Per la sicurezza alimentare dei lettori de L’Italo-Americano abbiamo intervistato Silvia Bisotto, responsabile del Dipartimento Sicurezza Alimentare dell’associazione “Movimento del cittadino”  che ha sede a Roma. 
 
Può illustrare ai nostri lettori, che cosa si intende per contraffazione alimentare?
Contraffare significa sostituire un alimento con un altro di minor pregio, ma che presenta caratteristiche affini. Può essere ricondotta alla sofisticazione o all’adulterazione (modifica volontaria della composizione dell’alimento), ma sempre allo scopo di guadagnare dallo spaccio di un prodotto di basso pregio con un altro di qualità superiore.
 
Il “made in Italy” è indiscutibilmente imitato in ogni settore. Quali sono i dati oggettivi, della contraffazione applicata al settore alimentare?
Intorno alla contraffazione del “made in Italy” gira un business milionario. Se consideriamo anche il fenomeno dell’italian sounding. Ricordo lo sconvolgente dato della relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione che, a livello mondiale, stima il giro d’affari dell’italian sounding maggiore di 60 miliardi di euro l’anno, 164 milioni di euro al giorno. 
  Silvia Bisotto, responsabile del Dipartimento Sicurezza Alimentare  

  Silvia Bisotto, responsabile del Dipartimento Sicurezza Alimentare  

 
Proprio per le loro mire economiche, i contraffattori falsificano i prodotti al top del made in Italy: denominazioni geografiche protette come le Dop e le Igp (ovvero prodotti come Parmigiano Reggiano, prosciutto di Parma, vini blasonati), prodotti tipici del Belpaese (mozzarelle, spaghetti, salse di pomodoro) e prodotti simbolo della dieta mediterranea come l’olio extra vergine di oliva.
 
E quali sono i rischi per la salute dei consumatori?
La contraffazione è essenzialmente una frode merceologica: spaccio e vendo un alimento per un altro di maggior pregio guadagnandoci sulla differenza di prezzo. Ad esempio, vendo un vino da tavola come un vino a denominazione. In questo caso è solo il portafogli a rimetterci. Quando però per contraffare si usano materie prime scadenti o prodotte senza il rispetto di regole di igiene sanitaria, oppure si interviene sul prodotto con sostanze tossiche o pericolose per la salute umana allora anche la salute del consumatore è in pericolo. 
 
Quali sono i casi più eclatanti di prodotti contraffatti nel mondo che sfruttano “l’italian sounding”, ossia l’utilizzo di  nomi simili alle etichette italiane, per confondere il consumatore e smerciare prodotti di altra provenienza?
Il caso delle imitazioni del Parmigiano è il primo che mi viene alla mente: ripercorrere tutte le sue declinazioni linguistiche è veramente grottesco! Parmesan, Parmesanito, Parmesao…oppure penso al prosciutto: Daniele Ham o il Prisecco.  E ancora il Parma Salami prodotto in Messico, la salsa Roman Style dalla California e il Pesto ligure dalla Pennsylvania. Giusto per citare gli esempi citati del rapporto Agromafie Coldiretti e Eurispes presentato pochi giorni fa a Roma. Ma è sufficiente mettere in etichetta i colori della bandiera italiana per cadere in un prodotto “che suona italiano” ma che di italiano ha poco e niente. 
 
Il danno per l’economia italiana e per i consumatori esteri è più alto quando vittime dell’Italian sounding sono tipicità riconosciute come le Dop o le Igp: il cittadino straniero pensa di comprare un Pecorino Romano Dop pagandolo un prezzo alto e in realtà acquista un simil formaggio prodotto non nella regione Lazio italiana e per di più da latte di mucca!
 
In realtà l’Italian sounding potrebbe essere definito anche come una subdola tecnica di marketing. 
Rimasi stupita quando lessi i risultati della  ricerca del 2009 “L’arte del cum vivere” del Censis e Federalimentare. Nell’indagine si intervistavano corrispondenti stranieri in Italia riguardo a cosa collegassero l’immagine dell’Italia. Questa risultava fortemente correlata al tema della cucina e della gastronomia, tanto che la cucina rappresentava il primo fattore di riconoscibilità del nostro Paese per gli stranieri, ponendosi addirittura prima delle città d’arte, delle arti figurative, del paesaggio naturale, del genio creativo nell’alta moda, dei successi sportivi nel mondo del calcio o del motociclismo.
 
In conclusione, come ci si può difendere? Cosa in particolare, i consumatori, debbono controllare per non incorrere in simili frodi?
Di fronte a un’etichetta alimentare contraffatta il consumatore stesso ha pochi strumenti per difendersi. Spesso servono indagini molto specializzate per riconoscere il “fake”. Ma questi pochi strumenti se conosciuti e uniti a una seria attività di controllo e prevenzione possono portare buoni frutti. 
Innanzitutto imparare a leggere le etichette, valutando le informazioni quali l’indicazione di origine e i marchi di qualità. 
 
Imparare a conoscere gli alimenti. Un esempio eclatante può essere l’olio extra vergine di oliva. È importante trasmettere al consumatore il concetto di qualità dell’olio, intesa sostanzialmente sotto 3 aspetti: qualità merceologica (che fa riferimento alle categorie di olio che possiamo trovare in commercio e qui entra ancora in gioco l’etichetta), qualità salutistica e qualità sensoriale. 
 
Non che i cittadini debbano diventare degli assaggiatori di olio, ma la differenza tra un olio vergine realizzato con mix di olive di scarsa qualità e origine differente e un olio  extra vergine italiano (penso ai prodotti provenienti dalla Sabina o dalla Puglia) può essere riconosciuto anche da palati poco allenati.
Infine è essenziale collaborare con gli istituti preposti al controllo: i consumatori possono inviare segnalazioni soprattutto quando rilevano canali distributivi non rispettosi delle regole come ad esempio le vendite porta a porta di olio non etichettato.
 

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