Il Santuario di San Romedio nelle vicinanze di Sanzeno in Val di Non, Trentino, è un noto luogo di pellegrinaggio (Ph Luca Ferrari)

La chiamata di Dio. L’abbandono di ogni ricchezza e la scelta dell’eremitaggio. Pace mistica e natura. Ad attenuare la solitudine, solo un grande esemplare di orso. La storia-leggenda di Romedio è ancora molto sentita in Val di Non, nella provincia autonoma di Trento. Fedeli ma non solo, si recano ogni anno al Santuario di San Romedio. Amanti della montagna, dell’arte o semplici curiosi visitano il complesso formato da cinque chiesette sovrapposte e una ripida scalinata di 131 scalini che le unisce, oggi custodito dai frati dell’ordine di San Francesco d’Assisi.
Abbandonate le placide piste di Passo Predaia (1254 m s.l.m.), proseguo il viaggio nel cuore della Val di Non. Quale che sia la persona interpellata, sono tutti concordi. Non si può dire di essere stati nella vallata trentina senza aver fatto tappa al santuario di San Romedio. Non mi faccio tanto pregare e punto diritto.

Interni del complesso di San Romedio (Ph. L.Ferrari)

Nel percorrere la strada su quattro ruote all’interno della suggestiva pineta di Coredo, noto con curiosità fedeli (o gitanti) che stanno puntando alla medesima direzione, camminando però parallelamente su di un sentiero nella roccia. Un percorso tra i più suggestivi di tutta Europa che non presenta nessuna difficoltà ed è consigliato anche per i bambini.
Finalmente eccomi in cima dove in anni recenti è stato creato un apposito parcheggio. L’aria è fredda. Fin dai primi passi si percepisce subito un’atmosfera particolare. Pur non avendo fatto alcuno sforzo fisico, provo una certa fatica. Il complesso che si presenta davanti a me è composto da una prima chiesa edificata attorno all’anno 1000, quindi tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI vennero realizzate la Cappella di S. Giorgio, la Chiesa di S. Michele e la Chiesa maggiore di S. Romedio, tutti in stile gotico-clesiano così come il campanile e l’ultima, la Cappella dell’Addolorata. Un grosso zaino balla sopra le mie spalle ma non sono arrivato fino qui per riposare e così inizio la mia lenta salita fino in cima dove sono custodite le spoglie mortali di Romedio di Thaur, vissuto tra il IV e il V secolo d.C.
Infine lui. L’orso, l’animale simbolo di questo loco sacro. Se oggi proviene dai Carpazi dopo un lungo e tragico viaggio chiuso in una piccola gabbia, l’affinità del posto con questa tipologia di animale affonda nella leggenda, quando Romedio stesso, lungo la strada che lo avrebbe portato a incontrare Vigilio, il Vescovo di Trento, incontrò un orso che sbranò il suo cavallo. L’anziano però ebbe il coraggio di avvicinarsi, riuscendo a domarlo e così a proseguire fino alla sua meta sul suo dorso. L’orso divenne poi il suo unico compagno di vita quando Romedio scelse la vita dell’eremitaggio.

Il santuario è costruito su una rupe calcarea alta oltre 70 metri (Ph. L. Ferrari)

A partire dagli anni ’50 e dal primo grosso esemplare, Charlie, ci sono sempre stati altri ospiti nell’area faunistica adiacente al santuario, appositamente creata. Oggi l’attuale occupante dell’area si chiama Bruno. Dopo la sua liberazione, rimase una decina d’anni nel Parco Nazionale D’Abruzzo fino al 2013 quando venne portato qui, libero di scorrazzare in un’area di un ettaro, ovviamente con tutte le cure e attenzioni possibili. Come tantissimi prima di me, mi piazzo lì intorno al recinto dove è vietatissimo lanciare qualsiasi cosa da mangiare e da bere, com’è specificato in italiano, inglese e tedesco. L’animale non è avvezzo a sessioni fotografiche così aspetto invano fino all’ora degli inevitabili saluti. Provo a immaginarmelo rintanato dentro, al calduccio nella sua tana, simile al simpatico e disneyano Koda. Un’ultima occhiata al più interessante esempio di arte cristiana medioevale in trentino. Uno sguardo alla volta celeste e torno a casa. Alla prossima, Bruno.


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