Giunio Moderato Columella, morto a Taranto dell’Apulia romana, nel 60 d.c. e uno dei grandi agronomi del tempo, recitava: “Olea prima omnium arborum est”: fra tutti gli alberi, il primo posto spetta all’ulivo. Secondo lo storico Plinio, la penisola italica aveva eccellente olio d’oliva a prezzi ragionevoli già nel I secolo avanti Cristo e il migliore nel Mediterraneo, secondo una classifica (fu il primo a stilarla) di quindici diverse specie di albero d’olivo di cui elencava i pregi.
L’ulivo da sempre è stato simbolo di gloria, purificazione, pace, abbondanza e benedizione. Nell’antichità ha donato le sue fronde per incoronare sia i vincitori di pacifici giochi che i guerrieri di cruenti guerre. Con l’olio, suo prezioso frutto, ha consacrato il capo dei grandi personaggi della Terra e illuminato le lampade votive di tutte le religioni.
I Greci e i Romani, utilizzavano l’olio d’oliva, soprattutto per la cura del corpo. Quasi tutti gli uomini e le donne ne facevano uso. L’olio spalmato sui corpi, aveva una funzione detergente e protettiva, inoltre veniva usato come unguento, arricchito con profumi ricavati da erbe e fiori. Chi aveva capelli e pelle secca, era considerato sporco, per questo motivo dopo essersi lavati, ci si ungeva con olio d’oliva.
In antichità l’olio d’oliva non veniva utilizzato solo per la produzione di balsami profumati, ma veniva usato per preparare numerosi impacchi, unguenti e pomate curative, utili alla cura di ferite sanguinanti, per alleviare il prurito, per le punture provocate da insetti e piante, contro le ustioni della pelle. Inoltre si curavano mal di testa, infezioni delle orecchie, degli occhi e dell’utero, i disturbi intestinali ed epatici. L’olio d’oliva, veniva utilizzato anche in casi di avvelenamento.
Nel XII secolo, la badessa tedesca Ildegarda di Bingen, studiosa naturalista, sosteneva: “L’oglio che viene ricavato dall’ulivo non serve a molto se viene ingerito, perché causa nausea e rende il cibo pesante; invece è utile come medicinale”. Oggi la madre badessa, divenuta Santa nel 2012, avrebbe dovuto riesaminare molti dei suoi studi, modificando le sue teorie nei riguardi dell’olio d’oliva, in quanto nei secoli successivi, e soprattutto nei giorni nostri, sono state comprovate le sue molteplici virtù benefiche, divenendo elemento base di una sana e corretta alimentazione.
Con la caduta dell’Impero romano e le invasioni barbariche, la coltivazione dell’olivo perse quella importanza economica. Tuttavia nei secoli successivi, ebbe momenti di ripresa, grazie al lavoro e alla dedizione di alcuni ordini monastici, quali Benedettini, Cistercensi e Basiliani, che fecero rifiorire l’importante economia olivicola.
Non si videro forse mai tanti oliveti e vigne come dal Mille al Quattrocento, gli anni d’oro dei monaci Benedettini e Cistercensi.
Furono proprio questi ordini conventuali a ricreare prima in Puglia e poi in tutto il meridione d’Italia, le grandi estensioni di ulivi, concessi in gestione ai contadini, con contratti di concessione “ad laborandum”.
Primi fra tutti, furono i Benedettini, che per preminenti motivazioni liturgiche dovevano tenere in vita la tradizione oleicola, operando secondo la regola ‘ora et labora’. Devoti al credo della preghiera e del lavoro, persuadevano contadini ed operai agricoli a non abbandonare le terre ma a dedicarsi a colture redditizie quali l’olivo.
Il grande animatore dei Cistercensi fu invece Bernardo Chiaravalle, “l’ultimo dei padri della Chiesa”. I suoi monaci insegnarono ai contadini, delusi dallo stato di semi-schiavitù in cui si trovavano, a dissodare i campi, a piantare colture da reddito, a rendersi indipendenti come fattori di produzione.
