Nel 2012 hanno chiuso mille imprese al giorno. Servono misure concrete o la recessione continuerà nel 2013 

Il conto più salato del 2012 lo ha pagato il Nord, Lombardia esclusa. Le imprese del Nord-Est che hanno chiuso sono state circa 6.600. Il Centro viceversa, ha registrato (sia nel 2011 che nel 2012) un tasso di crescita superiore a quello medio nazionale: da solo determina oltre il 55% di tutto il saldo nazionale dello scorso anno. Decisamente positivo anche il contributo che viene dal Mezzogiorno (49,5%).

I dati sulla natalità e la mortalità delle imprese sono stati resi noti da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da InfoCa-mere, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane che hanno confrontato i dati raccolti su base territoriale. 
 
A livello locale, sette regioni su 20 hanno fallito l’obiettivo della crescita: Friuli Venezia Giulia e Basilicata (che già nel 2011 avevano chiuso l’anno col segno meno), Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Molise. L’Umbria, solo per una questione numerica, risulta stare con le regioni a saldo positivo ma nella pratica la situazione di stallo è più evidente del passaggio numerico da 0,17% del 2011 a 0,21% del 2012. 
 
Usando i numeri del registro, che poi sono quelli della crisi, si legge che nel Nord-Ovest ci sono state 100.240 iscrizioni di nuove imprese e 96.268 cessazioni, nel Nord-Est 70.149 iscrizioni e 75.067 cessazioni, nel Centro 85.818 iscrizioni contro 75.315 cessazioni, nel Sud 127.676 iscrizioni e 118.322 cessazioni. 
 
Complessivamente sono state 383.883 le imprese nate nel 2012 cioè, tradotto in parole che danno il senso della recessione in atto, sono il valore più basso degli ultimi otto anni e ben 7.427 in meno rispetto al 2011. Quelle che nel 2012 hanno cessato l’attività perchè non più redditizie o obbligate a chiudere dai debiti e dalla stretta creditizia, sono state 364.972: mille ogni giorno e 24mila unità in più rispetto all’anno precedente. 
 
In pratica il saldo tra imprese iscritte e cessate è stato di 18.911 imprese, il peggior risultato dopo due anni consecutivi di lieve recupero e un dato vicino a quello del 2009, l’anno peggiore dall’inizio della crisi. 
 
Osservando i settori produttivi, il manifatturiero ha perso 6.515 imprese, una ferita per il tessuto imprenditoriale che si lega a quello dell’artigianato, che ha chiuso l’anno con 20.319 ditte in meno, al motore storico delle costruzioni (-7.427) e a quello primario dell’agricoltura (meno 16.791). Solo questi quattro macro-settori insieme rappresentano il 38,1% delle imprese.
 
Segnali positivi arrivano invece da alloggio e ristorazione (+11.438), commercio al dettaglio (+8.005), agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (+5.505), attività professionali, scientifiche e tecniche (+4.576). Secondo Infocamere under 35, immigrati e donne, attività del turismo, del commercio e dei servizi alle imprese e alle persone sono le tipologie di imprenditori e i settori di attività che, nel 2012, hanno mantenuto in lieve attivo il bilancio anagrafico delle imprese italiane (+0,3% contro il +0,5 del 2011). 
 
O, anche, evitato il fallimento completo. A quando misure concrete per un’inversione di rotta che faccia “cessare” la crisi?

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