It’s nothing new, really: osterieand trattorieare the beating heart of our cuisine. Beside our home kitchens, of course. But that’s the point because there shouldn’t be much of a difference in the atmosphere, the scents and the flavors we love and experience at home, and those of the best osterie across our territory. The great Gualtiero Marchesi used to say that “Italy is a country of inns and innkeepers,“ of osti e trattorie, and he was right. More, perhaps, than many other famous cuisines, ours is based on simplicity, tradition and what nature can offer in season, which are the key elements of the food we should find in osterie. A short clarification about the difference between “osteria” and “trattoria,” which is, in fact, mostly only linguistic, should be given here. While both of them come from the French, “osteria” has been in use since the 13th century, while “trattoria” came to us much later, in the mid-19th century, at the same time as another term we inherited from our Gaulish cousins, “ristorante.” In a twist so typical of our culture, we embraced the foreign and neglected the local, so “trattoria” and “ristorante” didn’t only become more common, but also came to signify higher-quality eateries. But that was one hundred years ago: today, osterie and trattorie are virtually synonyms and there is no difference in quality with the culinary offers of ristoranti. The difference is in the atmosphere and in the type of cuisine.
Let’s step back in time and trace the history of our osterie, which became a thing in the 14th century when commerce and trade were at the heart of the peninsula’s economy and merchants often ate on the road, in osterie. People sitting at their tables came from everywhere and often shared experiences and tales while having food and some good wine; that’s how osterie, in time, became synonymous with socializing and also with a certain level of class-mingling, at least at the beginning. Osterie, in other words, became more than a place to eat, they became a place to find and meet friends, a characteristic they maintained intact through the centuries.
Even today, osterie are a place you go with friends for an easy Sunday lunch, somewhere where the way you are dressed isn’t important and no one complains if your dog is with you.
But while defining an osteria some thirty or forty years ago was simple, today it’s a different story. Carlo Petrini, founder of the Slow Food movement, said it well in an interview with La Cucina Italiana where he explains that an osteria “is a welcoming, familiar place, where food is simple and tasty. Today though, osterie are almost a mythological creature: we all know them and recognize them, but we can’t define them.” And he is right. I myself couldn’t quite put the finger on what’s the real difference between an osteria and a ristorante, besides the atmosphere and that je ne sais quoi I can’t define. Thankfully Petrini, who definitely knows more than I do on the subject, comes to help and explains that modern osterie are of different kinds and that’s why we find it hard, sometimes, to give a proper description of what they are. We have, he says, osterie moderne, offering both traditional and more modern dishes; osterie tradizionali, the most quintessential osteria of them all; agriturismi, which often cook what they grow and produce; and ristoranti di tradizione, restaurants specialized in local cuisine. Each declension of our osterie, from modern to agriturismo and traditional restaurants, has some characteristics in common, of course.
First of all, the menu, which must be focused on quality rather than quantity: better a short, but high-quality set of dishes than a long list of anonymous and generic offerings. Key is also the attention to local culinary tradition: osterie’s food is that of the region or even the provincia where they are located, and their menu changes based on the season and what nature can offer. Bread must be local and, if not made in the kitchen, at least delivered daily from a local bakery; the same is true for desserts: simple, grandma-style, traditional and local are the keywords here, along with – I say this from experience – a penchant for decadently large portions! Desserts should be made in the kitchen or, when not possible, they should come from a local bakery or pasticceria.
Of course, we can’t forget wine, because osterie aren’t only about good food, but also about good wine: it should be always local, just like everything else on the menu. And just like the menu, the wine list of a good osteria doesn’t need to be exceedingly extensive but quality is a must. Last, a good oste must also think about price, because people who choose an osteria aren’t in for 300-dollars-a bottle wines. So quality, yes, but with an eye to people’s pockets, too.
And that’s why the last essential factor that makes an osteria good is how much you pay. Mind, it’s not about eating for cheap, it’s about paying the right price: if ingredients are local and in season they may be cheaper and if the osteria is family-run, service fees should be cheaper for the owner, too.
To sum it up: tradition, simplicity, seasonality, an accent on the territory, the warmth and coziness of home: that’s the perfect osteria, wherever you are in Italy.
Non è una novità: osterie e trattorie sono il cuore pulsante della nostra cucina. Oltre alle cucine di casa nostra, ovviamente. Ma è proprio questo il punto, perché non dovrebbe esserci molta differenza tra l’atmosfera, i profumi e i sapori che amiamo e sperimentiamo a casa nostra e quelli delle migliori osterie del nostro territorio.
