The Abbey of Montecassino today (Photo: Lianem/Dreamstime)

The Abbey of Montecassino is a symbol of spirituality, history, and resilience.

The patron Saint of Europe and father of Western Monasticism Benedict of Norcia founded the abbey in 529 AD. He had reached the hills of Montecassino from Subiaco, on foot, with other monks: they planned to find the perfect spot to build a monastery and give their community a home. And that hill, the same hill where, today, Benedetto’s majestic abbey still stands, couldn’t go unnoticed: the Romans, not many centuries before, had built their temples to Apollo and Jupiter there, and it was their vestiges that welcomed Benedict and his brethren. There, on the highest spot of the hill, where trees and nature had conquered back their space around the temples, Benedict set the founding stone of his religious community.

The first structures to be built were the Oratorio di San Martino and the Oratorio di San Giovanni Battista: the latter was to become the heart of the early Benedictine community at Montecassino. It is interesting to note that some of the ancient Roman features of the area, including a watchtower and walls, were kept and became part of the new structure.

Benedict called his abbey home until the day of his death, on the 21st of March 547. Those were years of hard work, of reflection and meditation, planning and prayer, which bore as a result not only the construction of the abbey, but also the compiling of the Benedictine Rule, written in 534, the first document of Western Monasticism and the foundation of the Benedictine Order.

But the history of the Abbazia is not only made of prayer but also pain and destruction. In 581, it was attacked and destroyed by the Lombard Duke of Spoleto: the surviving monks left Montecassino and traveled to Rome, bringing along the original copy of their Rule, the one written by Benedict, which had miraculously survived the catastrophic attack. It took 200 years for the precious document to return to Montecassino. In those early centuries of the Middle Ages, Montecassino Abbey became a center of culture and knowledge, as well as spirituality, a hub of beauty and wisdom. Until 883, when the Saracens attacked the monastery again. Once more, the monks were forced to flee – this time to Teano. Once more, they managed to rescue the original copy of their Rule. However, the fate of the precious document was sealed: it was destroyed during a fire only a few years later.

In 950 the monks returned to what was left of their abbey and, in a show of resilience and Faith, they restored it to its former glory: it was the beginning of another bountiful time for the abbazia, which became known for its scriptoria where talented scribes would copy and decorate pages and pages of parchment. In the 17th century, Montecassino’s architectural compound became what we are familiar with today, with its church, three cloisters, and the monastery.

Statue at Montecassino Abbey (Photo: Karzof Pleine/Dreamstime)

But speaking of Montecassino, at least after the mid-20th century, doesn’t only mean speaking about art and spirituality, but also about the tragedy of war. Of course, in its more than 1000 years of history, as we’ve seen, the abbey fell victim to the brutality of Man on more than one occasion, but it is the very last time it happened that remains clearly and vividly impressed in our memory: it’s because of the infinite power of images and sounds, of and memories that are still alive in the mind of some, even today.

From the 17th of January 1944 until the 18th of May of the same year, the Gustav Line, one of the areas where fighting between the Nazis and the Allied Forces was taking place more violently, crossed the lands around the abbey and the town of Cassino: the battle caused the death of more than 30.000 German soldiers and the Allies lost even more, with 27.000 fallen Americans, 26.000 Britons and thousands of French, Poles, Indians and even Maoris. Among them, also 400 Italian Partigiani. This is the reality of war, the brutality of Man against Man. While the battle was fought largely on the ground – hence the terrifying number of fatalities – terror came also from the skies, especially for the abbey, which was razed to the ground by Allied bombings over the space of three days, from the 15th to the 18th of February 1944.

Bombing a religious complex was, to many, an unspeakable and unjust act, but it was necessary, the Allies said, to demoralize the Germans, who had been defending the abbey under the explicit request of Adolf Hitler – for its strategic position, of course, not because the man cared about God or beautiful art.

Montecassino Abbey no longer existed physically, but its spiritual presence and its artistic patrimony were safe: most of its works of art had been moved to Rome before the abbey found itself under fire. A year later, when the war was still fought in Italy, Abbot Diamare and his monks, who had found protection in Rome, returned to what was left of their home, of their abbey, and symbolically began reconstruction.

It was the beginning of a new era.

In 1964, twenty years after it was erased from the face of the Earth by war, the new Abbazia di Montecassino was consecrated again by Pope Paul VI: a symbol of human resilience, spiritual power and, symbolically, of the victory of Beauty and Good over the ugliness of violence.

This article was inspired by Maurizio Carvigno‘s article Abbazia di Montecassino, un capolavoro risorto dalle ceneri, published on Passaggi Lenti, at www.passaggilenti.com

L’Abbazia di Montecassino è un simbolo di spiritualità, storia e resistenza.

Benedetto da Norcia, santo patrono d’Europa e padre del monachesimo occidentale, fondò l’abbazia nel 529 d.C. Aveva raggiunto le colline di Montecassino da Subiaco, a piedi, con altri monaci: avevano intenzione di trovare il luogo perfetto per costruire un monastero e dare una casa alla loro comunità. E quella collina, la stessa dove ancora oggi sorge la maestosa abbazia di Benedetto, non poteva passare inosservata: i Romani, non molti secoli prima, vi avevano costruito i loro templi ad Apollo e Giove, e furono le loro vestigia ad accogliere Benedetto e i suoi confratelli. Lì, sul punto più alto della collina, dove gli alberi e la natura avevano riconquistato il loro spazio intorno ai templi, Benedetto pose la prima pietra della sua comunità religiosa.

