“Diritti e sinceri, quel che sono, appaiono: teste quadre, polso fermo e fegato sano: parlano poco, ma sanno quel che dicono: pur camminando adagio, vanno lontano”. Comincia così Rassa Nostrana, la poesia di Nino Costa che racconta le caratteristiche dei piemontesi, provincia per provincia, “gente che non mercanteggia tempo e sudore, razza nostrana, libera e testarda, tutto il mondo sa chi sono e quando passano, tutto il mondo li guarda”.
Un canto che ricorda la grande ondata migratoria che ha interessato il Piemonte nel secolo scorso e spostato grandi numeri verso le fazende del Brasile e dell’Argentina o le miniere di Francia e Germania. Qualche volta, dice la poesia, si ritorna indietro e si crescono i figli nella terra natale ma più spesso accade di “fermarsi nel camposanto di una terra straniera”. 
Un canto che Papa Francesco ha recitato commosso durante l’omelia della sua due giorni a Torino, in occasione dell’ostensione della santa Sindone.
 
Tornando a casa in Piemonte, da dove partirono i suoi nonni per andare a cercare fortuna in Argentina, Jorge Bergolio, ha fatto suo il canto che la nonna Rosa gli aveva insegnato in dialetto e lo ha ricordato al mondo moderno, ai giovani di un mondo globale che partono senza conoscere la storia locale, senza farsi vanto della propria terra, delle origini. 
Nel suo ritorno a casa, ha avuto anche l’opportunità di incontrare i parenti piemontesi, di entrare (cambiando il protocollo all’ultimo momento) nella chiesa di Santa Teresa dove fu battezzato suo padre, di fermarsi per una preghiera in privato nel venerato Santuario mariano della Consolata di Torino e di pregare sulla tomba di don Bosco di cui si celebra quest’anno il bicentenario della nascita. 
 
Dal Piemonte il Papa ha lanciato messaggi di solidarietà e inclusione, pranzando con i rom e i clochard e alcuni detenuti del carcere minorile. Ha manifestato attenzione a disoccupati, cassintegrati e precari. “Esprimo la mia vicinanza ai giovani disoccupati, alle persone in cassa-integrazione o precarie; ma anche agli imprenditori, agli artigiani e a tutti i lavoratori dei vari settori, soprattutto a quelli che fanno più fatica ad andare avanti”. È tornato sul tema del lavoro come diritto sociale. Un appello significativo pronunciato da Torino, capitale produttiva e lavorativa nazionale: “Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e per l’inclusione sociale”. Lo ha detto il Papa aggiungendo che “Torino è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari”. E in materia non ha dimenticato l’equità salariare: “I diritti delle donne vanno tutelati con forza perché le donne, che pure portano il maggior peso nella cura della casa, dei figli e degli anziani, sono ancora discriminate, anche nel lavoro”. 
 
Nel corso della sua visita pastorale, da nipote e figlio di migranti, ha chiesto poi di non colpevolizzate i migranti, tema caldo di questo periodo con l’aumento degli arrivi, le tensioni alla stazione Centrale di Milano ma anche le barriere che molti Stati europei stanno erigendo per frenare l’ondata migratoria. “L’immigrazione aumenta la competizione ma i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’inequità, di questa economia che scarta e delle guerre. Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni, in cui esseri umani vengono trattati come merci”.
 
A Torino ha poi fatto visita alla Sindone, senza però inginocchiarsi di fronte al telo, prima della messa domenicale e dell’Angelus: “La Sindone è immagine di tutte le persone che soffrono. Attira verso il volto e il corpo martoriato di Gesù e, nello stesso tempo, spinge verso il volto di ogni persona sofferente e ingiustamente perseguitata”. Ma non solo. Papa Bergoglio ha sottolineato che se si vuole attivare un circuito virtuoso nel mondo dell’economia occorre “riattivare una solidarietà tra generazioni”.

Il volto che si legge sulla Sindone oggi conservata nel Duomo di Torino

La Sindone è un lenzuolo di lino tessuto a spina di pesce delle dimensioni di circa 4,41 metri per 1,13, contenente la doppia immagine accostata per il capo del cadavere di un uomo morto in seguito ad una serie di torture culminate con la crocefissione. 
L’immagine è contornata da due linee nere strinate e da una serie di lacune: sono i danni dovuti all’incendio avvenuto a Chambéry nel 1532. Secondo la tradizione si tratta del Lenzuolo citato nei Vangeli che servì per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro. Questa tradizione, anche se ha trovato numerosi riscontri dalle indagini scientifiche sul lenzuolo conservato nel duomo di Torino, non può dirsi definitivamente provata. Nel 1988, l’esame del carbonio 14, eseguito contemporaneamente e indipendentemente dai laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, ha datato la sindone in un intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390, periodo corrispondente all’inizio della storia della Sindone documentata. Ciononostante, la sua autenticità continua a essere oggetto di fortissime controversie. La Sindone, per le caratteristiche della sua impronta, rappresenta un rimando diretto e immediato che aiuta a comprendere e meditare la drammatica realtà della Passione di Gesù. Per questo Papa san Giovanni Paolo II l’ha definita “specchio del Vangelo”. 
Le ultime esposizioni pubbliche sono state nel 1978, 1998, 2000, 2010, 2013. L’ultima dal 19 aprile al 24 giugno 2015.

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