Silver and slight, anchovies belong to the Engraulidae family and are common in the seas surrounding Italy, which means they are common also on our tables, regardless of where we are: from North to South, anchovies are perhaps the most ubiquitous of all ingredients, up there with tomatoes and Parmigiano.
They are incredibly rich in omega-3 and can be used for every dish: you can marinate them in lemon, olive oil, and parsley and have them as a starter; you can sauté them with olive oil and garlic, and add an extra kick to your aglio olio e peperoncino and, of course, you can have them deep-fried, as a main dish.
Crucially, though, anchovies are also found where you least expect them, like in some traditional dishes from Piedmont — a region that has no sea — like vitello tonnato or bagnet verde (an aromatic sauce made with parsley, olive oil, garlic and anchovies, and served usually with meats).
Undoubtedly, the large availability of this type of fish in our seas explains why it became so popular, but there is no denying anchovies are incredibly good, whichever way you decide to have them.
Beside availability and taste, however, there are also other historical and pragmatic reasons behind such popularity. In ancient Greece, people used to love anchovies just as much as the Romans were to do some decades laters. The connection is highlighted by a tradition, that of the Menaica anchovies, typical of Pisciotta, near Salerno. For those among you who may not know, the menaica is a net used to catch anchovies and it is considered the first step in the preservation of this small but delicious fish. Once on board, fishermen use special traditional techniques to clean and preserve anchovies, including — still today — a type of colatura, or fish sauce, made following a wholly-Greek method. This type of colatura is, in fact, different from its more famous cousin, that produced in Cetara, which is made following a Roman method.
Indeed, we can’t really speak about anchovies without mentioning garum at least once. This fermented anchovy sauce, which many compare to the traditional Thai fish sauce made in the same way, was, so to speak, the “ketchup” of ancient Rome: it was served with everything, you could add it to virtually all dishes and Romans were crazy about it. In fact, its production made entire areas of the Republic first and the Empire later incredibly wealthy, including the coast of Campania and the city of — yes, you guessed it — Pompeii.
A straight line connects old garum to today’s colatura di alici from Cetara (Campania), which is something not far from a myth. Known across the world and revered as much as precious, magic gold, it is a Slow Food Presidium and obtained a DOP denomination in 2020. It has the color of amber and it is obtained from the maturation of anchovies in salt, following ancient Roman methods: its “younger” variety is light, yet incredibly tasty, and has become a staple in the kitchen of many a famous chef, especially to dress pasta. However, the aged variety should be approached the way you approach a fine aged whisky, homemade grappa or moonshine: with caution! Its strong flavor is not for the faint-hearted, so much so it is sold only in small, 50 ml bottles.
Up North, preservation techniques allowed to transport anchovies inland, following the ancient Vie del Sale, “salt roads,” commercial routes that connected Liguria and France to the Pianura Padana and Tuscany. In ancient times, when refrigeration didn’t exist, salt was the only method to preserve food and was, therefore, an incredibly valuable substance that could be exchanged for cereals, wine and other products typical of the Italian northern regions. Salted anchovies became a staple in the culinary tradition of regions like Piedmont and Lombardy, where the sea was just a far-away image in the mind, and were often used during the war to add flavor to otherwise anonymous dishes.
Classics like bagna cauda (Piedmont, a warm sauce made with olive oil, anchovies and garlic, and served as a dip with bread and raw vegetables), vitello tonnato (also from Piedmont, thinly sliced veal served with a sauce made with boiled egg yolk, anchovies and olive oil) and ossobuco (Lombardy, a type of braised veal shanks) are all famous dishes that use salted anchovies to strengthen flavor.
But fresh anchovies are just as delicious and they are especially popular in the South: in Sicily, they are used in many pasta dishes and also marinated in lemon and olive oil. In fact, anchovies are incredibly important in the region: they were once known as the “paupers’ bread” and they are not only considered an essential ingredient but also central to the Sicilian cultural tradition: here you can even find a museum, the Museo dell’Acciuga in Bagheria, dedicated to them.
In Calabria, anchovies are roasted with peppers, while in Campania they become one of the main attractions on the Christmas Eve table: fresh ones are cooked alla piattella or fried, while those preserved in salt are an important ingredient in the iconic insalata di rinforzo.
Back up North, in Liguria, they are made into a soup named bagnum, which is served with the typical galletta del marinaio, small, round, dried focaccias particularly popular among sailors of times gone, as they could last long on ships due to their texture.
And then, how can we forget about pizza with anchovies, or salted anchovies on fresh, sliced tomatoes or on roasted peppers? And how delicious are they when served on a slice of homemade bread with lashings of butter? Let’s face it, anchovies can make the simplest of meals a feast for kings.
Argentee e leggere, le acciughe appartengono alla famiglia degli engraulidae e sono comuni nei mari che circondano l’Italia, il che significa che sono comuni anche sulle nostre tavole, indipendentemente da dove ci troviamo: da Nord a Sud, le acciughe sono forse il più onnipresente di tutti gli ingredienti, con pomodori e parmigiano.
Sono incredibilmente ricche di omega 3 e possono essere utilizzate per ogni piatto: potete marinarle in limone, olio d’oliva e prezzemolo e mangiarle come antipasto; potete saltarle in padella con olio d’oliva e aglio, e aggiungere un tocco in più al vostro aglio olio e peperoncino e, naturalmente, potete mangiarle fritte, come piatto principale.