Le prime strutture ad essere costruite furono l’Oratorio di San Martino e l’Oratorio di San Giovanni Battista: quest’ultimo sarebbe diventato il cuore della prima comunità benedettina di Montecassino. È interessante notare che alcune delle antiche caratteristiche romane della zona, tra cui una torre di guardia e le mura, furono mantenute e divennero parte della nuova struttura.

Benedetto visse nella sua abbazia fino al giorno della sua morte, il 21 marzo 547. Furono anni di duro lavoro, di riflessione e meditazione, di pianificazione e preghiera, che portarono come risultato non solo la costruzione dell’abbazia, ma anche la compilazione della Regola Benedettina, scritta nel 534, il primo documento del monachesimo occidentale e la fondazione dell’Ordine Benedettino.

Ma la storia dell’Abbazia non è fatta solo di preghiera ma anche di dolore e distruzione. Nel 581 fu attaccata e distrutta dal duca longobardo di Spoleto: i monaci superstiti lasciarono Montecassino e si recarono a Roma, portando con sé la copia originale della loro Regola, quella scritta da Benedetto, che era miracolosamente sopravvissuta al catastrofico attacco. Ci vollero 200 anni perché il prezioso documento tornasse a Montecassino. In quei primi secoli del Medioevo, l’Abbazia di Montecassino divenne un centro di cultura e conoscenza, oltre che di spiritualità, un polo di bellezza e saggezza. Fino all’883, quando i Saraceni attaccarono nuovamente il monastero. Ancora una volta i monaci furono costretti a fuggire, questa volta a Teano. Ancora una volta, riuscirono a salvare la copia originale della loro Regola. Tuttavia, il destino del prezioso documento era segnato: fu distrutto durante un incendio solo pochi anni dopo.

Nel 950 i monaci tornarono a ciò che restava della loro abbazia e, in una dimostrazione di resilienza e di Fede, la riportarono al suo antico splendore: fu l’inizio di un altro periodo generoso per l’abbazia, che divenne nota per i suoi scriptoria dove talentuosi scrivani copiavano e decoravano pagine e pagine di pergamena. Nel XVII secolo, il complesso architettonico di Montecassino divenne quello che conosciamo oggi, con la sua chiesa, i tre chiostri e il monastero.

Ma parlare di Montecassino, almeno dopo la metà del XX secolo, non significa solo parlare di arte e spiritualità, ma anche della tragedia della guerra. Certo, nei suoi oltre 1000 anni di storia, come abbiamo visto, l’abbazia è stata vittima della brutalità dell’uomo in più di un’occasione, ma è proprio l’ultima volta che è successo, che rimane chiaramente e vividamente impresso nella nostra memoria: è per la potenza infinita di immagini e suoni, di ricordi che sono ancora vivi nella mente di alcuni, ancora oggi.

Dal 17 gennaio 1944 al 18 maggio dello stesso anno, la Linea Gustav, una delle zone dove si combatteva più violentemente tra i nazisti e le forze alleate, attraversava le terre intorno all’abbazia e alla città di Cassino: la battaglia causò la morte di più di 30.000 soldati tedeschi e gli Alleati ne persero ancora di più, con 27.000 caduti americani, 26.000 inglesi e migliaia di francesi, polacchi, indiani e persino maori. Tra loro, anche 400 partigiani italiani. Questa è la realtà della guerra, la brutalità dell’uomo contro l’uomo. Se la battaglia fu combattuta in gran parte a terra – da qui il terrificante numero di vittime – il terrore venne anche dal cielo, soprattutto per l’abbazia, che fu rasa al suolo dai bombardamenti alleati nell’arco di tre giorni, dal 15 al 18 febbraio 1944.

Bombardare un complesso religioso fu, per molti, un atto inqualificabile e ingiusto, ma necessario, dissero gli Alleati, per demoralizzare i Tedeschi, che avevano difeso l’abbazia su esplicita richiesta di Adolf Hitler – per la sua posizione strategica, ovviamente, non perché si avesse a cuore Dio o la bella arte.
L’abbazia di Montecassino non esisteva più fisicamente, ma la sua presenza spirituale e il suo patrimonio artistico erano al sicuro: la maggior parte delle opere d’arte era stata trasferita a Roma prima che l’abbazia si trovasse sotto tiro. Un anno dopo, quando la guerra era ancora combattuta in Italia, l’abate Diamare e i suoi monaci, che avevano trovato protezione a Roma, tornarono a ciò che era rimasto della loro casa, della loro abbazia, e simbolicamente iniziarono la ricostruzione.

Era l’inizio di una nuova era.

Nel 1964, vent’anni dopo essere stata cancellata dalla faccia della terra dalla guerra, la nuova Abbazia di Montecassino fu consacrata nuovamente da Papa Paolo VI: un simbolo della resilienza umana, della forza spirituale e, simbolicamente, della vittoria del Bello e del Bene sulla bruttezza della violenza.
Questo articolo è stato ispirato dall’articolo di Maurizio Carvigno Abbazia di Montecassino, un capolavoro risorto dalle ceneri, pubblicato su Passaggi Lenti, su www.passaggilenti.com.

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