Il grande Gualtiero Marchesi diceva che “l’Italia è un paese di osti e trattorie” e aveva ragione. Forse più di tante altre cucine famose, la nostra si basa sulla semplicità, sulla tradizione e su ciò che la natura offre di stagione, che sono gli elementi chiave del cibo che dovremmo trovare nelle osterie. È opportuno fare una breve precisazione sulla differenza tra “osteria” e “trattoria”, che in realtà è per lo più solo linguistica. Se entrambe le parole derivano dal francese, “osteria” è in uso dal XIII secolo mentre “trattoria” è arrivata da noi molto più tardi, a metà del XIX secolo, contemporaneamente a un altro termine che abbiamo ereditato dai nostri cugini gallici, “ristorante”. In un modo così tipico della nostra cultura, abbiamo abbracciato lo straniero e trascurato il locale, così “trattoria” e “ristorante” non solo sono diventati più comuni, ma sono anche diventati sinonimo di ristoranti di qualità superiore. Ma questo accadeva cento anni fa: oggi osterie e trattorie sono praticamente sinonimi e non c’è differenza di qualità con l’offerta culinaria dei ristoranti. La differenza sta nell’atmosfera e nel tipo di cucina.
Facciamo un salto indietro nel tempo e ripercorriamo la storia delle nostre osterie, che si sono affermate nel XIV secolo, quando il commercio e gli scambi erano al centro dell’economia della penisola e i mercanti mangiavano spesso per strada, nelle osterie. Le persone sedute ai loro tavoli provenivano da ogni dove e spesso condividevano esperienze e racconti mentre mangiavano e bevevano del buon vino; è così che l’osteria, nel tempo, è diventata sinonimo di socializzazione e anche di un certo livello di mescolanza di classe, almeno all’inizio. Le osterie, in altre parole, divennero più che un luogo dove mangiare, un luogo dove trovare e incontrare amici, caratteristica che hanno mantenuto intatta nei secoli.
Ancora oggi, le osterie sono un luogo dove si va con gli amici per un pranzo domenicale semplice, dove il modo in cui si è vestiti non è importante e nessuno si lamenta se il cane è con voi.
Ma se trenta o quarant’anni fa definire un’osteria era semplice, oggi è tutta un’altra storia. Lo dice bene Carlo Petrini, fondatore del movimento Slow Food, in un’intervista a La Cucina Italiana dove spiega che un’osteria “è un luogo accogliente, familiare, dove il cibo è semplice e gustoso. Oggi però le osterie sono quasi una creatura mitologica: tutti le conosciamo e le riconosciamo, ma non sappiamo definirle”. E ha ragione. Io stessa non sono riuscita a capire quale sia la vera differenza tra un’osteria e un ristorante, a parte l’atmosfera e quel je ne saisquoi che non riesco a definire. Per fortuna Petrini, che ne sa sicuramente più di me sull’argomento, mi viene in aiuto e mi spiega che le osterie moderne sono di diverso
tipo ed è per questo che a volte facciamo fatica a dare una descrizione corretta di ciò che sono. Abbiamo, dice, osterie moderne, che propongono sia piatti tradizionali che più moderni; osterie tradizionali, la quintessenza dell’osteria; agriturismi, che spesso cucinano ciò che coltivano e producono; e ristoranti di tradizione, ristoranti specializzati nella cucina locale. Ogni declinazione delle nostre osterie, da quelle moderne agli agriturismi e ai ristoranti di tradizione, ha naturalmente alcune caratteristiche in comune.
Innanzitutto il menù che deve puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità: meglio un elenco breve di piatti ma di qualità che una lunga lista di proposte anonime e generiche. Fondamentale è anche l’attenzione alla tradizione culinaria locale: il cibo delle osterie è quello della regione o addirittura della provincia in cui si trovano, e il menù cambia in base alla stagione e a ciò che la natura può offrire. Il pane deve essere locale e, se non fatto in cucina, almeno consegnato quotidianamente da un panificio locale; lo stesso vale per i dolci: semplicità, stile della nonna, tradizione e territorio sono le parole chiave qui, insieme – lo dico per esperienza – a una propensione per le porzioni abbondanti! I dolci dovrebbero essere fatti in cucina o, quando non è possibile, dovrebbero provenire da una panetteria o pasticceria locale.
Naturalmente non possiamo dimenticare il vino, perché le osterie non sono fatte solo di buon cibo, ma anche di buon vino: dovrebbe essere sempre locale, come tutto il resto del menù. E proprio come il menù, la carta dei vini di una buona osteria non deve essere eccessivamente ampia, ma la qualità è d’obbligo. Infine, un buon oste deve pensare anche al prezzo, perché chi sceglie un’osteria non è alla ricerca di vini da 300 dollari a bottiglia. Quindi qualità sì, ma con un occhio alle tasche dei clienti.
Ecco perché l’ultimo fattore essenziale che rende buona un’osteria è quanto si paga. Attenzione, non si tratta di mangiare a poco prezzo, ma di pagare il giusto: se gli ingredienti sono locali e di stagione possono essere più economici e se l’osteria è a conduzione familiare, anche il servizio dovrebbe essere più economico per il proprietario.
In sintesi: tradizione, semplicità, stagionalità, accento sul territorio, il calore e l’accoglienza di casa: questa è l’osteria perfetta, ovunque vi troviate in Italia.
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