Slicing fresh porchetta (Photo: Yulia Grigoryeva/Dreamstime)

If you love Italian sagre and fairs, then you must have tried panino con la porchetta at least once. Indeed, the slowly-roasted, then-sliced delicacy is a staple of Italy’s most traditional street gatherings, so much so it has become almost synonymous with them. And if it’s true that porchetta found its contemporary fame thanks to its connections with popular feasts, we shouldn’t forget its history, or better, the history of roasted piglet, is as long as that of life around the Mediterranean. 

In the Odyssey, Homer writes about Eumaeus, a swineherd whose pigs were farmed exclusively for the table of Penelope’s suitors, the Proci. Our ancestors the Etruscans loved pork and cooked it in a variety of ways, including roasted, just like porchetta. The Romans used roast piglet as the culinary starting point for many of their most creative recipes; famous, for instance, is Apicius’ porcellum farcilem (stuffed piglet), which could be made in two different ways, depending on the type of stuffing chosen. 

Fast forward to the 17th century and to a little-known agronomy treatise by Vincenzo Tanara, Leconomia del Cittadino in Villa (“the economy of a city dweller”) and we find the first reference to a more modern declension of porchetta, much closer to how we know it today. Tanara explains how, back in his times, the regions of Umbria and Marche were known for traditional fairs where roasted piglet was made and sold to all. In particular, he mentioned how people of all social extractions would buy porchetta and eat it with their families. 

Tanara’s words are important because they define the moment when porchetta became a food for all, to be enjoyed in the street, much like it is today. And culinary historians agree that becoming a popular food, accessible to everyone, made porchetta the icon it is today. Porchetta-makers, known in Italian as porchettari, filled local squares on Sunday mornings and during special local events, serving their product to locals. They were particularly active in central Italy, along with salsicciari, sausage makers. And while we can state with a good level of certainty that porchetta is a thing of our central regions, pinpointing exactly where it was born is more difficult. The people of Ariccia, a known village in the beautiful Castelli Romani area, Lazio, are adamant the original porchetta recipe was created there. To be fair, they worked pretty hard to ensure their delicacy is recognized also officially: indeed, the porchetta di Ariccia is the only variety to hold an IGP (PGI, protected geographical indication) denomination. In 1950, Ariccia’s own porchettari created the first edition of the Sagra della Porchetta di Ariccia, a fair dedicated to their product, which is still alive and kicking today and attracts thousands of visitors every year. 

Porchetta is often associated to traditional food fairs (Photo: Lucagal/Dreamstime)

Not everyone agrees on porchetta’s birthplace, though. Umbrians believe porchetta was born in their region, more precisely in Norcia, a town known since Roman times for its piggeries. And we shouldn’t certainly forget that the porchetta made in Costano, a small hamlet near Bastia Umbra (Perugia), is a known delicacy, made the same way for more than 500 years. Porchetta in general is, in fact, one of Umbria’s most traditional products.

 The tradition of porchetta is strong also in Abruzzo, especially in Campli (Teramo), where porchetta-making seems to go back to the times of Ancient Rome when there were even special regulations on how it should be made and eaten. In the Teramo province, in fact, porchetta has a special ingredient, which you won’t find in any other variety: almonds. Their addition lends to the dish a mellow sweetness which is enjoyed by many. This type of porchetta is commonly known as Teramana. 

We can recognize two specific varieties of porchetta, based on what is used to aromatize it. One, produced in southern Tuscany, Abruzzo, and the Castelli Romani area of Lazio, is made with rosemary; the other, more typically made in Umbria, Marche, Romagna, and in some areas of Lazio, is flavored with finocchietto. Regardless of the extra flavors, preparing porchetta isn’t an easy task: first of all, porchettari clean and debone the meat, then they add coarse salt, garlic, pepper, some chopped quinto quarto (pig innards), rosemary and, in certain areas, finocchietto and nutmeg. The porchetta must then cook slowly, for three to six hours, depending on its size. 

You may be curious to know what’s the best way to enjoy porchetta… Well, warm, thickly sliced, served on rustic bread is probably the best, but there are many other options. You can have it as an aperitivo, cut into small chunks, served with some bread, or you can slice it and accompany it with roast vegetables and potatoes. Add a glass of good red and you have a meal fit for a king. It’s important, however, to serve it warm, so that it retains all its juiciness. 

Se amate le sagre e le fiere italiane, non potete non aver provato almeno una volta il panino con la porchetta. In effetti, questa prelibatezza arrostita lentamente e poi affettata è un punto fermo dei più tradizionali raduni di strada italiani, tanto da diventarne quasi un sinonimo. E se è vero che la porchetta ha trovato la sua fama contemporanea grazie al suo legame con le feste popolari, non dobbiamo dimenticare che la sua storia, o meglio, la storia del maialino arrosto, è lunga quanto quella della vita nel Mediterraneo. 

