Every family has its own Christmas traditions, but in Italy, the holiday season in its entirety, including non-religious celebrations, loves desserts. From Milan’s Panettone to Verona’s Pandoro, from Piedmont’s Tronchetto di Natale to Bologna’s Panspeziale, from Siena’s Panforte to Lazio’s Pangiallo, from Naples’ Struffoli to Puglia’s Cartellate, from Sicily’s Buccellato to Sardinia’s Pan’e saba. And then, there are torroni, mostaccioli, nucatoli, ricciarelli, zelten, fichi chini and other specialties like parozzo or gubana.
This delicious list could go on and on because every region offers an incredible variety of delicacies. Italy is a country with a multifaceted culinary identity. It is a country where folklore articulates the rhythms of small communities; of quiet, composed valleys; of the countryside’s mellow lifestyle, and the frenzied one of the cities. It is a country where the holiday season gives us a great mix of traditional desserts. Each of them has its own history, its recipe, which can sometimes change from one household to the other, its customs. If they could speak, each of them would ask us to forget about diets and calories, because they are not just part of a mouthwatering culinary journey, but of a tradition, of a community and its rituals, some of which happen in the kitchen.
Indeed, tradition is the ingredient all festive recipes have in common. Sense of belonging – to a community, a nation, a group – is built also at the table, and we should all be invested in valorizing our cultural heritage.
Our grandmothers’ recipes belong to our memories, they traveled across Italy and the oceans, they transcended epochs and trends: they are, today, an important signifier of our local, regional, and national communities. From them, we all inherited a common know-how that, despite small differences, represents a central identitarian element for towns and territories across Italy. A tourist and cultural attraction, but also something to be proud of.
The same can be said for the craftsmanship that characterizes so many of our traditional cakes and sweets. Their ingredients reveal the variety of raw materials Mother Nature offers to Italy from North to South, and their reinterpretation often speaks of how we adapt to the place where we study, work or decide to live. More than anything else, however, they show our wish not to cut ties with the place we come from, with memories and with the people we love, because even the smallest of pastries can bring to mind memories sweeter than custard.
In this sense, we can often find excellent reinterpretations of our tradition’s most classical cakes, sometimes quite far from the place they originated from: they are the result of a fusion of our best traditional products and recipes. This is synonym with a quintessentially Italian way to make do with what’s available, because if one ingredient is difficult to find – perhaps the harvest has been bad, or money is scarce – we can use another, and create something different, a “new tradition.” It may sound like an oxymoron, but in truth, it only represents the way renewal takes place day after day.
In the end, food is like a language: it is the expression of a territorial reality, a vestige of past cultures, a daily evolution that develops through use, fantasy, experience, and the creativity typical of the Italians.
But, just like a language, food needs rules and discipline so that its quality and recipes are respected: neither can be compromised for commercial reasons especially if the final aim is to exploit a delicacy filled with history to transform it into a sad imitation of itself.
Lower prices mean that quality has been diminished and resources taken away from those who have been making and passing on products mirroring the depth and meaning of our extraordinary heritage. This is why, everywhere in the world, people who love Italy must work daily to protect its traditional products, just as they must protect the language from corruption and impoverishment to develop further a living part of their identity without forgetting the originality and history of where it all began. Composer Igor Stravinsky once aptly wrote: “A true tradition doesn’t represent a past that ended, but a living force that shapes the present.”
Ogni famiglia ha la sua tradizione per Natale ma in Italia le feste di fine anno, anche quelle non legate alle ricorrenze religiose, sono sempre accomunate da un grande classico: il dolce.
Dal Panettone di Milano al Pandoro di Verona, dal Tronchetto di Natale del Piemonte al Panspeziale di Bologna, dal Panforte di Siena al Pangiallo laziale, dagli Struffoli di Napoli alle Cartellate di Puglia, dal Bucellato siciliano al Pan’e saba sardo, senza dimenticare torroni, mostaccioli, nucatoli, ricciarelli, zelten, fichi chini o altre specialità come parozzo o gubana.
