(Photo :© Claudia Merighi | Dreamstime.com)

Some objects tell us about the crafts that created them. Crafts with a long history made of techniques, tools, and skills improved through experience and trained by the slow, quiet toiling of the workshop. Crafts that developed through knowledgeable hands, blessed with secrets passed on from one generation to the other. 

When we are on holiday and we visit an Italian city, we often buy a piece of local craftsmanship to have a memory of the beauty we are experiencing, which is typical of so many places in Italy. Charming little objects that enchant us from the storefronts, or that are often created in front of buyers, to show how they are manufactured. On these occasions, we should reflect on what we buy. 

What we get isn’t mass-produced, it doesn’t come from a soulless factory’s assembly line. What we are packing into our suitcase is a tiny fragment of an immense knowledge, often acquired through centuries and built on experience. Even more importantly, with our purchase we supported quality and not the ugly “made in plastic” that comes from some place miles away from the Belpaese: horrible, fake objects so many buy because they are cheap. When we buy authentic Murano glass, or Volterra alabaster we contribute to bringing Italian know-how around the world. We, in other words, support a slice of Italian culture. 

From the enchanting ceramics of Caltagirone, in the Sicilian province of Catania, to Tuscany’s own leather, famously produced in cities like Arezzo; from hand-wrought iron made by Vicenza’s blacksmiths to Sardinia’s delicate filigree, where metal becomes as light as feather. Even walking into a bakery or a pasticceria can be enough to experience the sublime art of Italian manual craftsmanship. Martorana fruit is way more than candy, it is quintessential art. When we shape and color almond pasta reale, transforming it into peaches, apricots and cherries, we pay respect to the creativity of those Benedictine nuns who, centuries ago in Palermo, came out with this ingenious idea to colorfully decorate their bare, winter orchard for a special occasion. 

If you go to Olmedo, in Sardinia, when there is a wedding, a christening, an engagement, or any other important liturgical feast, you don’t eat simple bread, you eat pane fioridu (bread in bloom). Talented home bakers, following what can be considered a true family ritual, shape and work the dough sapiently and transform it into works of art. The same can be said of pane fine piccadu,  which may be just bread made with simple water and flour, but reproduces the beauty of an embroidered fabric. The difference between normal bread and these examples of traditional artistry lies in the hands that made them. 

Then we have objects we can’t buy but belong to the local heritage that makes every place special: the grindstone of an olive press; Puglia’s underground oil mills, where extra virgin olive oil is produced following ancient rural methods; the nets of Molise’s trabucchi,  with their tales of traditional fishing along the Adriatic Sea; or Venice’s maestri remieri,  who still produce oars and forcole using techniques developed back in the centuries of La Serenissima’s crafts corporations.   

From North to South, Italy is full of workshops that tell the story of the country, with its traditions, habits, handovers, and social ritual. They are bona fide “schools” that should be protected and cherished like precious, rare, and prestigious stones. And not only because each of them is home to talented interpreters of an art and a know-how they are now passing on to the next generations, but because they are themselves an important piece of Italy’s incredibly rich cultural heritage. 

We shouldn’t forget how, during the Renaissance, you would go a bottega, to a workshop, if you wanted to learn a craft. You would join the workshop of a Maestro to learn all the secrets of the profession, whether you were Leonardo da Vinci or a humble cobbler. It was an obligated path for those who wanted to make a carrier out of the work of their hands, or for young, talented but inexperienced artists who needed to acquire the right skills. The workshop was the place where you learned how to draw, carve, sculpt, decorate, engrave or paint. The greatest of our artists did an apprenticeship in a workshop, from Botticelli to Perugino, to Michelangelo Buonarroti. All the talents the world envies us have come out of a workshop. Their inspiration, knowledge, creativity, and originality all blossomed thanks to the solid foundations their mentors, masters of arts and crafts, gave them. 

Ci sono oggetti che raccontano un mestiere. E mestieri che hanno alle spalle una storia antica, fatta di tecniche, di strumenti, di abilità affinate dall’esperienza, allenate con un lavoro lento e silenzioso dentro un piccolo laboratorio, mani esperte piene di segreti tramandati di generazione in generazione.

Quando in vacanza visitiamo una città italiana e compriamo pezzi d’artigianato locale per avere un souvenir di quella bellezza tipica che moltissime località italiane sanno regalare, incantando dalle vetrine dei negozietti con oggetti originali e attraenti o anche mostrando “live” ai turisti i processi della manifattura artigianale, dovremmo riflettere su quell’acquisto.