Nell’Odissea, Omero scrive di Eumeo, un porcaro i cui maiali erano allevati esclusivamente per la tavola dei pretendenti di Penelope, i Proci. I nostri antenati, gli Etruschi, amavano il maiale e lo cucinavano in vari modi, anche arrosto, come la porchetta. I Romani usarono il maialino arrosto come punto di partenza culinario per molte delle loro ricette più creative; famoso, ad esempio, il porcellum farcilem (maialino ripieno) di Apicio, che poteva essere preparato in due modi diversi, a seconda del tipo di ripieno scelto. 

Nel XVII secolo, in un poco noto trattato di agronomia di Vincenzo Tanara, L’economia del Cittadino in Villa, troviamo il primo riferimento a una declinazione più moderna della porchetta, molto più vicina a quella che conosciamo oggi. Tanara spiega come, ai suoi tempi, le regioni dell’Umbria e delle Marche fossero note per le tradizionali fiere in cui si preparava la porchetta e la si vendeva a tutti. In particolare, ha ricordato come le persone di tutte le estrazioni sociali acquistassero la porchetta e la mangiassero in famiglia.

Le parole di Tanara sono importanti perché definiscono il momento in cui la porchetta è diventata un cibo per tutti, da gustare per strada, proprio come accade oggi. E gli storici della gastronomia concordano sul fatto che l’essere diventata un cibo popolare, accessibile a tutti, ha reso la porchetta l’icona che è oggi. I porchettai, conosciuti in italiano come porchettari, riempivano le piazze locali la domenica mattina e in occasione di particolari eventi locali, servivano il loro prodotto alla gente del posto. Erano particolarmente attivi nell’Italia centrale, insieme ai salsicciari. E se possiamo affermare con una certa sicurezza che la porchetta è un prodotto delle nostre regioni centrali, è più difficile stabilire dove sia nata. Gli abitanti di Ariccia, noto paese della splendida zona dei Castelli Romani, nel Lazio, sono convinti che la ricetta originale della porchetta sia stata creata lì. A dire il vero, hanno lavorato sodo per far sì che la loro prelibatezza fosse riconosciuta anche ufficialmente: infatti, la porchetta di Ariccia è l’unica varietà a possedere la denominazione IGP (Indicazione Geografica Protetta). Nel 1950, i porchettari di Ariccia hanno dato vita alla prima edizione della Sagra della Porchetta di Ariccia, una fiera dedicata al loro prodotto che ancora oggi è viva e vegeta e attira migliaia di visitatori ogni anno. 

Non tutti però sono d’accordo sul luogo di nascita della porchetta. Gli umbri ritengono che la porchetta sia nata nella loro regione, più precisamente a Norcia, città nota fin dall’epoca romana per le sue porcilaie. E non bisogna certo dimenticare che la porchetta di Costano, una piccola frazione di Bastia Umbra (Perugia), è una prelibatezza nota, preparata nello stesso modo da più di 500 anni. La porchetta in generale è, infatti, uno dei prodotti più tradizionali dell’Umbria.

La tradizione della porchetta è forte anche in Abruzzo, in particolare a Campli (Teramo), dove la preparazione della porchetta sembra risalire ai tempi dell’Antica Roma, quando esistevano addirittura norme speciali sulle modalità di preparazione e di consumo. Nella provincia di Teramo, infatti, la porchetta ha un ingrediente speciale, che non si trova in nessun’altra varietà: le mandorle. La loro aggiunta conferisce al piatto una dolcezza pastosa che piace a molti. Questo tipo di porchetta è comunemente conosciuto come Teramana. 

Possiamo riconoscere due varietà specifiche di porchetta, in base a ciò che viene utilizzato per aromatizzarla. Una, prodotta nel sud della Toscana, in Abruzzo e nella zona dei Castelli Romani del Lazio, è a base di rosmarino; l’altra, più tipica di Umbria, Marche, Romagna e di alcune zone del Lazio, è aromatizzata con il finocchietto. Indipendentemente dagli aromi, la preparazione della porchetta non è semplice: prima di tutto, i porchettari puliscono e disossano la carne, poi aggiungono sale grosso, aglio, pepe, un po’ di quinto quarto (interiora di maiale) tritato, rosmarino e, in alcune zone, finocchietto e noce moscata. La porchetta deve poi cuocere lentamente, da tre a sei ore, a seconda delle dimensioni. 

Potreste essere curiosi di sapere qual è il modo migliore per gustare la porchetta… Beh, calda, tagliata a fette spesse, servita su pane rustico è probabilmente il modo migliore, ma ci sono molte altre opzioni. Si può gustare come aperitivo, tagliata a pezzetti, servita con del pane, oppure si può tagliarla a fette e accompagnarla con verdure arrosto e patate. Aggiungete un bicchiere di buon rosso e avrete un pasto degno di un re. È importante, però, servirla calda, in modo che conservi tutta la sua succosità.


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