Per il bel tempo c’è da aspettare ma, almeno con lo spirito, si tenta di scacciare il tetro inverno: lo si fa con il Carnevale. Il momento della trasgressione, quello in cui si realizza il desiderio di dimenticare gli affanni della vita dedicandosi a un mondo di fantasia. Il Carnevale in Sardegna ha mille volti affascinanti. Quello antico dei suggestivi carnevali barbaricini che, con le loro ancestrali maschere antropomorfe e zoomorfe, le vesti di pelli di capra, orbace e campanacci, rievocano riti misteriosi e danze propiziatorie. Quello vibrante dei carnevali a cavallo, come quello che va in scena a  Oristano (“Sa Sartiglia”), durante il quale i cavalieri devono infilare in corsa una stella di metallo, auspicio di buon raccolto, e quello di Santulussurgiu (“Sa Carrela ‘e nanti”) nei quali i cavalieri mostrano il loro valore, coraggio e abilità, sfidandosi in corse temerarie per il centro cittadino. 
 
Il Carnevale sardo non è solo una manifestazione folkloristica, è qualcosa di più. Una festa antica che rappresenta il risveglio della terra e conserva ancora notevoli valori socio-culturali legati al mondo arcaico tanto che esso culmina con la distruzione di un fantoccio, auspicio di tempi migliori. 
 
SARTIGLIA DI ORISTANO
Nel panorama del Carnevale sardo, quello di Oristano, che si svolge l’ultima domenica e l’ultimo martedì di Carnevale, fa eccezione in quanto è privo del classico fantoccio. L’emblema è una stella forata su cui si incentra la Sartìglia. L’entusiasmo del pubblico si traduce in calorosi applausi tutte le volte che una spada o uno stocco riescono ad infilare la stella. Il consenso della folla non è soltanto un tributo all’abilità dei cavalieri, ma esprime la gioia per qualcosa di più importante che riguarda tutti. La giostra equestre è, infatti, legata al mito agrario: quante più volte la stella, simbolo della fecondità, verrà infilzata, tanto più sarà abbondante il raccolto. La famosa corsa all’anello, secondo alcuni studiosi, ha avuto origine fra il Cinquecento ed il Seicento in Spagna e Portogallo e si è rapidamente diffusa in Italia. Spagnolo è anche il nome del protagonista della gara, Su Componidòri, e cioè il maestro d’armi. La giostra, nata a livello di competizione cavalleresca, poco a poco si è trasformata in festa popolare e, di conseguenza, ha acquisito rilievo nel campo del folklore. Secondo la tradizione, la Sartìglia oristanese risalirebbe al XV secolo e da allora ha mantenuto inalterata la sua struttura: la Sartiglia è preceduta dalla vestizione de Su Componidòri, un rito importante per il significato che assume: dare sacralità al capo corsa, al quale non è consentito appoggiare i piedi a terra. Assiso sopra un tavolo, Su Componidòri viene abbigliato da giovani donne. Sul volto dell’uomo si applica una maschera e sul capo gli si fissa un velo nuziale (sa mantìglia), su cui si appoggia un cappello a cilindro. Sul petto è appuntata una camelia bianca; al fianco gli viene agganciata la spada ed agli stivali gli speroni d’argento.
 
Completata la vestizione, Su Componidòri è sollevato a braccia ed issato sul cavallo riccamente bardato che è stato introdotto nella sala. I poteri magici del capo corsa rimarranno intatti finché non metterà piede a terra; come quando il fulmine perde la sua carica al contatto con la terra così anche il capo corsa perderebbe la sua potenza e la sua maestria necessaria per una buona riuscita del compito che gli è stato affidato. All’uscita sono ad attenderlo altri cavalieri che hanno il compito di scortarlo e partecipare alla giostra.
 
