Perché i Neanderthal si estinsero 40 mila anni fa? Uno dei grandi misteri della paleoantropologia è oggetto di una ricerca pubblicata dalla rivista Reviews of Geophysics e frutto della collaborazione tra geologi dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Ismar) e dell’Università della Florida a Gainesville.
Combinando le datazioni sulla scomparsa dei Neanderthal (41.030-39.260 anni fa) dai principali siti paleolitici con dati genetici, i paleomagnetisti Luigi Vigliotti e Jim Channell hanno identificato l’Evento di Laschamp, una delle principali escursioni del campo magnetico terrestre, avvenuta 41 mila anni fa (41.300+/-600 anni) come il fattore che probabilmente causò l’estinzione. Il campo magnetico, infatti, funziona come schermo di protezione contro i raggi UV provenienti dal cosmo e la ricerca dimostra che sono stati gli effetti delle radiazioni UV a selezionare in modo irreversibile i nostri antenati Cromagnon a scapito dei Neanderthal, a causa di una variante genetica di una proteina nota come recettore arilico (AhR), sensibile agli UV, che fu loro fatale durante quel breve intervallo di tempo (circa 2000 anni) di minima intensità del campo magnetico.
“Neanderthal e Sapiens hanno convissuto, incrociandosi, per alcune migliaia di anni, come dimostrano le ‘impronte’ lasciate nel nostro DNA e i tratti somatici di alcuni individui contemporanei”, spiega Luigi Vigliotti del Cnr-Ismar.
“La loro estinzione è stata oggetto di numerose ipotesi, incluso l’istinto ‘fratricida’ dei nostri antenati. Nel 2016 un gruppo di biologi molecolari ha scoperto l’esistenza di una piccola variante genetica Ala-381 nel recettore arilico dei Neanderthal rispetto al Val-381 dei Sapiens (e dei fossili Cro-Magnon), che fu interpretata come un vantaggio nell’assorbimento delle tossine prodotte dal fumo legato allo stile di vita trogloditico. Il recettore arilico è infatti fondamentale nel regolare l’effetto tossico della diossina. La coincidenza con i tempi dell’estinzione dei Neanderthal suggerisce che invece fu lo stress ossidativo prodotto dalla mancanza dello schermo fornito dal campo magnetico terrestre rispetto ai raggi UV ad essere responsabile della loro scomparsa”.
Molti organismi acquatici e terrestri hanno sviluppato strategie per limitare i danni che i raggi UV – in aggiunta ai loro effetti positivi nella sintesi della vitamina D e nel contrastare virus, batteri e parassiti – possono procurare alla struttura del DNA. “Non è un caso, secondo il nostro studio, che la fine del Laschamp segni l’uscita di scena dei Neanderthal e l’espansione dei Cro-Magnon, cioè dell’uomo moderno”, prosegue Vigliotti. “Il Laschamp non fu per altro fatale solo ai neanderthaliani. Nello stesso intervallo di tempo in Australia si estinsero 14 generi di mammiferi, soprattutto di grossa taglia, come dimostra la drastica diminuzione nei sedimenti delle tracce di ‘sporormiella’, un fungo coprofilo che vive sullo sterco di grandi animali erbivori, proprio in corrispondenza del minimo di intensità del campo magnetico terrestre. Un altro minimo osservato circa 13 mila anni fa portò alla scomparsa di 35 generi di grandi mammiferi in Europa e soprattutto in Nord America intorno a questo intervallo di tempo, quasi in un ‘istante’ geologico. Questi due focolai di estinzione dipendono dalla diminuzione dell’ozono stratosferico durante gli episodi di bassa intensità di campo magnetico e dal ruolo della radiazione ultravioletta ben più che dall’overkill da parte dell’uomo o dal cambiamento delle condizioni climatiche”.
La ricerca appena pubblicata analizza anche le relazioni tra intensità del campo magnetico ed evoluzione umana negli ultimi 200 mila anni, l’intervallo di tempo che ha visto lo sviluppo dell’Homo sapiens. “Abbiamo integrato tutti i dati fossili esistenti con le datazioni delle ramificazioni principali dell’evoluzione umana in base all’analisi del DNA mitocondriale e del Cromosoma-Y. Nonostante la scarsità dei materiali fossili e i margini di errore delle metodologie utilizzate per ricostruire l’età delle ramificazioni dei vari aplogruppi (gruppi con lo stesso profilo genetico) umani, abbiamo trovato interessanti relazioni”, conclude il ricercatore Cnr-Ismar.
“La datazione a circa 190 mila anni fa dei resti fossili del più antico Sapiens conosciuto (Omo Kibish, trovato in Etiopia) e del Mithocondrial Eve, il nostro più recente antenato comune su base matriarcale, coincide con un altro momento di assenza del campo magnetico terrestre noto come Iceland Basin Excursion. L’evoluzione umana ha poi avuto vari sviluppi concentrati tra 100 e 125 mila anni fa, nell’ultimo interglaciale, che hanno fatto considerare il clima uno dei fattori che hanno guidato l’evoluzione. Anche in questo caso però registriamo un altro minimo del campo magnetico terrestre: l’evento di Blake (125-100 mila anni fa). Con il procedere delle conoscenze sulla ricostruzione del campo magnetico, del suo ruolo nel modulare i raggi UV e di quello dell’AhR rispetto agli effetti di queste radiazioni, e quando saranno disponibili più accurate datazioni di nuovi reperti fossili e miglioramenti nella filogenesi umana, si chiarirà meglio il ruolo che l’intensità del campo magnetico gioca nell’evoluzione di tutti i mammiferi e forse non solo”.