal 1959 al 1975 fu co-direttore editoriale della casa editrice Bompiani che pubblicò tutte le sue opere. Intrapresa la carriera universitaria a partire dal 1961, divenne professore ordinario di Semiotica all’Università di Bologna dove fu anche direttore dell’Istituto di comunicazione e spettacolo del Dams e dove nel 2008 divenne professore emerito e presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici. A partire dal 2010 fu socio dell’Accademia dei Lincei per la classe Scienze Morali, Storiche e Filosofiche.
Concentrandosi sui valori dell’estetica medievale fin dagli studi universitari, Eco sviluppò un interesse profondo per l’affascinante, enigmatica ed allegorica cultura medievale intrisa di superstizioni, pregiudizi, insicurezze e simbologie inquietanti. Quella cultura diventò cornice ed essenza del suo primo romanzo “Il nome della rosa”, opera che cambiò la vita dell’autore. Pubblicato nel 1980 e vincitore del Premio Strega nel 1981, il romanzo, un “giallo” ambientato nel 1327 in un’abbazia benedettina dell’Italia del nord, fece il giro del mondo tradotto in cento lingue e riscontrò un successo tale da legare per sempre il nome di Umberto Eco alle indagini del frate Guglielmo da Baskerville, chiamato a scoprire il responsabile di misteriose morti di monaci che poi ispirarono l’omonimo film thriller, vincitore a sua volta di numerosi premi. Lo diresse Jean-Jacques Annaud nel 1986 ed è ricordato per l’interpretazione di Sean Connery nei panni del protagonista monaco-investigatore.
Nonostante “Il nome della rosa” conquistò la critica e il pubblico in Italia e all’estero, Eco non si fece scrupoli a dichiarare a distanza di anni: “Io odio “Il nome della rosa”. Odio questo libro e spero che anche voi lo odiate. Di romanzi ne ho scritti altri e sono migliori”. Come spesso accade, infatti, il nome di uno scrittore viene associato alla sua prima opera soprattutto se questa è di successo.
Il professore erudito diede il suo contributo a diversi ambiti di studio e di cultura. I saggi di Eco sullo studio dei mass media nella cultura di massa confluirono nelle raccolte “Diario minimo” (1963), “Apocalittici e integrati” e “Trattato di semiotica generale” (1975). La prima opera scuscitò interesse e scalpore per l’articolo “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, in cui l’autore riportava a scopo esemplificativo il comportamento del noto presentatore italoamericano Mike Bongiorno e il suo successo per spiegare l’appiattimento mentale prodotto dagli effetti sociologici della televisione nel boom degli anni ’50.
Tra gli altri romanzi scrisse “Il pendolo di Foucault” (1988), satira sull’interpretazone di fatti veri e leggendari della storia e sulle sindromi di complotto, “L’isola del giorno prima” (1994), “Baudolino” (2000), “La misteriosa fiamma della regina Loana” (2004), “Il cimitero di Praga” (2010) e “Numero zero”, forte critica al giornalismo contemporaneo italiano e globale.
Mai sazio di cultura e di iniziative, lo scorso novembre diede inizio a quella che sarebbe stata la sua ultima impresa: la nuova casa editrice “La nave di Teseo” lanciata dopo aver rifiutato di restare in Bompiani in quella che lui chiamava “La Mondazzoli”, la fusione tra Mondadori e Rcs. Vincente questa sua ultima sfida, “La nave di Teseo” gli sta regalando, anche dopo la morte, grandi soddisfazioni con la vendita di oltre 75mila copie in un solo giorno del suo libro pubblicato postumo “Pape Satàn Aleppe”, raccolta di articoli dalla rubrica “Bustine di Minerva” che l’autore aveva attentamente scelto e selezionato.
L’intellettuale contemporaneo per eccellenza, con una vita dedita allo studio del passato e del presente, si aggira tra i libri raccolti sugli scaffali della sua grande casa resa un’immensa e labirintica biblioteca. Migliaia le persone (lettori dei suoi libri, ex studenti, amici eruditi, gente del mondo della cultura e autorità istituzionali) che hanno partecipato ai funerali svoltisi in una cerimonia laica al Palazzo Sforzesco di Milano.
Il grande vuoto lasciato sarà colmato dal grande contributo fornito alla società e alla cultura nel corso degli anni e la sua “eco”, in un gioco di parole che sarebbe stato gradito alla sorniona ironia dello scrittore, continuerà a farsi sentire.