La terra trema. Ancora. A quasi 72 ore dalla prima devastante scossa (6.0 Richter) che ha sconvolto i borghi di Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto più una cinquantina di centri minori tra Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, la natura sembra non essersi ancora placata. 4.8: questo il grado dell’ultima scarica che dal sottosuolo si è abbattuta di nuovo proprio su Amatrice, rendendo inagibile uno dei ponti che portano alla città, fondamentale per i soccorsi. Una scossa altamente distruttiva che è spiccata sul migliaio dello sciame sismico e che ha anche bloccato per qualche ora i soccorsi, dal momento che era troppo pericoloso anche per i soccorritori continuare a scavare in mezzo a edifici sempre più pericolanti.

Il numero delle vittime intanto continua a salire: 278 secondo l’ultimo dato certo fornito dalla Protezione Civile. Un conto che si avvicina sempre di più ai 309 del terremoto de L’Aquila dell’aprile 2009, che pure colpì un territorio molto più densamente popolato. E fa sensazione pensare che i salvati dalle macerie, 238, siano meno dei morti. Un sisma micidiale, che ha distrutto interi paesi e intere famiglie, lacerandone altre e provocando una ferita tremenda a un territorio che viveva soprattutto di bellezza. Del fascino di quei borghi che adesso non ci sono più e che tutti i sopravvissuti vogliono che rinasca.

“Vogliamo ricostruire tutto com’era”, dice il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi. E anche il governo Renzi sembra andare nella stessa direzione, cambiando totalmente strada rispetto ai progetti delle “new town” perseguiti nel 2009 in Abruzzo dall’esecutivo Berlusconi. Il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio dice che spetterà proprio ai sindaci decidere cosa fare con i fondi. Che per adesso ammontano a circa 50 milioni di euro, necessari per affrontare le prime emergenze.


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