A fishmonger at the Ballarò market (Photo: Yulia Grigoryeva/Dreamstime)

Palermo, a city of a thousand colors, a thousand flavors, a thousand noble palaces, a thousand churches, and a thousand monuments; multicultural, a safe haven for foreigners of any race, any origin, any faith. In short, an open-air marketplace where not only material goods but also ideas, customs, and habits are exchanged—in essence, everything that defines culture.

From the broader concept of a marketplace to the actual, physical markets, the connection is short. We might even say that the Greek Agora was, in a way, also a market in its widest sense, as people gathered to discuss politics, art, culture, and, of course, business. This is much like what happens today in markets around the world. So let’s explore the historic markets of Sicilys capital, Palermo—a city that has always welcomed both commercial and cultural exchange. Over the centuries, each market has taken on its own unique character based on its purpose.

Take Ballarò, for instance, which emerged outside the walls of the Punic-Roman fortress and is now one of the largest markets with multiple access points. It spans a vast area filled with shops, stalls, taverns, and street vendors with their carts. In the medieval neighborhood of Albergheria, where Ballarò is located, rebels from Centuripe and Capizzi were settled by order of Frederick II. The name Ballarò is believed to have Arabic origins, from segel-ballareth, meaning “place of the fair.” However, another theory links its name to the agricultural village of Bahara (now Baida, a hill southeast of Palermo), where merchants sourced fruits and vegetables. Over the centuries, the market expanded, and even the streets were widened to allow large, merchandise-laden carts to pass through.

Within the same Albergheria neighborhood, where the Maltempo River once flowed, small markets once stood—though they no longer exist today—near areas where oil was produced. Evidence of this remains in street names, such as Via Trappetazzo, named after the trappeto (olive press) that used to be there.

The Ballarò market (Photo: Dudlajzov/Dreamstime)

The Capo market, (Caput Seralcadi) developed in the upper part of the district known as degli Schiavoni (Harat-as-Saqalibah) and was established outside the city walls, like the five districts that made up the “Borgo,”which was the area where the Muslims—who made up the majority of the district’s population after the Norman conquest—were engaged in trade, and their homes were often also used as shops. The market expanded in the 15th century to include butcher shops after the Bocceria Grande (now Vucciria) was transformed into a fruit and vegetable market. The main entrance to the Capo is still at Porta Carini, where the original gate remains. Along its central axis, you’ll still find an impressive array of fish and seafood, as well as fruits, vegetables, and seasonal produce. The proximity to nearby gardens once added to the market’s offerings, and the pungent smells, combined with the cries of vendors using the traditional abbanniata (a sort of sing-song chant used to promote goods), still tempt the palate today. The abbanniata—a primitive but effective form of advertising inherited from the Arabs—is now part of the vendors’ daily routine.

In the vicolo delle Chianche (named after the butcher blocks, chianche, where meat was chopped), butcher shops used to line the street. Over time, the slaughterhouses were moved elsewhere, and the vicolo dei Sanguinazzai (once famous for its blood sausages, sanguinaccio) lost its connection to that particular trade.

Since the abbanniata is common to all market traders, it’s worth delving deeper into this tradition. Selling well is an art, and for the market traders, who not only have to offer quality goods but also competitive prices, it’s essential: with shops and stalls almost side by side, competition is fierce. The term abbanniata has various possible origins: from the Latin bannum (announcement or edict), from the Gothic bandwo (sign), or perhaps from the Sicilian banna (place). All interpretations are debatable.

Staying in the historic center, we come across the Vucciria market. This market is also vast, with its borders formed by Via Roma (one of the city’s main streets), Piazza San Domenico (home to Palermo’s Pantheon), Corso Vittorio Emanuele (also known as Cassaro), and extending towards the Castello a Mare. The heart of Vucciria is Piazza Caracciolo, named after Viceroy Caracciolo, who in 1783 adorned the market with arcades and masonry shops. The name Vucciria comes from the French boucherie (butcher shop), as it was originally a meat market. Once the butchers moved elsewhere, it became a fruit and vegetable market. Later, it merged with the nearby Logge district, Garraffello, where Genoese, Pisan, and Catalan merchants had settled. Today, the Cervantes Institute, of clear Spanish origin, is housed in the Church of Santa Eulalia dei Catalani on Via Argenteria Nuova.

