Il primo oro azzurro nei Giochi Paralimpici a Rio de Janeiro porta la firma di Federico Morlacchi sui 200 msiti SM6. Il campione lombardo ha conquistato il primo titolo paralimpico della sua carriera dominando le vasche in 2’16”72. Già vincitore di una medaglia d’argento nei 400 stile libero S6, il ventiduenne ha conquistato la sua quinta medaglia paralimpica in carriera dopo le tre di Londra, la numero 500 della storia azzurra.
Nei soli primi 4 giorni di gare l’Italia ha conquistato 12 medaglie: oltre all’oro, 5 argenti e 6 bronzi, in cinque discipline: nuoto, paratriathlon, atletica, tiro con l’arco, tennistavolo.
Nuoto: argento con Francesco Bettella sui 100 dorso S1 e poi con Federico Morlacchi, sui 400 stile S9. Un bronzo è poi arrivato con Giulia Ghiretti che ha agguantato la terza posizione nella finale dei 50 farfalla S5. A mettersi al collo un altro bronzo è stato il napoletano Vincenzo Boni nei 50 dorso S3. Argento con Cecilia Camellini nei 400 metri di categoria S11.
Paratriathlon: argento per Michele Ferrarin e Giovanni Achenza, bronzo.
Atletica: Martina Caironi, portabandiera azzurra, argento nel salto in lungo, migliorando di 6 centimentri il suo personal best.
Arco ricurvo: bronzo con Elisabetta Mijno e Roberto Airoldi.
Tennistavolo: bronzo per Giada Rossi nel singolare femminile di classe 2! alla prima partecipazione a una Paralimpiade e bronzo anche per Mohamed Amine Kalem.
Un risultato decisamente incoraggiante che rilancia gli entusiasmi del medagliere azzurro che si era già arricchito delle 28 medaglie olimpiche: 8 ori, 12 argenti e 8 bronzi.
Purtroppo sono state tante le medaglie di legno: 10 e, in qualche caso, sono state accompagnate da rimpianti definitivi come quello di Vanessa Ferrari nella ginnastica, all’ultimo passo in pedana, o di Federica Pellegrini che però ha già detto di non voler finire piangendo. Qualche speranza in più per le “farfalle” della ginnastica ritmica a squadre, che per quattro quinti hanno ancora molta strada da percorrere vista la giovane età.
E giovani sono anche tanti dei ragazzi della pallavolo maschile che per un attimo hanno accarezzato l’idea di ripetere l’impresa della nazionale azzurra dei fenomeni che nel 1990, nello stesso palazzetto di Rio, vinse il suo primo titolo mondiale. Ma quel Brasile che allora venne sconfitto da Bernardi, Lucchetta & Company in semifinale al tie break, 26 anni dopo si è preso la rivincita con gli interessi con un netto 3-0 che non rispecchia però l’equilibrio visto in campo. Ma come detto, “the winner takes it all”. Lo sa bene anche l’italo-cubano Frank Chamizo, campione del mondo di lotta libera ma sorpreso in semifinale dall’azero Asgarov. Per lui ci sarà tempo di rifarsi tra quattro anni a Tokyo.
In un’Olimpiade strana per i colori azzurri, tra tante delusioni e altrettante sorprese, il conteggio finale ha raccontato con le 28 medaglie lo stesso risultato di Londra, con qualche argento in più, un podio in più di Pechino, ma lontano dai trionfi di Atlanta, Sydney e Atene.
Pochi talenti forse, ma anche pochi soldi. Il movimento complessivo sembra da rifondare, magari sul modello inglese: nel 1996 ad Atlanta i britannici presero solo 15 medaglie, un solo oro. A Rio il conteggio finale segna quota 67, due in più rispetto alle Olimpiadi di casa a Londra 4 anni fa, per un secondo posto dietro agli Usa impensabile fino a qualche anno fa. Con un investimento complessivo che poco si discosta da quello italiano, intorno ai 400 milioni l’anno. Questione di efficienza.