Contemporaneamente si invocano i santi per assistere Su Componidòri con una formula precisa: “Santu Giuànni t’aggiù- didi” (San Giovanni t’aiuti), la domenica; “Santu Giusèppi t’assìstada” (San Giuseppe t’assista), il martedì successivo. Con sa pipìa de màiu, (bambina di maggio), uno scettro floreale, anch’essa simbolo primaverile di fecondità, su componidòri benedice la folla e si avvia verso il punto dove si svolgerà la gara. Qui, al centro della strada, è issato con due funi l’anello forato a forma di stella. Raggiuntolo, il capo corsa vi passa sotto tre volte ed altrettanti saluti propiziatori rivolge alla folla che si assiepa ai lati. Si allontana, quindi, di un centinaio di metri, così da aver spazio sufficiente per la rincorsa e, mentre rullano i tamburi, inizia la galoppata con la spada tesa per infilare l’anello. La sequenza viene ripetuta molte volte sia dal Componidòri che dagli altri cavalieri, alcuni dei quali si servono dello stocco anziché della spada. Le prodezze dei cavalieri continuano in un’altra zona della città, dove saranno protagonisti di spericolate pariglie. Dal 1984 è stata inserita, nel lunedì che intercorre fra le due Sartiglie, una Sartigliètta, e cioè un’identica gara che ha per protagonisti i ragazzi.
 
CARNEVALE DI MAMOIADA
A Mamoiada, paese del centro della Barbagia, situato a poca distanza dal massiccio del Gennargentu e dal Supramonte di Orgosolo, il fascino e l’atmosfera del Carnevale attirano ogni anno migliaia di turisti. Il secolare Carnevale di questo paese è decisamente il più carico di mistero. Ne sono protagonisti i tradizionali mamuthònes e issochadòres. I primi portano sul viso una maschera lignea tragica (sa bisè- ra), che vuole esprimere la fatica ed il dolore. I secondi indossano pantaloni di velluto scuro, camicia bianca, corpetto rosso e cappello; danzano eseguendo passi di notevole difficoltà, che imparano da bambini, e sono dotati dell’inseparabile soca, una lunga fune di giunco che usano come lazo. I mamuthònes sfilano per le strade del paese con un passo pesante, quasi avessero i piedi incatenati. All’unisono portano avanti il piede sinistro dando un colpo con la spalla destra; poi fanno il contrario.
 
Ogni tanto compiono tre passi rapidi per ricadere a terra più pesantemente. Il tutto accompagnato dal ritmo dei campanacci che i mamuthònes portano sulla schiena, “sa carriga”, dal peso di circa 30 kg, che contribuiscono a rendere lugubre la marcia. Nessuno di essi si permette di parlare, cosicché il fascino della sfilata è affidato interamente alla gestualità. Gli issochadòres, invece, lasciano trasparire la gioia, mentre si spingono in ogni direzione tentando di prendere al laccio gli spettatori. La sfilata è un rito augurale all’arrivo della buona stagione. Ad essa nessuno può rifiutare un invito, anche se viene dal peggior nemico. Le origini del carnevale di Mamoiada, conosciuto anche come “la danza dei Mamuthones”, sono oscure, molte sono le ipotesi che sono state avanzate, nessuna effettivamente dimostrabile. Secondo alcuni il rito risalirebbe all’età nuragica e sarebbe nato come gesto di venerazione a protezione degli animali, per difendersi dagli spiriti del male o per propiziare il raccolto. La parola Mamuthones è stata anche ricondotta al greco “Maimon” che significa “colui che smania, che vuole essere posseduto dal dio” (nella lingua sarda odierna il termine significa pazzo o “buono a nulla”).
 
Gli Issohadores derivano invece il nome da “soha”, “lunga fune” (originariamente fatta di cuoio, oggi è un laccio in vimini), sono i guardiani dei Mamuthones. Secondo altre tradizioni, i Mamuthones sarebbero i prigionieri Mori catturati dai sardi Issohadores. Una interpretazione della ritualità del carnevale di Mamoiada riguarda il passo cadenzato dei mamuthònes che sarebbe solo una espressione propiziatrice agraria, per cui il pestare con violenza il suolo esprimerebbe il desiderio di sollecitare la produttività dei terreni. Ma c’è anche chi vede nel comportamento d’assieme delle due maschere la rappresentazione dell’assoggettamento dei buoi (i mamuthònes) da parte dei mandriani (gli issochadòres). Le maschere fanno la loro apparizione in occasione della festa di Sant’Antonio tra il 16 e il 17 gennaio poi la domenica di carnevale e il martedì grasso. In conclusione ogni Carnevale sardo che si rispetti, offre l’occasione per fare scorpacciate di zìpulas, che sono le più raffinate tra le frittelle, dei tipici dolci sardi, e poter, infine, affogare le tristezze e le delusioni nel vino o, meglio ancora, nel profumato vernaccia.

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