L’aspetto cruciale, però, è che le acciughe si trovano anche dove meno te lo aspetti, come in alcuni piatti tradizionali piemontesi – una regione che non ha il mare – come il vitello tonnato o il bagnet verde (una salsa aromatica fatta con prezzemolo, olio d’oliva, aglio e acciughe, e servita solitamente con le carni).
Senza dubbio, la grande disponibilità di questo tipo di pesce nei nostri mari spiega perché è diventato così popolare, ma non si può negare che le acciughe siano incredibilmente buone, in qualsiasi modo si decida di mangiarle.
Oltre alla disponibilità e al gusto, tuttavia, ci sono anche altre ragioni storiche e pragmatiche dietro tale popolarità. Nell’antica Grecia, la gente amava le acciughe proprio come i Romani avrebbero fatto qualche decennio più tardi. Il legame è evidenziato da una tradizione, quella delle alici di Menaica, tipiche di Pisciotta, nel Salernitano. Per chi non lo sapesse, la menaica è una rete utilizzata per catturare le alici ed è considerata il primo passo per la conservazione di questo piccolo ma delizioso pesce. Una volta a bordo, i pescatori utilizzano speciali tecniche tradizionali per pulire e conservare le acciughe, tra cui – ancora oggi – un tipo di colatura, o salsa di pesce, fatta secondo un metodo greco. Questo tipo di colatura è, infatti, diverso da quello più famoso, prodotto a Cetara, secondo un metodo romano.
In effetti, non si può parlare di acciughe senza menzionare almeno una volta il garum. Questa salsa di acciughe fermentate, che molti paragonano alla tradizionale salsa di pesce thailandese fatta allo stesso modo, era, per così dire, il “ketchup” dell’antica Roma: si serviva con tutto, si poteva aggiungere praticamente a tutti i piatti e i Romani ne andavano pazzi. Infatti, la sua produzione rese incredibilmente ricche intere aree della Repubblica prima e dell’Impero poi, compresa la costa della Campania e la città di – sì, avete indovinato – Pompei.
Una linea retta collega il vecchio garum all’odierna colatura di alici di Cetara (Campania), che è qualcosa non lontano da un mito. Conosciuta in tutto il mondo e venerata quanto l’oro prezioso e magico, è un Presidio Slow Food e ha ottenuto la denominazione DOP nel 2020. Ha il colore dell’ambra e si ottiene dalla maturazione delle acciughe sotto sale, secondo antichi metodi romani: la sua varietà “giovane” è leggera, ma incredibilmente gustosa, ed è diventata un punto fermo nella cucina di molti chef famosi, soprattutto per condire la pasta. Tuttavia, la varietà invecchiata dovrebbe essere approcciata come si approccia un buon whisky invecchiato, una grappa fatta in casa o un moonshine: con cautela! Il suo sapore forte non è per i deboli di cuore, tanto che viene venduto solo in bottigliette da 50 ml.
Al Nord, le tecniche di conservazione hanno permesso di trasportare le acciughe nell’entroterra, seguendo le antiche Vie del Sale, percorsi commerciali che collegavano la Liguria e la Francia alla Pianura Padana e alla Toscana. Nell’antichità, quando non esisteva la refrigerazione, il sale era l’unico metodo per conservare il cibo ed era, quindi, una sostanza incredibilmente preziosa che poteva essere scambiata con cereali, vino e altri prodotti tipici delle regioni italiane del Nord. Le acciughe salate divennero un punto fermo nella tradizione culinaria di regioni come il Piemonte e la Lombardia, dove il mare era solo un’immagine lontana nella mente, e furono spesso usate durante la guerra per aggiungere sapore a piatti altrimenti anonimi.
Classici come la bagna cauda (piemontese, una salsa calda fatta con olio d’oliva, acciughe e aglio, e servita come intingolo con pane e verdure crude), il vitello tonnato (anch’esso piemontese, carne di vitello tagliata sottile servita con una salsa fatta con tuorlo d’uovo sodo, acciughe e olio d’oliva) e l’ossobuco (lombardo, un tipo di stinco di vitello brasato) sono tutti piatti famosi che usano acciughe salate per rafforzare il sapore.
Ma le acciughe fresche sono altrettanto deliziose e sono particolarmente popolari al Sud: in Sicilia, sono usate in molti piatti di pasta e anche marinate in limone e olio d’oliva. In effetti, le acciughe sono incredibilmente importanti nella regione: un tempo erano conosciute come il “pane dei poveri” e non solo sono considerate un ingrediente essenziale, ma anche centrale nella tradizione culturale siciliana: qui si può persino trovare un museo ad esse dedicato: il Museo dell’Acciuga di Bagheria.
In Calabria le acciughe vengono arrostite con i peperoni, mentre in Campania diventano protagoniste della tavola della vigilia di Natale: quelle fresche vengono cucinate alla piattella o fritte, mentre quelle conservate sotto sale sono un ingrediente importante dell’iconica insalata di rinforzo.
Tornando al Nord, in Liguria, vengono trasformate in una zuppa chiamata bagnum, che viene servita con la tipica galletta del marinaio, piccole focacce rotonde ed essiccate particolarmente popolari tra i marinai di un tempo, in quanto potevano durare a lungo sulle navi grazie alla loro consistenza.
E poi, come dimenticare la pizza con le acciughe, o le acciughe salate con i pomodori freschi affettati o sui peperoni arrostiti? E quanto sono deliziose se servite su una fetta di pane casereccio con una spruzzata di burro? Ammettiamolo, le acciughe possono rendere il più semplice dei pasti una festa da re.
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