The streets within the market are often named after the artisans who worked there, such as Via Maccheronai (where pasta makers once had their shops), Via dei Coltellieri (knife makers), and Via dei Pannieri (where cloth was produced).

In northern Palermo, another market, Borgo Vecchio, also thrives, partly due to its proximity to the Politeama Theatre. The market stretches towards the port, offering an array of fresh produce—fruits, vegetables, meat, fish—and large, tempting displays of olives, arranged in pyramid-like mounds topped with red chilies, rosemary sprigs, or garlic, depending on the variety. The area is also home to several mechanical workshops and artisans working with wood and metal.

Palermo, città dai mille colori, dai mille sapori, dai mille palazzi nobiliari, dalle mille chiese, dai mille monumenti; multiculturale, porto sicuro per stranieri di qualunque razza, di qualunque provenienza, di qualunque fede religiosa. Insomma, un mercato a cielo aperto intendendo come tale la possibilità di scambi di beni materiali e immateriali, quindi di idee, costumi, usi, abitudini e, in poche parole, tutto ciò che si definisce cultura.

Ma dal mercato in senso lato ai mercati reali, il passo è breve. Potremmo anche dire che già l’Agorà dei Greci era, in parte, anche un mercato nella sua accezione più vasta in quanto ci si incontrava, si discuteva di politica, di arte, di cultura e anche di affari. Così come accade ancora oggi nei mercati di tutto il mondo. Allora vediamo quali sono i mercati storici della capitale della Sicilia, della città metropolitana, già accogliente per ogni scambio sia esso commerciale che culturale. Nei secoli, infatti, ognuno di loro ha assunto caratteristiche peculiari in base alla propria destinazione. Così quello di Ballarò che sorse fuori le mura della fortezza punico-romana e oggi è uno dei più grandi e con parecchie vie di accesso, copre un vasto territorio fatto di negozi, botteghe, bancarelle, taverne, carretti di venditori ambulanti. Nel quartiere dell’Albergheria, di origine medievale e nel cui territorio si trova Ballarò,  vi furono insediati i ribelli di Centuripe e Capizzi per ordine di Federico II. Già il suo nome svela la sua origine araba: segel-ballareth, ovvero sede di fiera. Ma un’altra ipotesi vede il suo nome derivare dal villaggio agricolo Bahara (oggi Baida, collina a sud est del capoluogo siciliano) dove i mercanti si rifornivano dei prodotti ortofrutticoli. Nei secoli il mercato si è sempre più allargato divenendo davvero esteso e vi furono fatte perfino delle opere per ampliare le strade, in origine molto strette, per consentire il passaggio dei grossi carri colmi di mercanzie. Nel tempo e nello stesso quartiere dell’Albergheria  dove prima si trovava il letto del fiume Maltempo, sorsero – ma oggi non più in uso – dei piccoli mercati vicino ai quali veniva prodotto dell’olio e un riscontro tangibile si ha nella toponomastica: via Trappetazzo, così denominata per la presenza di un trappeto.

