“Siamo partiti in un giorno di pioggia, cacciati via dalla nostra terra, che un tempo si chiamava Italia e uscì sconfitta dalla guerra, hanno scambiato le nostre radici, con un futuro di scarpe strette e mi ricordo faceva freddo, l’inverno del ’47”.
Queste sono le prime strofe del brano Magazzino 18 di Simone Cristicchi, che dà il titolo anche allo spettacolo teatrale attualmente in scena nei teatri Italiani e istriani, scritto dallo stesso Cristicchi con Jan Bernas.
La direzione della Friuli Venezia Giulia Mitteleuropa Orchestra è affidata al Maestro Valter Saviotti, mentre la regia è di Antonio Calenda.
Il musical, così come la canzone, trae spunto da quello che è diventato un luogo simbolo di quell’esodo: il magazzino numero 18 del Porto Vecchio di Trieste, dove furono stoccate le masserizie dagli esuli, che abbandonarono le terre cedute nel 1947. Questo luogo diventò così un enorme catasta di masserizie, con una miriade di oggetti suddivisi per tipologia, classificati con nomi e numeri, che testimoniano ancora oggi la tragedia di un popolo sradicato dalla propria terra. Tavoli, sedie, armadi, specchiere, cassapanche, attrezzi da lavoro, ritratti, giochi, fotografie in bianco e nero, quaderni e libri di scuola, oramai sono dimenticati e pieni di polvere.
Furono circa duecentocinquantamila le persone che dopo la firma del trattato di pace di Parigi del 1947 e il memorandum di Londra del 1954, abbandonarono tutti i loro beni e imballarono le poche cose che riuscirono a portare via, preferendo andare verso l’Italia.
La migrazione dei giuliano-dalmati assunse anche connotati internazionali dal momento che una parte di essi decise di seguire le tradizionali rotte dell’emigrazione transoceanica, scegliendo come meta finale il Canada (e Vancouver) e gli Stati Uniti d’America, che, con l’emendamento al Displaced Persons Act del 1948 riaprono, a partire dal 1950, le porte all’emigrazione riservando 2.000 posti ai citizens of Venezia-Giulia.
La struggente canzone di Simone Cristicchi tocca corde molto sensibili per chi ha vissuto questo dramma, inoltre, bisogna riconoscergli il merito di essere riuscito a coinvolgere l’opinione pubblica. Il testo della canzone, apparentemente semplice nella sua espressione, supera l’argomento specifico, proiettando chi lo ascolta in una situazione che potrebbe essere benissimo riportata ai giorni nostri.
Magazzino 18 è un luogo della memoria, che si è dimenticato, dove però possiamo inoltraci idealmente per cercare le nostre radici e soprattutto per evitare che drammi simili si ripetano ancora: “… sono venuto a cercare mio padre, in una specie di cimitero, tra masserizie abbandonate e mille facce in bianco e nero, tracce di gente spazzata via, da un uragano del destino, quel che rimane di un esodo, ora riposa in questo magazzino”.
Gli oggetti hanno sempre un forte potere evocativo, portano i segni di chi li ha posseduti e utilizzati. Cristicchi, ha spiegato che nel momento in cui è entrato in quel deposito, che contiene ben duemila metri cubi di masserizie, ha percepito la grandezza di quella storia e si è stupito di come non fosse conosciuta in Italia. Quando ne è uscito ha sentito come se quei mobili gli avessero parlato.
In quell’occasione gli fu regalata una sedia e sotto la seduta c’era ancora ben leggibile il nome del proprietario.
Da quel momento ha iniziato la ricerca sull’esodo insieme a Jan Bernas, con cui ha scritto il musical, dopo aver letto numerosi testi e avere parlato con tanti esuli e residenti istriani.
Dal 1947 in poi, le famiglie in fuga dalle terre cedute alla Jugoslavia lasciarono le loro cose in deposito, con l’idea di venire a riprenderle, una volta ricostruita la propria esistenza. Molte persone sono ritornate a riprendersi ciò che era loro, molte altre in-vece, non si sono fatte più vive.
Il brano di Simone Cristicchi fa parte del suo recente disco intitolato “Album di famiglia”, che ne conferma la sensibilità autoriale e l’indubbio talento.
Utilizzando la forma della filastrocca, Cristicchi offre la sua visione delle cose facendo leva sulla curiosità e il coinvolgimento di chi lo ascolta.
A questo proposito vi consigliamo di non perdervi la canzone Cigarettes, che nel finale propone un breve recitato di Nino Frassica. Si tratta di un brano molto attuale, forse anche qualcosa di più: “Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri… molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti…”.
Questo testo risale al 1912 ed è tratto da una relazione dell’Ispettorato del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti d’America.
Visto il grande interesse suscitato dallo spettacolo teatrale, in questi giorni è stato pubblicato il libro, che ripercorre attraverso brevi testimonianze di gente normale la drammatica storia degli italiani esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia.