Poco meno di una decina erano le bande di briganti armate di schioppi, revolver e stili, organizzate come veri e propri reparti militari che infestavano i territori intorno alla Majella, attive dal 1861 al 1867. Alcune in particolare si dividevano i versanti occidentale e orientale della montagna. Tutte, in un alternarsi di fusioni e disgregazioni, passarono alla storia con la denominazione significativa di Banda della Majella.
Anche Il Morrone, che non difettava di angoli selvaggi e appartati, offriva sicuri rifugi ai briganti per cui le formazioni militari regolari dell’esercito piemontese e della Guardia Nazionale, abituati a ben altri campi di battaglia, non ebbero vita facile.
Tra i briganti più temuti del 1861 era ritenuto Antonio La Vella di Sulmona che capitanava la banda detta anche dei Sulmontini la quale operò isolatamente nella Valle Peligna, fino al Bosco di Sant’Antonio e Pescocostanzo, ma non superò mai i 30 elementi. Essa si rese famosa per alcuni omicidi e innumerevoli furti. Tutti i componenti della banda furono processati e condannati nell’ottobre del 1863.
Molto attiva fu anche la Banda degli Introdacquesi, che ebbe come rifugio ideale i fitti boschi del monte Plaia, nonché le montagne fra Introdacqua, Scanno e Frattura. A Pacentro fu molto attiva la banda capeggiata dal bracciante Pasquale Mancini, diventato brigante dopo essere evaso dal carcere nei primi mesi del 1861 che insieme a Luca di Caramanico emergerà tra le file dei latitanti, evasi, sbandati dell’esercito borbonico.
Le terre nei dintorni di Pacentro, Roccacasale, Sulmona, Pettorano e Pratola Peligna Campo di Giove e Popoli, comuni a ridosso della montagna, erano oggetto sistematico di omicidi, sequestri, furti, estorsioni da parte dei briganti nativi di quei luoghi tra cui vi furono i fratelli Marinucci di Sulmona e il più famoso Fabiano Marcucci detto Primiano di Campo di Giove che fino al 1866, data del suo arresto, montagna dopo montagna portò le sue scorribande dall’aquilano al chietino, dal Molise al casertano.
Tristemente famosa per la sua crudeltà la banda del brigante Mecola del chietino composta anche di soldati borbonici, che, nel dicembre del 1860, gettò il panico nei paesi di Arielli, Ari, Canosa, Tollo, Miglianico, Orsogna Vasto. Non meno crudele di Mecola fu Domenico Valerio il “Cannone” che insieme ad altri malfattori si diede al crimine senza alcun alibi politico e con la sua banda infuriò nel 1867 uccidendo nei casolari del vastese decine di contadini che si erano rifiutati di collaborare con lui, seminando terrore senza che le autorità riuscissero a fronteggiarlo a causa dell’omertà che si era creata.
La forza e la baldanza e il successo dei briganti erano dovuti anche allo scarso numero dei soldati dell’esercito regolare.
Meno crudele e più amante delle beffe e degli scherzi fu il brigante Vincenzo Tamburini che agì nel circondario di Sulmona. Egli rimase nella leggenda per i suoi travestimenti con i quali si faceva beffa dei carabinieri presentandosi nei modi più impensati come quando, vestito da venditore di coltelli rubati all’Esercito, si presentò ad un ritrovo di ufficiali in un caffè di Sulmona senza che nessuno lo riconoscesse.
Infine, tra le bande più temibili e longeve (si sciolse solo nel 1871), può essere annoverata quella capeggiata da Croce di Tola, pastore di Roccaraso. Fu protagonista di numerosi misfatti, ma in particolare era un abile autore di biglietti di ricatto con i quali otteneva soldi, vestiti e generi alimentari, indispensabili al proprio sostentamento e a quello dei suoi gregari. Il 5 giugno del 1871 venne catturato vivo e condannato a morte per fucilazione nel 1872, pena poi convertita all’ergastolo. Questo arresto, insieme alla cattura nel 1871 di Primiano Marcucci di Campo di Giove, segna la fine del brigantaggio nella Valle Peligna.
Solo nel 1870, con la soppressione delle “zone militari” e dello stato di guerra nelle provincie del Centro Sud, si poté dire ufficialmente chiusa la repressione militare del brigantaggio, ma non la “Questione Meridionale”.
Le bande sono state annientate, l’ordine ristabilito: lo Stato ha vinto, il silenzio scende sui perdenti. Le “gesta” di alcuni tra i briganti più noti e temuti, diventeranno ben presto il soggetto di molte leggende popolari. Un rapporto di amore-odio, simpatia e timore da sempre espressione degli ambienti sociali più umili: “i cafoni veggono nel brigante il vindice dei torti che la società loro infligge” dichiarava nel 1863 il Generale Govone.
TAVOLA DEI BRIGANTI
La Majella, imponente ed aspra, che domina il paesaggio abruzzese, suscita un grande fascino offrendo ambienti naturali unici, ma anche importanti testimonianze storiche. Tra queste ultime, una delle più originali è rappresentata dalla “Tavola dei Briganti”, un insieme di lastroni calcarei affioranti in quota, sui quali briganti e pastori hanno graffito i loro nomi, le loro storie, i simboli delle loro vite.
L’area si trova sulla Majelletta, poco oltre il Blockhaus. In questa località, nel 1866 le truppe sabaude per contrastare il Brigantaggio avevano costruito nel cuore del loro territorio rifugio un avamposto fortificato. I briganti venivano nottetempo ad irridere i soldati piemontesi, incidendo i loro nomi e lasciando i loro messaggi antiunitari proprio a due passi dal fortino. La più nota e la più interessante così recita: “Leggete la mia memoria per i cari lettori. Nel 1820 nacque Vittorio Emanuele Re d’Italia. Prima era il regno dei fiori, ora è il regno della miseria”. Sul calcare chiaro e compatto si mescolano e si sovrappongono nomi di fuorilegge e pastori.
La Tavola dei Briganti è raggiungibile da Passo Lanciano attraverso un itinerario che, partendo dal rifugio Cai Sezione Majella “Bruno Pomilio”, segue la ex strada, o in alternativa una traccia di sentiero, fino alla Madonnina. Da qui si prende il sentiero che aggira a destra la vetta del Blockaus e lo si segue lasciando tutte le deviazioni. Passata la cima di Monte Cavallo si giunge ad un incrocio, sulla destra, indicato da una freccia e da un omino di pietra, si segue il sentiero che sale leggermente fino a raggiungere le rocce con le incisioni.