(Ph.Luca Ferrari)

Tra le tante placide località bellunesi da cui partire per escursioni dal sapore antico, c’è Rocca Pietore, nell’Agordino.    Trascorsa la notte in un piccolo hotel della zona, l’indomani, dopo una robusta colazione e l’incontro con un gigantesco gregge di pecore al pascolo, ci vogliono pochi minuti di macchina per raggiungere il campo base e muovere i primi passi lungo il Lago Fedaia (2030 metri), nei pressi dell’omonimo Passo al confine tra Veneto e Trentino-Alto Adige, destinazione il rifugio Pian dei Fiacconi. Scartata l’ipotesi bidonvia (un po’ troppo aperta), salgono in cattedra gambe, sudore e natura. Si cammina. Move on!  

La vegetazione è subito molto fitta. Il verde ricopre ogni scorcio visivo. Lì nascosta ci potrebbe essere qualche vipera. Meglio far tuonare i propri scarponi da trekking nel passaggio, cosicché il rettile se ne vada via senza infastidire. Le indicazioni del Cai – Club Alpino Italiano sono onnipresenti. Lì dove non ci fosse il nome, c’è l’attiguo numero dipinto sulla roccia. Possenti conifere emanano aromi di resina.   Una prima parte del tragitto viene “benedetta” da un immenso costone che dispensa ombra in quantità. La pacchia però finisce presto e il sole lancia la sua sfida. A dispetto di una certa abbondanza floreale, non v’è traccia di corsi d’acqua. Si sente solo un delicato percolare, quasi sotterraneo, ma evidentemente talmente ricco da far fiorire soffice muschio di un verde intenso. Il contatto ne conferma la soave sensazione, facendo dissipare in un attimo i troppi fantasmi interiori e annessi mimetismi della società contemporanea.  

Nonostante i caldi raggi solari si facciano sentire, più di un nevaio si distingue tra la bigia massa rocciosa.  Via via che si sale, il sentiero si fa sempre più stretto. Nessun pericolo, ma una certa attenzione è necessaria. A destra c’è il monte, a sinistra è meglio non cadere. In alcuni tratti un po’ più esposti è stata collocata una robusta corda per aggrapparsi, ma il tracciato è alla portata di chiunque. Poco dopo, un piccolo ponticello da attraversare fa molto Indiana Jones. Finalmente si arriva a Col de Bous (2438 m s.l.m.). Da qui si vede ogni cosa.    Un vecchio fortino giace sotto la montagna, probabilmente della prima Guerra Mondiale. Più sopra c’è lei, la Marmolada. Che tutto domina e guarda. La presenza ghiacciaio-nevosa è sempre più ingombrante. L’ultimo tratto prima del meritato riposo è una tirata quasi senza sentiero. Più facile in salita che in previsione della discesa.   

Dopo due ore scarse, l’arrivo a Pian dei Fiacconi a 2626 metri sul livello del mare. Lo staff della baita ha messo cortesemente a disposizione dei gitanti mollette e corda per stendere i propri indumenti sudati e così farli asciugare. I bambini lì fuori anticipano le vacanze invernali divertendosi su di un’ampia fetta di neve sotto l’occhio vigile dei genitori.    Il cielo azzurro diventa terra di conquista di coraggiosi cirri dalle forme più disparate. Prima di prendere la strada del ritorno, una robusta porzione di strudel è quello che ci vuole per rimettersi in forze.   

Di nuovo in marcia. Nella prima parte di discesa si va ancora più lenti che in salita. A dispetto dell’ora mezzo-pomeridiana il sole non fa sconti. Nemmeno a oltre 2500 metri di altitudine. Quando ormai i fiori sono di nuovo parte del mio intercedere quotidiano, lascio il sentiero segnato provando qualche via alternativa senza troppo successo.    La strada non battuta però mi fa provare l’emozione di camminare in un torrente (senz’acqua), ritrovandomi nel suo letto vuoto e consegnando alla mia fronte e braccia accaldate un po’ d’acqua conservata in una cavità. Sono ormai le sette di sera passate e finalmente ritrovo il Lago Fedaia. I colori del presente si fondono con le tinte del passato. Il viaggio prosegue

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