Il trascorrere delle generazioni ha cristallizzato nel mito gli eventi della lunga avventura dei Longobardi dalle Alpi all’Italia. I winnili (combattenti, vincitori), come all’inizio usavano definirsi, nel II secolo d. C erano solo una piccola e feroce tribù stanziata in Germania, nei pressi del fiume Elba. Nessuno avrebbe potuto immaginare che secoli dopo si sarebbero trasformati in un potente popolo, capace di organizzare in Italia un regno glorioso e longevo.
Ben pochi segreti sul “popolo dalle lunghe barbe” ancora rimarranno tali dopo la mostra-evento aperta a Pavia fino a dicembre. Ma occorre davvero vederla e rivederla questa maxi-esposizione sul popolo longobardo. Le premesse sono “maestose” se contiamo addirittura tre sedi che si passeranno il testimone per comunicare i risultati di 15 anni di ricerche scientifiche.
La mostra è allestita nei Musei Civici del Castello Visconteo di Pavia, che si rimette idealmente i panni di capitale del “Regno Longobardorum”. Poi sarà la volta di Napoli (al Mann, dal 15 dicembre) e San Pietroburgo (all’Ermitage, da aprile 2018).
Da una attività meticolosa di indagine archeologica, epigrafica e storico-politica avvenuta su siti e necropoli datate nell’Alto Medioevo, con l’appoggio e la collaborazione del Mibact, si è arrivati a poter esporre oltre 300 opere. Più di 100 i musei e gli enti prestatori; oltre 50 gli studiosi coinvolti nelle ricerche. 32 i siti e i centri longobardi rappresentati in mostra, 58 i corredi funerari esposti integralmente, 17 i video originali e le installazioni multimediali (touch screen, oleogrammi, ricostruzioni 3D, ecc.); 4 le cripte longobarde pavesi, appartenenti a soggetti diversi, aperte per la prima volta al pubblico in un apposito itinerario; centinaia i materiali dei depositi del Mann vagliati dall’Università Suor Orsola Benincasa, per individuare e studiare per la prima volta i manufatti d’epoca altomedievale conservati nel museo napoletano.
Il dubbio è ovviamente retorico. Ricostruendo le grandi sfide economiche e sociali affrontate dai Longobardi e le relazioni del popolo barbaro con le civiltà mediterranee il profilo che si delinea è di una comunità sicuramente conquistatrice e guerriera, che non disdegnava, anzi alimentava la mediazione culturale in secoli di guerre e scontri. Il Ducato di Benevento, rimasto in vita come stato indipendente fin oltre la metà dell’XI secolo, non solo conservò memoria e retaggio del Regno di Pavia abbattuto da Carlo Magno nel 774, ma elaborò un proprio originale ruolo di trait d’union fra le culture mediterranee e l’Europa occidentale.
La mostra nasce con l’intento di aprire lo sguardo dalla metà del VI secolo, dalla presenza gotica in Italia alla fine del I millennio), approfondendo l’eredità del popolo longobardo che nel 568, guidato da Alboino, varca le Alpi Giulie e inizia la sua espansione sul suolo italiano: una terra divenuta crocevia strategico tra Occidente e Oriente, un tempo cuore dell’Impero Romano e ora sede della Cristianità, ponte tra Mediterraneo e Nord Europa.
LA STORIA
Dopo la caduta dell’impero Romano (476 d. C), sotto la guida del saggio re ostrogoto Teodorico iniziò il mezzo secolo di “regno romano-barbarico” in Italia (489-535), considerato dai contemporanei una vera età dell’oro, tanto più se confrontato con i sanguinosi intrighi degli ultimi decenni di dominio romano. L’antica Ticinum, nel frattempo divenuta “Papia” (forse “città del papa”, in quanto sede del primo vescovo ariano) privilegiata dall’edificazione di un palazzo reale, cessò di essere una cittadina romana come altre per assurgere al ruolo di sede stabile della corte ostrogota e del comando militare.
All’imperatore d’Oriente Giustiniano, privo di scrupoli benché cristianissimo, con la morte di Teodorico parve il momento ideale per riprendersi l’Occidente perduto. Sotto la guida dei due abili generali bizantini, Belisario e Narsete, scoppiò la terribile guerra greco-gotica (525-543): vent’anni di ruberie, massacri e pestilenze portarono Italia sull’orlo del collasso, senza contare le pesanti tassazioni postbelliche.
A quel punto i longobardi, già noti per la loro ferocia, decisero di calare in Italia: tutto ebbe inizio con la migrazione dalla Pannonia, voluta da re Alboino. Senza contare che gli àvari, eredi degli unni, nell’antica Ungheria erano temibili vicini di casa, i Longobardi erano assai allettati dalla debolezza dell’Italia bizantina. 150.000 persone guidate da un nucleo da combattimento di circa 80.000 uomini, le “lunghe barbe” sbaragliarono eserciti di Gepidi e i Suebi per poi attraversare le Alpi friulane. Non si trattò di un’invasione, bensì di una vera e propria ondata migratoria.