Sviluppatosi nella parte alta del quartiere detto degli Schiavoni (Harat-as-Saqalibah) e sorto fuori le mura come i cinque quartieri che costituivano il “Borgo”, sorge il Capo, Caput Seralcadi che era il luogo in cui i musulmani che costituivano la maggioranza degli abitanti del quartiere dopo la conquista dei Normanni, erano dediti alla gestione dei commerci e le loro case erano spesso adibite anche a botteghe. Nel XV secolo avvenne l’espansione del mercato che comprendeva anche i macelli dopo che la Bocceria Grande (Vucciria) fu trasformata in mercato ortofrutticolo. L’ingresso principale si trova ancora oggi a Porta Carini in cui tuttora resiste l’antico portale, e lungo il suo asse principale si trovano tutt’oggi grandi banchi con una grande varietà di pesci e molluschi; e poi ancora frutta, verdura, ortaggi di stagione (un tempo, grazie alla sua vicinanza con i giardini che si trovavano a ridosso del quartiere) e quant’altro stuzzica il palato con i suoi pungenti odori e con le voci dei venditori che ancora oggi non lesinano l’abbanniata (sorta di cantilena per magnificare il proprio prodotto, per spingere a comprarlo. Insomma, una forma primitiva ma efficace di pubblicità, assorbita dagli Arabi). Nel vicolo delle Chianche, così chiamato per via dei venditori di interiora cotte di animali macellati, si trovavano le botteghe dei macellai e ricorrendo sempre alla toponomastica, la Chianca era il ceppo dell’albero sul quale si affettava la carne. Nel tempo i macelli vennero trasferiti altrove e nel vicolo dei Sanguinazzai non si confezionavano più i salsicciotti fatti col sangue degli animali macellati (sanguinaccio).

Ne ho appena accennato ma, poiché l’abbanniata era ed è comune a tutti i commercianti di tutti i mercati, è bene approfondirne la conoscenza. Sapere vendersi bene è un’arte e quella dei commercianti dei mercati che oltre alla qualità delle merci devono reclamizzare anche il buon prezzo, deve essere davvero efficace poiché la concorrenza è tanta in quanto le botteghe, i banchi di vendita, sono uniti, quasi, uno all’altro. L’etimologia è di varia interpretazione: deriva dal latino “bannum”: bando, editto, annuncio pubblico? Oppure dal gotico: “bandwo”, segno, segnale? O forse dal siciliano: “banna”, luogo? Sono tutte possibilità opinabili.

Rimanendo nei luoghi del centro storico della città, il mercato che si incontra è quello della Vucciria. Anche questo è molto vasto e i suoi confini sono costituiti da via Roma, una delle principali arterie della città,  Piazza San Domenico dove si trova il Pantheon di Palermo, corso Vittorio Emanuele ovvero il Cassaro, fino ad arrivare in prossimità del Castello a mare. Il suo centro principale è costituito da Piazza Caracciolo, così chiamata in onore del suo Vicerè, Caracciolo appunto, che nel 1783 abbellì il mercato con portici e botteghe in muratura. Il suo nome, Vucciria, deriva da Bocceria, in francese boucherie, ovvero mercato del macello e della vendita della carne. In seguito, eliminata la macelleria, divenne mercato di verdure, ortaggi, frutta e in seguito si unì al quartiere delle Logge, il Garraffello, dove si erano insediati i mercanti genovesi, pisani e catalani. Oggi vi si trova, nella Chiesa di Santa Eulalia dei Catalani in via Argenteria Nuova, l’Istituto Cervantes di chiara nazionalità spagnola. 

Le strade all’interno del mercato, prendono spesso nome dagli artigiani che svolgono la loro attività e così vi si trova via Maccheronai dove un tempo si trovavano le botteghe di chi produceva pasta fresca; non manca via dei Coltellieri, di facile interpretazione; via dell’Argenteria e anche qui la comprensione è facile; in via dei Pannieri si producevano panni.

Anche nella parte settentrionale di Palermo si trova un mercato, Borgo Vecchio, anch’esso piuttosto e ben frequentato data anche la sua collocazione quasi a ridosso del Teatro Politeama. Arriva fin quasi al porto e tra i suoi prodotti alimentari: frutta, verdura, carne, pesce spiccano grandi banchi colmi di appetitose olive che, in mostra in cumuli piramidali, sono sormontati da peperoncini rossi, da rametti di rosmarino, da spicchi d’aglio a seconda della tipologia. Non mancano, però, diverse officine meccaniche o della lavorazione artigianale del legno e del ferro.


Receive more stories like this in your inbox