Ah, prosciutto – that lovely, pink hued, paper-thin sliced meat that has delighted Italy’s residents for at least 3,000 years. Perhaps not as romanticized as wine or olive oil (anyone for a cozy picnic in a pig pen or butcher shop?), but possibly revered even more, there’s no question that prosciutto makes a daily appearance on tables throughout Italy.
Believed to have taken its name from the Latin word proexsuctus, meaning literally to suck out the moisture, the formula for creating prosciutto sounds quite simple: take a ham hock, add salt, wait. But alas, nothing is ever as simple as it seems!
The creation of prosciutto, like many traditional Italian slow foods, cannot be rushed. From birth of the pig to finished product, even a lower quality meat requires at least nine months to be table-ready. Products awarded D.O.P status (translated Denomination of Protected Origin) require even longer, more controlled methods specific to the product. Regardless of a D.O.P label or not, all livestock must be Italian born and bred to be considered the origin of a good prosciutto.
The process from start to finish begins to tighten up when we look at what goes into a D.O.P. prosciutto. Take one of the better-known products, Prosciutto di Parma. Overseen by the Parma Ham Consortium, livestock must be raised in a setting between the Enza and Stirone rivers at an altitude no higher than about 2,500 feet. Only 3 breed types will do, and the diet must consist of specified grain, along with whey from parmesan productions (of course!). And you can count on it that someone is closely monitoring adherence to these requirements. All that good food stops when the pig reaches about 9 months of age and weighs in at around 300 pounds.
AThe breed itself is notable. Indigenous to Tuscany with origins back at least to the Middle Ages, the Cinta Senese pigs were all but extinct after World War II. In fact, it’s said that only two males and 20 some-odd females existed at one point. In stepped good folks like Raymond Lamothe of Castellina in Chianti. Ray, born to an Italian mother and an American father, was one of the original people who set out to save the practically non-existent breed…and they have succeeded admirably!
A founding father of the consortium that now oversees conservation of the Cinta Senese, Ray’s involvement didn’t stop there. He and his wife Anna Rita rear these pigs on their family farm, Casamonti (which is also the site of a 900 year old monastery), and have produced salumi products since the early 1990’s. This labor of love requires following to a “T” each and every consortium and government agency rule.
Cinta Senese must be bred and raised in Tuscany and are tagged at birth with their genetic inheritance. Interestingly, the DNA of this breed is unique in the pig world and cannot be traced to any other breed. The pigs are free to roam the farm from age 4 months until they are butchered at around age 2. Allowed to forage, they are also supplemented with highly controlled natural feeds – no GMOs, no soy, no additives of any kind. Livestock must be inspected by a veterinarian every 2 months, while other assigned vets do periodic quality control checks on the meat products.
The results, however, produce a remarkable prosciutto that is delicate, extremely flavorful, and lean. In fact, Cinta Senese fat is quite similar in structure to that of extra virgin olive oil! No worries about raising your cholesterol with this product, so over-indulging is allowed.
As Ray shared with me, a lot has changed for D.O.P. prosciutti producers, including the Cinta Senese variety. Once upon a time, most farm homes sat atop a classic musty cellar perfect for curing, and the family had the ability to tend the hams 24/7. Nowadays, the majority of producers use the services of hi-tech and tightly controlled prosciuttifici, off-site labs, for the entire curing process.
Once butchering and trimming of the leg portion have occurred, the real work begins. Salt is rubbed manually over the entire ham daily for a month. Gentle pressing and massaging during this time drain all traces of blood, decreasing the chance of mold growth. After about two months, a series of washings remove the salt, and sugnatura (a mixture of salt, spices, and fat) is applied to the exposed portion of the leg not covered by skin. The ham is then hung in a controlled room to dry where humidity and temperatures must mimic those of the region the ham is from. Curing takes anywhere from 9 to 18 or more months depending on the size of the ham.
