Tra le 27 città decorate con medaglia d’oro come “benemerite del Risorgimento nazionale” per le azioni patriottiche del Risorgimento e medaglia d’oro al valor militare per la guerra di liberazione, è soprannominata “La primogenita” perché fu la prima città a votare con il plebiscito, nel 1848, l’annessione al Regno di Sardegna. I primi insediamenti risalgono all’età del bronzo e della pietra. Poi Galli ed Etruschi dovettero abitare il territorio ma mancano tracce sicure.
La fondazione del primo nucleo urbano risale al 218 a.C., quando seimila romani fondarono la colonia di “Placentia”, come rivela l’impianto quadrato, impostato sul “cardo”, sul “decumano” e un reticolo di vie ortogonali. Durante il Medioevo la città subisce numerose devastazioni e Piacenza cade sotto il dominio dei barbari; verrà coinvolta nella guerra tra invasori goti e le truppe romane d’Oriente. Passate le dominazioni ostrogota e bizantina, la città riacquista un ruolo predominante come capoluogo di ducato longobardo. La ripresa coincide con il dominio dei Franchi, dal IX secolo.
Situata lungo l’antico percorso della via Francigena, assiste intorno al Mille alla rinascita demografica, civile ed economica, grazie alla collocazione strategica tra le grandi direttrici che scendevano dalle Alpi alimentando il forte transito di mercanti e di pellegrini. Nell’età dei vincoli feudali e del potere dei vescovi-conti, accanto alla nobiltà di sangue, cresce un intraprendente ceto mercantile e artigiano, nuovo potere finanziario che permetterà alla città, secoli dopo, di essere annoverata tra i grandi centri d’Europa.
Nel XII e XIII secolo si intensifica l’attività mercantile. Vengono eretti in questa fase i due emblemi cittadini: il Duomo (1122) e Palazzo Gotico (1281). Il Medioevo è punteggiato da lotte intestine con frequenti cambi di supremazia che continuarono fino a quando, ormai Ducato, Piacenza passò alle dominazioni austriaca, francese, napoleonica.
In epoca etrusca non risulta abitata. La zona pianeggiante dove sorge si trovava quasi sicuramente in uno stato paludoso. Con tutta probabilità gli Etruschi preferirono insediarsi nelle zone collinari circostanti. Furono i Romani che bonificarono il terreno. Lo stesso toponimo è di origine romana e potrebbe derivare da “quadrata”: attraverso la centuriazione il terreno veniva squadrato, diviso in porzioni. A partire dal Medioevo e fino al 1959 il comune ebbe il nome di Tizzana, importante castello alle pendici del Montalbano e sottoposto a Pistoia: segnava il confine con Firenze.
Fra il Trecento e il Quattrocento, recuperati all’agricoltura i terreni di fondo valle, si svilupparono nuove e autonome unità di produzione (i poderi) e si diffuse la mezzadria. La produttività dei terreni bonificati richiamò capitali cittadini, tanto che gli Strozzi di Firenze risultano all’epoca essere creditori dei Comuni di Quarrata e Tizzana. Nel Cinquecento si diffuse il sistema di fattoria. Per la grande monumentalità si distingue Villa La Magia, di impianto cinque-seicentesco. Nel Settecento il territorio mutò assetto: per volontà del granduca Pietro Leopoldo di Lorena, venne perfezionata la bonifica delle zone pianeggianti e si incrementò il patrimonio di strade.
Nell’Ottocento l’assetto territoriale non subì sostanziali variazioni e l’agricoltura rimase il settore economico trainante. Tra il XVI e il XIX secolo fu registrato un notevole aumento demografico: Quarrata cominciò ad affermarsi come centro più importante di Tizzana tanto che prese il sopravvento sull’antico comune collinare e di fatto si rese autonoma. La trasformazione di Quarrata da zona agricola a centro industriale ha inizio nel dopoguerra, quando la nascita di aziende operanti nel settore dei mobili tappezzati permise lo sviluppo del settore. Attualmente Quarrata è un importante polo industriale soprattutto nel settore tessile, del mobile imbottito, delle confezioni e della maglieria.
Sorge in età medievale, subendo la dominazione di molte famiglie nobiliari sino a diventare possesso dei Gravina. La città vera e propria nasce tra il 1710 ed il 1712. Sancio Gravina, per concessione di Carlo II aveva sì ottenuto il permesso, il 7 ottobre 1688 a Madrid, di far abitare e coltivare il suo principato, ma dieci anni trascorsero senza che l’opera fosse portata a compimento, a causa della sua morte.
Fu Ottavio, figlio e successore di Sancio che, per non perdere il titolo di principe si dedicò alla costruzione del paese dando alloggio ai senzatetto del disastroso terremoto del 1693 che aveva distrutto molti paesi e città della costa orientale, e della precedente colata lavica che aveva sommerso numerosi centri del versante occidentale dell’Etna. A causa dell’esteso e fertile territorio, Ramacca è sempre stata caratterizzata da una forte immigrazione da tutte le province siciliane, nella quasi totalità rappresentata dal bracciantato agricolo. Le varie culture portate dagli abitanti, pur convivendo pacificamente, non si sono mai fuse in un’unica cultura locale.
Così, se a Ramacca si possono ascoltare un po’ tutti i dialetti dell’isola, la parlata locale non somiglia culturalmente a quella di nessun altro paese, neppure a quelli più vicini. La presenza di tanti immigrati ha fatto definire Ramacca “paese di forestieri” ma anche dell’ospitalità. Una delle tradizioni che più ricordano la solidarietà comunitaria è legata alle grandi tavolate imbandite che celebrano il patrono San Giuseppe in due date: il 19 marzo e la seconda domenica di Settembre.
Un grande altare viene allestito nella piazza principale con le offerte e i contributi dei cittadini, e a tutti i presenti viene offerta la tipica pasta co’ maccu (pasta con lenticchie e purea di fave). Il ricavato dell’asta viene donato ai bisognosi. L’economia di Ramacca, il cui toponimo ha un’etimologia forse araba forse dialettale siciliana, è incentrata sull’agricoltura, in particolare sui carciofi a cui è dedicata una sagra.