“Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/ ché la diritta via era smarrita”. Sono i versi, notissimi, con cui ha inizio il Canto I dell’ “Inferno”. Milioni di studenti in tutto il mondo hanno avuto prima o poi a che fare con la “Divina Commedia” di Dante Alighieri. Bene, le cronache narrano dove esattamente il manoscritto dell’ “Inferno” sia stato completato e per la prima volta diffuso: avvenne presso l’attuale Monastero di Santa Croce a Bocca di Magra, frazione del Comune di Ameglia, ai confini tra Liguria e Toscana, antichissima come testimonia già la presenza di una villa marittima romana, dotata anche di impianto termale, edificata probabilmente tra il I secolo a.C. ed il IV secolo d.C.
 
Varie sono le ipotesi circa l’origine della massima opera dantesca ma, a confermare tale localizzazione, contribuisce una lettera scritta attorno all’anno 1315 da un frate del posto, frate Ilaro, al Signore di Pisa, Uguccione della Faggiola. Lettera, in cui il religioso narrò d’aver udito un pellegrino bussare alla porta del monastero. Quel pellegrino era Dante Alighieri. Chiestogli “che volesse”, egli “non rispondeva -è precisato nella missiva- ma stava guardando il fabbricato. Di nuovo chiesi che volesse o che cercasse… Allora egli disse: pace”. Chi è pratico della zona, sa cosa significhi inerpicarsi a piedi dal lido sino all’antica struttura: nulla di strano, dunque, nella richiesta del grande poeta. Che poteva tuttavia esser motivata anche da altre ragioni, essendo egli all’epoca esule.
 
Ad ogni modo, pare non fosse così infrequente la presenza di Dante da queste parti. E fu proprio lui a consegnare il testo dell’Inferno a frate Ilaro, affinché lo recapitasse ad Uguccione, com’è scritto nella lettera. Lettera nota già ad un altro grande della letteratura italiana, Boccaccio, che la trascrisse e se ne servì per redigere il proprio “Trattatello in laude di Dante”. 

Il Cippo dedicato a Dante Alighieri nel cortile del monastero

Scenario di questa vicenda fu l’edificio risalente al Mille, ove risiedeva -e tuttora risiede- la piccola comunità di religiosi del posto, passata di Ordine in Ordine: eretta, secondo le cronache, dal “monacho de Corvo” su “32 giove di terra” donati il 2 febbraio 1176 dal Vescovo di Luni, soltanto dieci anni dopo subentrarono i Benedettini di S.Michele in Pisa, che qui stettero per due secoli. Poi l’insicurezza del luogo suggerì di abbandonarlo. Per circa 300 anni rimase deserto, il che ne accelerò il degrado. Solo nel 1600 riprese ad essere abitato.
 
Verso metà Ottocento divenne proprietà, assieme all’ampio parco, di una famiglia locale, quella dei Fabbricotti, che -da ferventi fedeli quali erano- decisero di ristrutturare ed ampliare il complesso. Poi, qualche decennio dopo la morte dei coniugi, esattamente 60 anni fa, il Card. Anastasio Ballestrero, carmelitano, già Generale dell’Ordine e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, notò la gradevole località. All’epoca era Provinciale della Liguria e trasformò l’area in una Casa di Spiritualità, erigendo, sopra l’antico monastero ove ancora oggi vivono i suoi confratelli carmelitani, un vasto edificio, che da allora ospita gruppi, parrocchie, movimenti e famiglie in cerca di un’oasi, ove ritemprare anima e corpo. Lo stesso Card. Ballestre-ro trascorse qui gli ultimi dieci anni della sua vita e qui morì, presso lo stabile chiamato “Il Fortino”, il 21 giugno 1998.
 
Sin dalla fondazione nella cappella absidale dell’originario nucleo monastico è conservato l’antico Crocifisso ligneo, da cui l’intero sito ha preso il nome di Santa Croce. Cronologicamente risalente all’anno Mille, le prime documentazioni storiche rimaste risalgono al 1176. La singolarità dell’opera sta nel rappresentare non l’aspetto sacrificale, la sofferenza di Cristo -come molte altre-, bensì il suo trionfo, la sua vittoria, ben raffigurata nel volto ieratico, solenne, imponente del Salvatore. 
Lo scorso primo agosto, nel cortile interno del palazzo apostolico di Castelgandolfo, al termine della Catechesi, il Papa Benedetto XVI, ha personalmente benedetto una Corona, realizzata dagli argentieri fiorentini, corona che è stata posta sul capo del Crocifisso il 14 settembre, solennità dell’Esaltazione della Santa Croce, dall’Arcivescovo di Pisa, mons. Giovanni Paolo Benotto, ricomponendo così l’antico legame, che, pochi anni dopo la fondazione, pose il Monastero sotto la Badia pisana di S.Michele degli Scalzi in Orticaria. Nel Duomo di Pisa sono peraltro conservati i resti del co-patrono dei frati di Bocca di Magra, S.Nicodemo.
 
Sarà un momento di fede e di festa per la comunità dei frati e per coloro che trascorreranno quei giorni presso la struttura. Struttura, che ogni anno accoglie migliaia di ospiti non solo dall’Italia, ma dalla Germania, dalla Francia, dalla Svizzera e dagli Stati Uniti. 
E dove, qualche anno fa presso il Monastero di Santa Croce fu celebrato un matrimonio “italo-statunitense”. 

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