Any D.O.P. designated prosciutto is going to go down good, and even a lesser quality would bring a smile – but which is the best? That from Parma? Tuscany, specifically Cinta Senese? Well, what about the famed Prosciutto di San Daniele from the region of Friuli-Venezia Giulia? It depends on what region you’re in when you ask, of course, but any would be welcome on an Italian table.
At one time, all pork products from Italy were banned from export to the United States; however, in 1989, prosciutti from Parma and San Daniele were permitted after the repeal of a 22-year ban. I came across indications that 2016 saw a lifting of the age-old ban on all meat products from Italy, but was unable to confirm this (sadly so). The current proclamation on the USDA website — In very few cases swine and swine products can enter the United States – suggests you still might want to avoid stuffing that lovely leg of Italian-made prosciutto in your suitcase and just enjoy an affettati misti (cured plate meat) from your local deli.
Ah prosciutto, quella bella carne rosa a fette sottili che delizia gli italiani da almeno 3000 anni. Forse non così celebrato come il vino o l’olio d’oliva (qualcuno vuol fare un bel picnic in un porcile o dal macellaio?) ma forse ancor più riverito, è indubbio che il prosciutto compaia quotidianamente sulle tavole di tutta Italia.
Si ritiene che abbia preso il nome dalla parola latina proexsuctus, che significa letteralmente togliere l’umidità. La formula per fare il prosciutto sembra piuttosto semplice: prendere un garretto, aggiungere sale, e attendere. Ma ahimè, niente è mai così semplice come sembra!
Un prosciutto, come molti slow food italiani tradizionali, non può essere fatto in fretta. Dalla nascita del maiale al prodotto finito, anche una carne di qualità inferiore richiede almeno nove mesi prima di essere pronta al consumo. I prodotti con lo status di D.O.P (Denominazione di Origine Protetta) richiedono metodi ancora più lunghi e controlli specifici sul prodotto. Indipendentemente dall’etichetta D.O.P, tutto il bestiame deve essere nato e allevato in Italia per essere considerato punto di partenza di un buon prosciutto.
Il processo dall’inizio alla fine inizia a diventare più rigido quando guardiamo a ciò che diventa un prosciutto D.O.P. Prendiamo uno dei prodotti più noti, il Prosciutto di Parma. Controllato dal Consorzio del Prosciutto di Parma, il bestiame deve essere allevato in una zona compresa tra i fiumi Enza e Stirone ad un’altitudine non superiore a circa 2.500 piedi. Sono permessi solo 3 tipi di razza, e la dieta deve consistere in un particolare grano, insieme a siero di latte dalle produzioni di Parmigiano (ovviamente!). E potete star certi che qualcuno monitora da vicino il rispetto di questi requisiti. Tutto quel buon cibo termina quando il maiale raggiunge circa 9 mesi di età e pesa circa 300 chili.
Un altro prodotto D.O.P. forse non così conosciuto al di fuori dell’Italia ma considerato da molti come la crème de la crème del prosciutto, è il prosciutto di Cinta Senese della Toscana. Il nome indica i “maiali con la cintura di Siena”, e la indossano: un sorprendente tocco di bianco avvolge completamente le zampe anteriori, le spalle e i fianchi del maiale in netto contrasto con il nero di entrambi i lati.
La razza stessa è notevole. Indigena della Toscana con origini risalenti almeno al Medioevo, i maiali di Cinta Senese si erano quasi estinti dopo la seconda guerra mondiale. In realtà, si dice che a un certo punto erano rimasti solo due maschi e una ventina di femmine. Ci hanno messo del loro gente buona come Raymond Lamothe di Castellina in Chianti. Ray, nato da madre italiana e padre americano, è stato uno degli primi uomini che ha deciso di salvare una razza praticamente inesistente … e ci sono riusciti egregiamente!