L’elenco delizioso potrebbe essere lunghissimo posto che ogni regione offre una varietà incredibile di prelibatezze. L’Italia delle tante identità culinarie, che vive del variegato folklore che scandisce i ritmi comunitari dei piccoli borghi, le silenziose e compassate valli, la vita lenta nei paesi di provincia e le frenesie cittadine, nel periodo delle feste di fine anno propone una gran varietà di dolci caratteristici. Ciascuno ha la sua storia, la sua ricetta che a volte varia di casa in casa, la sua usanza. Ciascuno rivolge l’invito a dimenticarsi di diete e calorie perché compiere questo viaggio gastronomico nei sapori aromatici e golosi delle feste, è un sollecito non solo a leccarsi i baffi ma a partecipare alla ricorrenza, a sentirsi parte di una comunità con i suoi riti che si consumano anche in cucina.
La tradizione è in realtà l’ingrediente che accomuna tutte le preparazioni che sono sinonimo di festa. Il vero senso di appartenenza non può che esprimersi anche a tavola e l’impegno di tutti deve essere la valorizzazione del proprio patrimonio culturale.
Dalle ricette delle nonne, che fanno parte dei ricordi di tutti noi e che hanno viaggiato su e giù per l’Italia, oltrepassato gli oceani e attraversato epoche e mode per riemergere come un valore importante all’interno delle comunità locali, regionali e nazionali, deriva un saper fare diffuso che nonostante piccole varianti rappresenta un elemento di identità centrale per caratterizzare le città e i territori. Un vero vanto, oltre che un richiamo, a livello culturale e turistico.
Esattamente come l’artigianalità che contraddistingue la fattura di molti dei dolci tipici.
Gli ingredienti svelano le materie fornite da madre natura dal Nord al Sud del Paese, e le loro rielaborazioni spesso raccontano gli adattamenti al luogo dove si vive per studio, lavoro o scelta di vita. Ma soprattutto confermano la voglia di non recidere i legami con il luogo di provenienza, con i ricordi e persino con gli affetti, visto che un semplice pasticcino può riempirsi di ricordi dolci più della crema pasticcera. In questo senso, spesso si trovano ottime reinterpretazioni dei dolci più classici anche molto lontano dai luoghi di partenza, risultato di interessanti contaminazioni che mettono insieme il meglio dei prodotti tipici delle tante città italiane con le vecchie ricette. Questo richiama un modo tutto tricolore di adattarsi alle difficoltà, perché se manca quell’ingrediente, magari non disponibile a causa di un’annata magra o di difficoltà economiche, se ne inserisce un altro che però crea qualcosa di nuovo, una “novella tradizione”, che può sembrare un ossimoro ma che semplicemente descrive la quotidianità del rinnovamento.
Il cibo, in fondo, è come una lingua: espressione di una realtà territoriale, sedimento delle culture che hanno attraversato i secoli, evoluzione quotidiana che si plasma con l’uso, la fantasia, l’esperienza e con la creatività tipica degli italiani.
Ma il cibo, come una lingua, ha bisogno di regole, di “disciplinari” che ne garantiscano la qualità e l’aderenza a una ricetta che non può essere stravolta a mero uso commerciale, soprattutto da chi vuole sfruttare il nome di una specialità che ha attraversato i secoli imbevendosi di storia, per trasformarla in una triste imitazione. Un prezzo minore dice che qualcuno ne ha svilito la qualità e sottratto risorse a chi inventa o tramanda prodotti in grado, da soli, di raccontare la profondità di un trascorso collettivo di straordinario valore.
Per questo, in ogni angolo del mondo, chi ama davvero l’Italia deve impegnarsi ogni giorno per salvaguardare i prodotti tipici del BelPaese, così come deve difendere la lingua dalle storpiature e dall’impoverimento, per aiutarne lo sviluppo quale parte pulsante e vitale della propria identità, continuando a coltivare quel rapporto fedele con le tradizioni del Paese d’origine, senza tuttavia perdere di vista l’originalità, il punto di partenza, la storia. Il compositore Igor Stravinsky scriveva in proposito: “Una vera tradizione non è la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che anima e informa di sé il presente”.
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