Non abbiamo comprato oggetti in serie, prodotti industriali di una catena di stampa-confezione-imballaggio-prezzatura senza anima nè personalità. Avremo messo in valigia minuscoli esemplari di una gigantesca sapienza, spesso acquisita nei secoli, costruita sull’esperienza.

Soprattutto avremo sostenuto la qualità, non il brutto “made in plastica” in qualche fabbrica lontanissima dal Belpaese, l’orrendo fake che purtroppo tantissimi comprano, attirati dal basso prezzo. Il nostro acquisto di un autentico vetro artistico di Murano o di un vasetto in pietra di alabastro di Volterra, aiuterà a portare avanti quel saper fare per cui le botteghe artigiane italiane sono famose nel mondo. Avremo cioè sostenuto un pezzo della cultura italiana.

Dalle incantevoli ceramiche di Caltagirone, nella provincia siciliana di Catania, alle pelletterie toscane famose per la lavorazione del cuoio come ad Arezzo, dal ferro battuto forgiato a mano dai fabbri veneti del Vicentino alla minuta filigrana sarda dove il metallo ha la leggerezza di una piuma. Persino entrare in una pasticceria o in un panificio può essere l’occasione per apprezzare la sublime arte italiana della manualità artigiana.

Anche se dolciaria, un “frutto di martorana” è arte all’ennesima potenza non un semplice pasticcino. La pasta reale a base di mandorle trasformata, con modellazione e colorazione, nella perfetta riproduzione di una pesca, un’albicocca o una ciliegia è tramandare la creatività delle monache benedettine di Palermo che secoli fa, s’inventarono il raccolto abbondante di un giardino florido e fecondo per addobbare, in pieno inverno, l’orto brullo del loro monastero in un’occasione speciale. A Olmedo, in Sardegna, non si mangia una semplice pagnotta in occasione di cerimonie di particolare rilevanza come matrimoni, battesimi, fidanzamenti o altre festività liturgiche. Il “pane fioridu” (pane fiorito) abbelliva le tavole imbandite. Sapienti panificatrici, in un vero e proprio rito familiare, forgiavano la pasta in modo da darle grande finezza artistica. Finemente ornato, anche il “pane fine piccadu” è pur sempre fatto di acqua e farina ma riproduce un tessuto ricamato. La differenza sta proprio nelle mani abili e creative che lo hanno impastato.

Poi ci sono oggetti che non si acquistano ma che fanno parte del patrimonio locale che rendono così unico e speciale un territorio: possono essere le mole in pietra dei trappeti, i frantoi ipogei pugliesi che producono l’olio extravergine d’oliva secondo i processi contadini di molitura, o le reti dei trabucchi del Molise che raccontano la pesca tipica della costa adriatica o i maestri remieri veneziani che ancora producono remi e forcole con tecniche che affondano le origini nelle corporazioni nate ai tempi della Serenissima.

Da Nord a Sud, l’Italia è piena di queste botteghe che raccontano pezzi di storia del Belpaese, tradizioni, usanze, passaggi di consegne e riti sociali. Sono vere e proprie “scuole” che andrebbero tutelate come pietre preziose, rare e prestigiose. Non solo perché ciascuna vanta illustri interpreti e secoli di know how consegnato alle generazioni successive ma perchè sono esse stesse una tessera del puzzle delle meraviglie che rendono così ricco il patrimonio italiano.

Non dimentichiamoci che già tra Quattrocento e Cinquecento si andava “a bottega”. Chi voleva imparare un mestiere, frequentava l’atelier di un maestro, cioè lavorava in un laboratorio artigiano per imparare tutti i segreti di una professione che fosse Leonardo da Vinci o un semplice ciabattino. Era un percorso obbligato per chi voleva fare della propria manualità un lavoro o per un giovane artista, magari dotato ma inesperto, di acquisire tutte le necessarie competenze. La bottega era il luogo per imparare a disegnare, intagliare, scolpire, decorare, cesellare o dipingere. Dall’apprendistato poteva uscire un Botticelli, un Perugino o un Michelangelo Buonarroti. I grandi talenti che il mondo ci invidia sono stati tutti allievi di qualche bottega. L’estro, l’esperienza, la competenza, la creatività, la loro originalità sono fiorite sulle solide basi consegnate dai loro mentori, i maestri delle arti e dei mestieri.


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