Roma nei secoli passati è stata ininterrottamente meta agognata di pellegrini e di visitatori di ogni genere nonché di artisti pittori e scultori. E a quell’epoca non esisteva il viaggio mordi e fuggi: per la maggior parte duravano mesi.
E si poneva perfino l’esigenza di una chiesa delle varie comunità di pellegrini e di visitatori per cui ancora oggi si trova la chiesa dei tedeschi, la chiesa dei portoghesi, dei fiorentini, dei veneziani, dei francesi, degli spagnoli, ma anche dei mestieri e delle professioni, ecc.
Inoltre, poiché notoriamente la presenza ciociara, vale a dire della umanità proveniente dai territori a Sud della linea Tevere-Aniene, principalmente dalla Valcomino in Alta Terra di Lavoro (all’epoca Regno di Napoli), era divenuta nel corso del 1800 una componente stabile e consistente della cittadinanza, era normale che ad un certo momento si iniziasse a sentire la mancanza di un punto di coagulo e di raduno confessionali per i normali adempimenti spirituali e liturgici quali battesimi, matrimoni, funerali, ecc. In effetti in un certo momento della storia, la comunità ciociara a Roma era divenuta per i forestieri addirittura la vera popolazione di Roma, a significarne il ruolo capillare nei vari aspetti e nelle incombenze della vita cittadina e, aggiungiamo anche, nei gangli della amministrazione ecclesiastica, dai livelli più bassi ai più elevati. Certo è, che a partire all’incirca dal 1850, si può parlare di una ‘ciociarizzazione di Roma’. Di qui la validità di tale esigenza spirituale.
Malgrado sforzi presso le autorità religiose competenti, non si è rintracciato alcun tempio cattolico che rispondesse a tale requisito. Né dai numerosi documenti pittorici, vale a dire la quantità di dipinti esaminati che illustrano i ciociari a Roma, è venuta fuori una indicazione definitiva, pur se non poche di queste opere ritraggono stuoli di ciociari davanti a molte chiese.
Quanto rende tale ricerca ancora più irta di difficoltà e ardua a risolvere, è il fatto che i poveri ciociari di Roma, dimestichezza con penna e libro ne avevano quasi zero, quindi documenti e lettere o altro non si trovano o non esistono, né tanto meno la letteratura dell’epoca si è veramente occupata in qualche modo di tale componente della città: burini, guitti, ciociari, cafoni, che cosa potevano mai offrire di stimolante ed avvincente al cronista dell’epoca?
Si aggiunga anche che il personaggio in costume ciociaro era stato per anni un soggetto prelibato degli artisti stranieri, e non solo stranieri, ma quasi nessuno, salvo in qualche lettera, a nostra scienza, ha ritenuto intrigante ed attraente occuparsi più da vicino della vita e esistenza quotidiane del suo modello o modella.
A Roma, a partire dalle ultime decadi del 1700, erano presenti svariati luoghi di assembramento e di raduno di questa umanità immigrata dal Sud, in massima parte manovalanza agricola, i cosiddetti ‘bracciali’: Piazza Barberini, Piazza di Spagna, Piazza Farnese e altri ancora.
Il luogo, al contrario, in un certo senso specializzato per l’offerta di mano d’opera generica e cioè manovalanza e bracciantato agricolo, era la grande piazza davanti al Teatro di Marcello, quasi ai piedi del Campidoglio, ai limiti del Ghetto e della Bocca di Verità, oggi scomparsa a seguito delle demolizioni e nuove costruzioni mussoliniane: Piazza Montanara. Così era nota e già il nome è una spiegazione: un crogiuolo di povera umanità ne avevano fatto la piazza più pittoresca e animata della città.
Non mancavano le chiese nei paraggi, in gran parte ancora presenti ma differenti e diverse ragioni logistiche e anche di tipologia nonché anche di documentazione disponibile, ci inducono a concentrare la nostra attenzione a poche decine di metri dalla piazza, e cioè ai piedi del Campidoglio e della Rupe Tarpea, dove si leva la Chiesa di Santa Maria della Consolazione, alquanto in disparte e solitaria rispetto alla animazione in Piazza Montanara.
Questo antico tempio, affianco al quale si levava una grossa struttura che fino agli anni Trenta del Novecento fungeva da ospedale cittadino, aveva la caratteristica maturata nel corso dei secoli di essere divenuta la chiesa dei lavoratori. Le corporazioni delle arti e dei mestieri di Roma la elessero cioè a loro luogo sacro di riferimento e infatti progressivamente anche alcune cappelle della chiesa furono dedicate e manutenute dalle varie categorie di lavoratori tra i quali i vignaroli, i pecorai, i garzoni e altre, oltre a divenire, specie a partire dalla fine del 1700, anche essa luogo di raduno e di assoldamento di manodopera.
Altra peculiarità della Chiesa era che il suo linguaggio iconografico, cioè le immagini sacre presenti, erano ridotte a pochi soggetti più volte ripetuti: a parte il ciclo della Passione, erano presenti opere della Natività, della Madonna col Bambinello, del Matrimonio mistico di Santa Caterina e naturalmente di Santa Maria della Consolazione, soggetti come si vede che connotano una chiara prossimità e attinenza coi sentimenti elementari di quella umanità che, peraltro, di ‘consolazione’ aveva grande bisogno!
Ma è documentato un altro fatto che accentua e corrobora tale possibilità: affianco alla Chiesa si levava da sempre l’ospedale della Consolazione.
Ebbene, in tale istituzione di miseria e di sofferenza, si svolgeva periodicamente un fatto di alta solidarietà: le nobildonne romane vi si recavano e davano ogni tipo di sollievo e di conforto alle ricoverate principalmente, che erano tutte ciociare. Documenti pittorici dell’epoca di Pio IX illustrano tali atti di umanità.
Detti elementi portano a concludere che questa possa essere stata la chiesa ciociara a Roma.
Vi è un quadro di un notevole artista inglese del 1800 Keeley Halswelle (1832-1891) che a Roma dipinse il quadro qui illustrato dal titolo di Santa Maria della Consolazione. Riteniamo in questo modo di aver aggiunto un’altra pagina a quel monumento inimmaginabile che è la storia, in gran parte sconosciuta, della Ciociaria.