Fra i padri fondatori del consorzio che ora sovrintende alla conservazione della Cinta Senese, l’impegno di Ray non si è fermato qui. Lui e sua moglie Anna Rita allevano questi maiali nella fattoria di famiglia, Casamonti (che è anche il sito di un monastero di 900 anni fa), e hanno prodotto salumi sin dai primi anni ’90. Questo lavoro d’amore richiede di seguire una “T” e ogni regola del consorzio e agenzia di controllo del governo.
La Cinta Senese deve essere allevata e cresciuta in Toscana e viene etichettata alla nascita con il suo patrimonio genetico. È interessante notare che il DNA di questa razza è unico nel mondo dei maiali e non può essere rintracciato in nessun’altra razza. I maiali sono liberi di girovagare dall’età di 4 mesi fino a quando non vengono macellati a circa 2 anni. Oltre al foraggio consentito, sono alimentati anche con mangimi naturali altamente controllati – senza OGM, senza soia, senza additivi di alcun tipo. Il bestiame deve essere ispezionato da un veterinario ogni 2 mesi, mentre altri veterinari assegnati effettuano controlli periodici di qualità sui prodotti a base di carne.
Il risultato è un prosciutto notevole che è delicato, estremamente saporito e magro. Infatti, il grasso di Cinta Senese è abbastanza simile a quello dell’olio extra vergine d’oliva! Nessun timore di far aumentare il colesterolo con questo prodotto, quindi è consentito un eccesso di indulgenza.
Come Ray mi ha detto, molto è cambiato per i produttori di prosciutti D.O.P., inclusi quelli della varietà di Cinta Senese. Una volta la maggior parte delle case coloniche erano costruite sopra la classica cantina ammuffita perfetta per la stagionatura, e ogni famiglia poteva curare i prosciutti 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Oggigiorno, la maggior parte dei produttori utilizza i servizi dei prosciuttifici ad alta tecnologia e strettamente controllati, laboratori off-site, per l’intero processo di conservazione.
Una volta che c’è stato il macello e il taglio della porzione delle gambe, inizia il vero lavoro. Il sale viene sfregato manualmente su tutto il prosciutto ogni giorno per un mese. In questo periodo, premendo delicatamente e massaggiando, si eliminano tutte le tracce di sangue, riducendo la possibilità di crescita della muffa. Dopo circa due mesi, una serie di lavaggi rimuovono il sale e la sugnatura (una miscela di sale, spezie e grasso) viene applicata sulla porzione esposta della gamba non coperta dalla pelle. Il prosciutto viene quindi appeso in una stanza controllata per asciugare dove umidità e temperature devono imitare quelle della regione da cui proviene il prosciutto. La stagionatura richiede da 9 a 18 o più mesi a seconda delle dimensioni del prosciutto.
Qualsiasi prosciutto marchiato D.O.P. andrà giù bene, e anche uno di qualità inferiore porta un sorriso – ma qual è il migliore? Quello di Parma? Quello toscano, in particolare la Cinta Senese? E il famoso prosciutto di San Daniele della regione del Friuli-Venezia Giulia? Dipende in quale regione ti trovi quando lo chiedi, certo, ma uno qualsiasi sarebbe il benvenuto su una tavola italiana.
Un tempo, tutti i prodotti a base di carne di maiale provenienti dall’Italia non potevano essere esportati negli Stati Uniti; tuttavia, nel 1989, i prosciutti di Parma e San Daniele sono stati autorizzati dopo l’abrogazione di un divieto lungo 22 anni. Mi sono imbattuto in indicazioni secondo cui il 2016 ha visto l’abolizione dell’annoso divieto di tutti i prodotti a base di carne dall’Italia, ma non posso confermarlo (purtroppo). L’attuale dicitura sul sito dell’USDA – In pochissimi casi i prodotti suini e i suini possono entrare negli Stati Uniti – suggerisce che si deve ancora evitare di riempire la valigia con quella deliziosa coscia di prosciutto fatto in casa e che semplicemente ci si può godere un “affettati misti” nella propria gastronomia locale.
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