Greek temple in Selinunte, Sicily (Photo: Ralligeller/Dreamstime)

Selinunte did not exist for long, just over two centuries. Yet, the mark she left in the history of the Mediterranean is great and she, just like a beautiful ancient goddess, keeps of giving and surprising, as very recent archaeological discoveries demonstrate.

Selinunte was known to the Greeks, who founded it, as Selinus, which came from selinon, “wild parsley,” a plant that used to grow – and still does – in the area. It was the year 650 BC when some colons from Megara Hyblaea settled in this large plain in the Belice Valley, creating an important urban and cultural center which, at its apogee between the 6th and the 5th century BC, counted 100,000 citizens, and controlled much of the surrounding areas.

Selinunte had a key strategic and diplomatic position, because it was the western-most Greek colony, and bordered with the Carthaginian colonies on the island: indeed, the history of the town was to be deeply affected by the people and cultures living and thriving in the surrounding areas: they were at once a source of great wealth, both economic and cultural, and a threat to Selinunte’s stability and safety.

Aerial view of a temple in Selinunte (Photo: Shutterstock)

In the early decades of its existence, political balance was at the heart of the Selinunte’s wealth and joys: it had prosperous and peaceful relations with the Carthaginians, and struck an alliance with Syracuse, which was the most important and most prosperous of all the Greek colonies in Sicily. These factors led her to attempt expansion towards lands controlled by Segesta: it was 580 BC, and the campaign resulted in a bitter loss.

Segesta was to become the reason for Selinunte’s ultimate defeat: the two cities continued to fight, but Segesta ended up gaining the strongest allies, the Carthaginians who, in 409 BC, conquered Selinunte after a 9-day-long siege. Despite having asked for help from Syracuse and Akragas (modern Agrigento), their soldiers reached the battlefield too late, and all of Selinunte’s citizens were either killed or deported and turned into slaves.

Decades later, some survivors guided by Syracusan leader Ermocrates returned to Selinunte and tried to establish a new thriving community in a place where they had known happiness and prosperity. But it wasn’t to be: the Carthaginians attacked and won again. In 250 BC, after the First Punic War, Selinunte became Roman and turned into a ghost town.

In the high Middle Ages, small groups of people tried to create a new community there, but the project was abandoned after a deadly earthquake hit the area during the Byzantine domination of Sicily (6th-9th century AD). Another attempt to revive the splendor of Selinunte happened when the island passed into Arab hands between the 9th and 11th century AD, but without success. After it, Selinunte was abandoned for good.

The end of her life as an active settlement, however, marked the beginning of another life, that of an archaeological wonder. In 1779, King Ferdinand of Naples, who at the time ruled in Sicily, issued a decree to protect what remained of its ancient buildings. In 1822, the first archaeological digs were carried out by a British team and continued for the rest of the 19th century and the early decades of the 20th. Finally, in the 1960s, archaeologists discovered

the urban core of the ancient town, and the whole area became an archaeological park that is, with its 270 hectares of ruins and vegetation, the largest of its kind in Europe, the Parco Archeologico di Selinunte.

Nature and history in Selinunte (Photo: Pawelkowalczyk/Dreamstime)

During the summer, an archaeological project led by Clemente Marconi, who has been working in Selinunte for decades, and carried out with the Institute of Fine Arts of New York University and the German Archeological Institute, gave us new, incredible discoveries, which Marconi described to ANSA as being “of the highest importance, especially when looking at Selinunte during its archaic and classical periods.” During an intervention on the park’s flora carried out by the German Archaeological Institute, the outline of Selinunte’s agora, its main “square” where all the social, economic and cultural activities would take place, became visible. At the center of the area, which measures twice as much as Piazza del Popolo in Rome, a single tomb, possibly that of Selinunte’s own founder, Pammilus. Higher up, on the acropolis, the ruins of what is now considered the first place of worship of the people of Selinunte have also been unearthed. In it, many objects of Greek manufacture were discovered and show the wealth of the town. One of the most interesting findings is, however, half of a scepter’s stone matrix, the first half of which had been already found during previous digs. The matrix, which was likely used to make a bronze scepter, had been broken into two pieces after use, each of them buried in a different part of the town: this means, archaeologists say, that the object created with it must have been of enormous symbolic value, to the point that a second one could not be made. The only way to ensure a copy wouldn’t be fabricated was the destruction of the mold used for its creation.

Selinunte non è sopravvissuta a lungo, solo poco più di due secoli. Eppure, il segno che ha lasciato nella storia del Mediterraneo è grande e lei, proprio come una bella dea antica, continua a dare e a sorprendere, come dimostrano recentissime scoperte archeologiche.

Selinunte era conosciuta dai Greci, che la fondarono, con il nome di Selinus, che deriva da selinon, “prezzemolo selvatico”, una pianta che cresceva – e cresce tuttora – nella zona.

