Era il 25 aprile del 1926 quando, al Teatro alla Scala di Milano, andò in scena la prima della Turandot, scritta da Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni. Fu la rappresentazione postuma di un’opera lasciata incompiuta dal grande compositore toscano, morto nel novembre del 1924.
Nonostante il finale fosse stato affidato dalla casa editrice Ricordi al compositore Franco Alfano, il giorno della prima il direttore d’orchestra Arturo Toscanini, che pure aveva spinto per affidare ad Alfano la parte mancante, decise di interrompere tutto lì dove Puccini era arrivato a scrivere la versione definitiva. Quella sera, sul palcoscenico, a interpretare la protagonista della storia, la principessa Turandot, figlia dell’imperatore della Cina, c’era la cantante soprano polacca Rosa Raisa, che indossava dei meravigliosi costumi realizzati dallo scenografo, costumista e illustratore Luigi Sapelli, in arte Caramba. Quegli stessi costumi a un certo punto scomparvero. Per decenni nessuno seppe più nulla finché, nel 2018, tanto misteriosamente come se ne erano perse le tracce, vennero di nuovo alla luce all’interno di un baule acquisito dal Museo del Tessuto di Prato.
Appartenuto a un altro soprano, la pratese Iva Pacetti, il baule conteneva materiale del suo guardaroba, anch’esso dato per perduto da anni. Tra i tesori ritrovati c’erano appunto due costumi e due gioielli di scena tra quelli realizzati da Caramba per la prima della Turandot, identificati come tali da Daniela Degl’Innocenti, conservatrice presso il museo pratese.
A partire da quella incredibile scoperta ecco l’idea di allestire una mostra dedicata alla genesi dell’opera, ai costumi di Caramba, all’allestimento e alle scenografie, che invece Puccini affidò al suo amico pittore Galileo Chini, uno dei grandi protagonisti del Liberty italiano, che aveva già collaborato col compositore toscano per la rappresentazione newyorkese de Il tabarro e per il Trittico.
Essendo la Turandot una storia ambientata in Oriente, la scelta di Chini fu assai azzeccata. L’artista, infatti, aveva vissuto per diversi anni in Thailandia, tornando in Italia con centinaia di pezzi d’artigianato cinese, giapponese e thailandese, che servirono da ispirazione per molte sue opere, tra cui ovviamente anche le scenografie e gli allestimenti dell’opera di Puccini.
Oltre 100 di quegli oggetti, oggi conservati nella collezione Chini presso il Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze, co-organizzatore del progetto, sono in mostra fino al 21 novembre insieme ai costumi e ai gioielli di scena di Caramba, che erano in pessimo stato e sono stati restaurati, grazie a una campagna di crowdfunding, dal Consorzio Tela di Penelope di Prato per i costumi e da Elena Della Schiava, Tommaso Pestelli e Filippo Tattini per i gioielli.
In esposizione, inoltre, ci sono tele dello stesso Chini, provenienti da collezioni private; i bozzetti delle scenografie, anch’essi da collezioni private e dall’Archivio Storico Ricordi di Milano; altri 30 costumi dell’opera ritrovati negli anni ’70 e provenienti dall’archivio della Sartoria Devalle di Torino; i bozzetti originali di Filippo Brunelleschi, che venne inizialmente scelto da Puccini per i costumi; e il manifesto originale della prima dell’opera, illustrato dal grande Leopoldo Metlicovitz, così come la riduzione per canto e piano, pubblicata da Ricordi nel 1926.
Il percorso espositivo della mostra – che occupa circa 1.000 metri quadri complessivi – si apre nella Sala dei Tessuti Antichi con una selezione di circa 120 oggetti della collezione Chini, proveniente dal Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze. Questa mostra rappresenta dunque un’occasione per valorizzare una delle collezioni più preziose e interessanti del Sistema Museale dell’Ateneo fiorentino.
Il visitatore potrà ammirare tessuti, costumi e maschere teatrali, porcellane strumenti musicali, sculture, armi e manufatti d’uso di produzione thailandese e cinese – suddivisi per ambiti tipologici all’interno di grandi teche espositive – che sono stati continua fonte di ispirazione per l’Artista e sono diventati soggetti di suoi numerosi dipinti.
L’esposizione prosegue al piano superiore con una sezione dedicata alle scenografie per la Turandot e al forte influsso che l’esperienza in Siam ebbe nell’evoluzione del percorso creativo e stilistico di Chini.
Accanto a opere provenienti da collezioni private e a molti reperti inediti e curiosi – come una tradizionale piroga monoposto di legno in uso a quei tempi per solcare le acque del fiume Menam, per molti anni conservata nella casa al mare di Lido di Camaiore e utilizzata dallo stesso Chini sulle mare della Versilia – si cita a titolo di esempio la tela raffigurante La fede, parte del trittico La casa di Gothamo di proprietà della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Invece, la grande tela raffigurante la Festa dell’ultimo dell’anno a Bangkok, anch’essa appartenente alla Galleria, è oggetto di un’installazione multimediale che dialoga con una bellissima testa di dragone della Collezione Chini.
La terza e ultima sala riunisce gli straordinari costumi. Infatti, accanto a quelli della protagonista di proprietà del Museo sono esposti anche 30 costumi straordinari provenienti dall’archivio della Sartoria Devalle di Torino: l’Imperatore, Calaf, Ping, Pong e Pang, il Mandarino, i Sacerdoti, le Ancelle, le Guardie, i personaggi del Popolo.