Il papa interpretò l’invasione come un castigo divino. I barbari adoratori del dio guerriero Wotan (Odino), condotti dal capo clan Alboino, dapprima conquistarono Cividale del Friuli per poi marciare verso ovest, conquistando quasi interamente la pianura Padana: l’unico centro in grado di resistere all’orda per ben tre anni fu proprio Pavia (572); ma in quel lasso di tempo i Longobardi non rimasero ad aspettare, anzi: invasero la Toscana e si spinsero perfino in Francia, fino alla Borgogna.
Ucciso da una congiura ordita dalla celebre moglie Rosmunda e dal fratellastro Elmichi, corrotti dai bizantini, Alboino non vide mai la fine della sua campagna militare. Col successivo avvelenamento di re Clefi (574) ebbe inizio l’età dei trentasei duchi: l’anarchia dei signori della guerra portò alla distruzione di chiese e città, all’uccisione dei preti e all’umiliazione delle donne.
La scelta di Autari, figlio di Clefi, come nuovo re riportò un parziale equilibrio tra longobardi: il popolo libero si rivelò tollerante sotto il profilo religioso e non usò tassare i sudditi più del necessario: mai più di un terzo del raccolto, definito appunto “tertia”. Arroccati in città e accampamenti romani riadattati, i nuovi conquistatori respinsero a più riprese i Franchi, calati da nord nel 576 – 587 e 589, massacrandoli.
Fu così che i bellicosi longobardi occuparono il posto lasciato vacante dai civili ostrogoti. Presto l’antica Regio XI Transpadana divenne “Langobardia”. Nasce il regno dei Longobardi.
CHI ERANO I BARBARI
Occupando terre un tempo romane, i longobardi le fortificarono, edificando capanne dalle fondamenta in pietra e alzato ligneo, di tipologia affine a quelle sassoni. Per quanto riguarda l’arte, i longobardi seppero esprimere fin dall’inizio una cultura figurativa di tipo geometrico – astratto, soprattutto attraverso ia metallurgia, per la quale furono sempre portati. Si possono ricostruire le prime fasi di vita del regno longobardo soprattutto attraverso i corredi dei reperti tombali. Le sepolture maschili sono le più significative per quanto riguarda il corredo d’armi, dipendente dallo status del defunto: lance e scudi, spade lunghe, punte di freccia e speroni. Spesso veniva sepolto perfino il destriero, con riti pagani volti a rispecchiare il legame tra il combattente e la sua cavalcatura.
Per le donne, dipendenti dagli uomini ma tutelate con grande rispetto, la ricchezza e la varietà della gioielleria erano emblematiche del loro status. Gli anelli a sigillo, le else di spada e le fibbie ad arco, ricche di ornamenti geometrico-vegetali tipici del gusto germanico, sono da annoverare tra i capolavori dell’oreficeria alto medievale.
Oltre alla metallurgia, i Longobardi nel tempo seppero sviluppare decorazioni a rilievo, su pietra e stucco: intrecci e grappoli d’uva, foglie e fiori, con la presenza di simboli oramai cristiani come colombe, pavoni, cervi e agnelli e occasionalmente creature richiamate dal folklore nordico come mostri e altri animali fantastici, che porteranno alla nascita della grande scultura romanica. Anche le tipiche crocette in lamina d’oro, da appuntare su mantelli e sudari, si datano agli inizi della cristianizzazione.
Sotto Alboino la prima capitale fu Verona (560), seguita da Milano, (590) antica sede romana imperiale con Agilulfo. Suapavialongobarda moglie, la celebre Teodolinda, stabilì la sua residenza privilegiata a Monza: Pavia divenne definitivamente capitale e sede delle incoronazioni dal 620 d. C., fino alla fine della dominazione.
Nel 590 d. C Papa Gregorio Magno, instancabilmente impegnato a cercare la pace con “gli odiatissimi longobardi” prese contatti con Teodolinda. Per quanto la sovrana si sforzasse di alimentare l’influenza cattolica a corte per via della pressione di papa Gregorio (che le inviava a corte lettere e preziosi regali) il mito della sovrana “cristianizzatrice” è da sfatare: il lento sforzo di convertire i longobardi si riflesse al massimo con l’identificazione di Odino nella figura dell’arcangelo Michele, particolarmente venerato in quanto guerriero. Ecco perché i longobardi rimasero quasi del tutto pagani e ariani per un altro secolo. Eppure, Teodolinda e re Agilulfo, suo sposo in seconde nozze (il suo primo marito era stato l’intraprendente Autari, avvelenato come il padre Clefi), supportarono il monastero più antico del Nord Italia: quello di Bobbio, fondato nel 614 dal celebre missionario irlandese san Colombano, cui concessero beni terrieri, scriptoria e biblioteche. Difatti, i primi amanuensi furono gli irlandesi e non certo i benedettini, stanziati nel Centro-Sud: all’inizio, col motto “hora et labora” i seguaci di San Benedetto, a differenza dei colombaniani, non avevano ancora contemplato lo studio e la trascrizione dei manoscritti antichi. Teodolinda e Agilulfo furono sepolti nella stessa tomba, ritrovata sotto il duomo di Monza.