Era il 650 a.C. quando alcuni coloni provenienti da Megara Hyblaea si insediarono in questa grande pianura della Valle del Belice, dando vita a un importante centro urbano e culturale che, al suo apogeo tra il VI e il V secolo a.C., contava 100.000 cittadini e controllava gran parte delle aree circostanti.

Selinunte aveva una posizione strategica e diplomatica fondamentale, perché era la colonia greca più occidentale e confinava con le colonie cartaginesi dell’isola: la storia della città, infatti, sarà profondamente influenzata dalle popolazioni e dalle culture che vivevano e prosperavano nelle aree circostanti: esse erano allo stesso tempo fonte di grande ricchezza, sia economica che culturale, e una minaccia per la stabilità e la sicurezza di Selinunte.

Nei primi decenni della sua esistenza, l’equilibrio politico fu al centro della ricchezza e delle gioie di Selinunte: ebbe rapporti prosperi e pacifici con i Cartaginesi e strinse un’alleanza con Siracusa, che era la più importante e la più prospera di tutte le colonie greche in Sicilia. Questi fattori la portarono a tentare l’espansione verso le terre controllate da Segesta: era il 580 a.C., e la campagna si risolse in un’amara sconfitta.

Segesta diventerà il motivo della sconfitta definitiva di Selinunte: le due città continueranno a combattersi, ma Segesta finirà per ottenere gli alleati più forti, i Cartaginesi che, nel 409 a.C., conquisteranno Selinunte dopo un assedio durato 9 giorni. Nonostante avessero chiesto aiuto a Siracusa e ad Akragas (l’odierna Agrigento), i soldati raggiunsero il campo di battaglia troppo tardi e tutti i cittadini di Selinunte furono uccisi o deportati e trasformati in schiavi.

Decenni dopo, alcuni sopravvissuti guidati dal condottiero siracusano Ermocrate tornarono a Selinunte e cercarono di fondare una nuova fiorente comunità in un luogo dove avevano conosciuto felicità e prosperità. Ma non andò così: i Cartaginesi attaccarono e vinsero di nuovo. Nel 250 a.C., dopo la Prima Guerra Punica, Selinunte divenne romana e si trasformò in una città fantasma.

Nell’alto Medioevo, piccoli gruppi di persone cercarono di creare una nuova comunità, ma il progetto fu abbandonato dopo un terremoto mortale che colpì la zona durante la dominazione bizantina della Sicilia (VI-IX secolo d.C.). Un altro tentativo di far rivivere lo splendore di Selinunte avvenne quando l’isola passò in mano agli Arabi tra il IX e l’XI secolo d.C., ma senza successo. In seguito, Selinunte fu abbandonata per sempre.

La fine della sua vita come insediamento attivo, tuttavia, segnò l’inizio di un’altra vita, quella di una meraviglia archeologica.

Nel 1779, il re Ferdinando di Napoli, che all’epoca governava in Sicilia, emanò un decreto per proteggere ciò che rimaneva degliuoi antichi edifici. Nel 1822 un’équipe britannica effettuò i primi scavi archeologici, che proseguirono per il resto del XIX secolo e per i primi decenni del XX. Infine, negli anni Sessanta, gli archeologi scoprirono il nucleo urbano dell’antica città e l’intera area divenne un parco archeologico che, con i suoi 270 ettari di rovine e vegetazione, è il più grande del suo genere in Europa, il Parco Archeologico di Selinunte.

Durante l’estate, un progetto archeologico guidato da Clemente Marconi, che lavora a Selinunte da decenni, e realizzato con l’Institute of Fine Arts della New York University e l’Istituto Archeologico Germanico, ha regalato nuove, incredibili scoperte, che Marconi ha definito all’ANSA “di altissima importanza, soprattutto se si guarda a Selinunte nel periodo arcaico e classico”. Durante un intervento sulla flora del parco effettuato dall’Istituto Archeologico Germanico, è emersa la sagoma dell’agorà di Selinunte, la sua “piazza” principale dove si sarebbero svolte tutte le attività sociali, economiche e culturali. Al centro dell’area, che misura il doppio di Piazza del Popolo a Roma, un’unica tomba, forse quella del fondatore di Selinunte, Pammilus. Più in alto, sull’acropoli, sono state portate alla luce le rovine di quello che oggi è considerato il primo luogo di culto dei selinuntini. In esso sono stati rinvenuti molti oggetti di manifattura greca che testimoniano la ricchezza della città. Uno dei ritrovamenti più interessanti è però la metà della matrice in pietra di uno scettro, la cui prima metà era già stata rinvenuta nel corso di scavi precedenti. La matrice, che probabilmente era stata utilizzata per fabbricare uno scettro di bronzo, dopo l’uso era stata spezzata in due pezzi, ognuna delle due metà sepolta in una zona diversa della città: questo significa, dicono gli archeologi, che l’oggetto creato con quella matrice doveva avere un enorme valore simbolico, al punto che non si sarebbe mai potuto (e dovuto) farne un altro uguale. L’unico modo per esserne certi era stato distruggere il modello usato per crearlo.


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