Undicesima su quindici: davanti soltanto alla Grecia e Lussemburgo, e a “pari merito” con Francia e Danimarca.
L’Indice delle liberalizzazioni 2014 elaborato dall’Istituto Bruno Leoni, centro studi che ha sede a Milano e Torino e che promuove le idee liberali in Italia ed Europa, traccia un quadro decisamente negativo del grado di liberalità del mercato economico italiano.
L’indice, presentato all’ Istituto Don Luigi Sturzo di Roma alla presenza del Ministro per lo Sviluppo Economico Federica Guidi, misura il grado di apertura liberale di 15 Stati dell’Unione europea prendendo in considerazione dieci differenti settori della loro economia (mercato del gas naturale, del lavoro, mercato elettrico, poste, telecomunicazioni, televisione, trasporto aereo, trasporto ferroviario e assicurazioni).
“Capire quanto un Paese sia liberalizzato e in quali settori – si legge nel report annuale che approfondisce i risultati delle ricerche – è importante perché la promozione della concorrenza è una delle leve attraverso le quali un governo può stimolare la crescita economica”.
Avere un punteggio basso sul totale dei mercati presi in considerazione significa, quindi, essere contraddistinti da un mercato fortemente limitato dal punto di vista della concorrenza. E se gli Stati in cima alla classifica sono di norma aperti alla pluralità di voci all’interno del loro mercato (qualcuno lo è in diversi settori, qualcun altro soltanto in alcuni), quelli che chiudono la classifica tendono ad aver un atteggiamento maggiormente “protezionista”.
In base all’Indice dell’Istituto Bruno Leoni, il mercato maggiormente liberale risulta essere quello inglese, con un punteggio totale di 94 punti percentuali su 100, cioè il massimo grado di liberalità totalizzabile secondo i parametri presi in esame.
Seguono Paesi Bassi, Spagna e Svezia con 79 per cento; Germania con 76; Portogallo (73); Austria (72); Belgio (70); Finlandia e Irlanda (69); Italia, Francia e Danimarca (66); Lussemburgo (65) e Grecia con 58. E anche se nel 2013 l’Italia ha sì guadagnato tre posizioni rispetto al ranking 2012, come precisa il report questo è dovuto “più per il peggioramento altrui che per propria virtù, in quanto nel nostro Paese non si registrano grandi cambiamenti, anche se si colgono pienamente gli effetti delle timide aperture operate nel 2012”. Il Regno Unito, più nel dettaglio, conferma la propria leadership grazie a una diffusa adozione di regole di mercato liberali, mentre la Grecia occupa l’ultima posizione a causa di una regolamentazione che limita il libero mercato.
L’Italia, invece, anche se si posiziona quinta nei trasporti aerei e sesta nelle telecomunicazioni (87 punti percentuali su 100) e nelle assicurazioni, occupa tuttavia l’ultima posizione nel settore televisioni e la penultima in quello dei carburanti, del lavoro e delle poste.
Inoltre, se si prende come riferimento il ranking Doing Business 2015 elaborato dalla Banca Mondiale per valutare la facilità di fare impresa nei differenti stati a livello mondiale, il confronto con gli altri Stati risulta ancora una volta negativo nei confronti del Belpaese. Singapore è il mercato ideale dove fare business (gli Stati Uniti sono il settimo totale dopo Nuova Zelanda, Hong Kong, Danimarca, Corea del Sud e Norvegia) mentre per trovare l’Italia, che per la cronaca ha perso 4 posizioni rispetto a quello del 2014, bisogna scendere fino alla 56° posizione, dietro a Turchia, Ungheria e Bahrain.
“Crescita e occupazione – ha detto il Ministro Guidi durante la presentazione dell’Indice Bruno Leoni – sono i pilastri fondamentali sui quali lavora questo governo.
In ambito economico, il nostro obiettivo è quello di liberalizzare il mercato per riuscire ad attrarre investimenti e aprire alla concorrenza, arrivare a un abbassamento dei prezzi e, di conseguenza, dare la possibilità a più soggetti di accedere al mercato e ai suoi servizi. Contiamo di fare ciò con una serie di provvedimenti di semplificazione e di riduzione della pressione fiscale che verranno approvati già nelle prossime settimane”.