Dopo il 1000, saranno le spinte religiose e politiche a riavviare le attività in virtù soprattutto delle ricche donazioni di uliveti fatte alla Chiesa da Longobardi, Normanni, Svevi e Angioini e saranno le Repubbliche marinare a riattivare il commercio internazionale di olio; nel XIII secolo i Veneziani ne stabiliscono il prezzo: 3 ducati per 1000 libbre di olio proveniente dalla Puglia e dalla Campania; 1 ducato per 1000 libbre di altra provenienza.
L’olio d’oliva divenne uno dei più importanti riferimenti commerciali, capace di far decollare l’economia dell’epoca, divenendo un’importante attività trainante. Tanto che, opportunamente, i feudatari imposero i ‘diritti prediali’, veri e propri soprusi con i quali, ad esempio, si vietava l’impianto arbitrario di macine da frantoio, e chi ne aveva bisogno, doveva servirsi esclusivamente del trappeto del feudatario.
A Turi, nel Barese, il trappeto del feudatario, “il barone”, era impiantato al largo del castello (attuale palazzo marchesale). “…Coverto a lamia con porta che corrisponde fuori le mura della terra, situato sotto la grada principale e a fianco di questo segue un basso grande coverto a lamia con finestrino con cancello di ferro verso il cortile coverto, e grada di esso si impiana in due cisterne per conservare olij di capacita some 100” (100 some equivalgono a 184 quintali).
Tra i tanti abusi, vessazioni e balzelli, posti in essere dal feudatario, c’era quella di corrispondergli la decima parte del prodotto raccolto, ‘l’esazione della decima dell’olio’, come anche quella delle olive, del vino, delle mandorle, dei legumi e di altri frutti che si raccoglievano nel territorio di Turi.
All’inizio del XIV secolo, la Puglia divenne un enorme e diffuso uliveto, e ben presto numerose piantagioni sorsero anche in tutta l’Italia meridionale. Verso la metà del ‘500, il mercato dell’olio in Puglia era diventato tanto importante, che il Vicerè di Spagna, De Riveira, per agevolarne il trasporto e la commercializzazione, fece costruire una strada di collegamento da Napoli verso la Puglia, Calabria e l’Abruzzo. In quel tempo una salma d’olio costava 14 ducati (1 salma equivaleva a 350 litri). Il ducato, all’epoca di Carlo V d’Asburgo (1516-1556) pesava 3,53 grammi in oro, quindi dovremmo ritenere che un ducato dell’epoca varrebbe, più o meno, circa 43,60 euro attuali.
Nel ‘600, con la dominazione spagnola, furono aumentate le tasse sulla produzione dell’olio ed il Real Governo instaurò contratti a termine della durata di due o tre anni (non più convenienti per il coltivatore).
Tuttavia la produzione d’olio, riprese a crescere nel 1700, con lo sviluppo del libero mercato e con l’esenzione di tasse sugli uliveti per la durata di 40 anni. Nel 1830, Papa Pio VII garantiva un premio in denaro per ogni olivo piantato e curato sino all’età di 18 mesi. Dei 18 antichi trappeti, impiantati nel comune di Turi, tutti, tranne due, erano impiantati ‘extra moenia’, in particolare erano allocati nelle immediate vicinanze dalle antiche mura urbiche.
E’ doveroso ricordare l’importanza che rivestiva l’olio d’oliva nella produzione del sapone, all’interno delle ‘saponiere’, del suo utilizzo nelle ‘concerie’ per la lavorazione delle pelli, e per alimentare le lucerne, usate nelle nostre abitazioni sino agli inizi del ‘900.
Sin dai tempi antichi si parla di saponificazione e d’olio d’oliva, dove dai porti più importanti del Mediterraneo, fra questi Taranto e Gallipoli, partivano le navi con grandi carichi d’olio d’oliva di scarsa qualità ‘lampante’ e ‘acido’, diretti verso i grossi centri del nord Europa, dove era sviluppata l’industria della saponificazione.
Anche in Puglia, se pure modeste, erano attive le saponiere, opifici artigianali gestiti dai laboriosi ‘saponari’. Un’attività parallela ai frantoi, per la quale spesso si utilizzavano i residui d’olio, la cosiddetta “fezze” rimasta nei fondi delle cisterne o nei fondi dei comuni contenitori per l’olio.