Maretto, comune piemontese di 393 abitanti della provincia di Asti.

Collocato sulle colline del Monferrato a 240 metri sul livello del mare, nei pressi di Villafranca d’Asti, il suo nome deriva dal latino Maletum cioè meleto, luogo caratterizzato dalla rilevante presenza di alberi di melo. Le attestazioni più antiche del toponimo risalgono agli inizi del 1200. Maletum o Meletum era un insediamento di probabile origine romana. Sul luogo dell’antico centro si trova un pilone dedicato a S. Michele che ricorda l’antica Chiesa scomparsa di Meletum ed è ancora riconoscibile il sito dell’antico cimitero che venne utilizzato dagli abitanti di Maretto fino al 1925. L’antico insediamento, nel corso dei secoli XIII-XIV, diede origine a tre distinti centri abitati ma la formazione di Maretto nella sede attuale si può far risalire ai secoli XII-XIII.

  La Chiesa parrocchiale di Maretto

  La Chiesa parrocchiale di Maretto

Inizialmente si dovette trattare di un semplice luogo fortificato intorno al quale, poco per volta, si trasferì una parte della popolazione di Meletum. Della struttura fortificata più nulla rimane se non il castello di Maretto. Sulle cause e i tempi in cui il castello fu abbando­nato o distrutto non si hanno notizie. Da un punto di vista monumentale è rilevante la Chiesa di Santa Croce. La prima pietra fu posta nel 1686 e quando fu consacrata ottenne da Roma una reliquia della Santa Croce, custodita in un apposito armadio dietro l’altare maggiore ed esposta ai fedeli nella festa dell’Invenzione della Santa Croce. La reliquia ottenne l’approvazione del vescovo di Asti Michele Amatore Lobetti nel 1839. Si tratta di un frammento di legno custodito in un piccolo reliquiario d’argento.

Oggi questa festa liturgica ha preso il nome di “Esaltazione della Santa Croce” e si celebra il 14 settembre. Da visitare anche la chiesetta campestre della Madonna dei Sette Dolori. Risale agli anni trenta del XVIII secolo. La denominazione più antica è “Beata Vergine Maria dei Sette Dolori”.  

Navelli, comune abruzzese di 614 abitanti della provincia dell’Aquila.

  Il borgo storico di Navelli

  Il borgo storico di Navelli

 

 
Fa anche parte della comunità montana Campo Imperatore-Piana di Navelli. Si trova a circa 700 metri di altezza e a 34 km dalla città dell’Aquila. La Piana di Navelli, insieme a quella di Capestrano, alla Valle Peligna, l’Altopiano delle Rocche, e l’altopiano delle Cinquemiglia, costituisce il complesso di altopiani abruzzesi interni. A causa del salto di quota che si ha rispetto alla costa, la Piana costituisce un limite climatico tra la zona sub-collinare o marittimo-adriatica e quella interna montana. Il clima è rigido e poco piovoso, per le catene montuose della Maiella e Gran Sasso, e la Piana è battuta da venti di forza considerevole. I primi insediamenti italici nella zona di Navelli si fanno risalire ai Vestini intorno al VI secolo a.C. Come traccia di queste origini si ha un’iscrizione conservata nel Museo Archeologico di Napoli e risalente al III secolo a.C. che cita un tempio italico dedicato a Hercules Iovius nel sito dell’attuale Chiesa di Santa Maria in Cerulis.
 
L’attuale paese fu fondato dall’unione in epoca medievale (VIII-X sec.) di sei villaggi di cui restano alcune chiese medievali, come quella di Santa Maria in Cerulis. I villaggi originali si riunirono in un unico castello, costruito sul colle dove tuttora si trova il paese. La fortezza era dotata di una torre che, in epoca rinascimentale, venne trasformata nel campanile della chiesa parrocchiale. Sulle rovine del castello, poi, fu costruito nel 1632 il Palazzo Baronale. Le abitazioni vennero costruite in epoca medioevale nella zona della “Villa di Piceggia grande”, ampliandosi in epoca rinascimentale verso la “Villa di Piceggia piccola”: le due zone, medievale e rinascimentale, sono ancora distinguibili nell’abitato.
 
Il castello di Navelli appartenne alla Diocesi di Valva e nel 1269 partecipa alla fondazione del Comitatus Aquilano nel Quarto di Santa Maria. Nel 1498 il Castello di Navelli fu cinto da mura; una delle cinque porte del paese (la Porta Villotta o Porta Sud) fu in seguito inglobata nel Palazzo Onofri.
 
Oliveto Lucano, comune lucano di 479 abitanti della provincia di Matera.
 
È situato su una piccola altura circondata da piantagioni di olivo e si trova all’interno del Parco naturale di Gallipoli Cognato-Piccole Dolomiti Lucane. Il piccolo centro sorge alle falde del monte Croccia, dove si trova un’importante area archeologica, in un territorio ricco di boschi. A partire dal VII sec. a.C. inizia quello che gli storici individuano come fase di “integrazione” tra la colonizzazione magno-greca della costa e le popolazioni lucane dei rilievi interni. Come è noto, i greci colonizzarono le coste joniche e da queste, attraverso le naturali vie di penetrazione quali i fiumi Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni, raggiunsero i territori interni diffondendo la civiltà ellenica e commercializzando i prodotti della città magnogreche. Nel caso specifico, gli Achei, partiti da Metaponto, risalendo il Cavone e il Salandrella raggiunsero il sito di Garaguso, e poi attraverso il torrente Pisciolo arrivarono nell’attuale territorio di Oliveto Lucano.
 
Il paese è dominato dalla  Chiesa Madre, intitolata a Maria Santissima delle Grazie: sorge alla sommità del paese, in stile romanico a tre navate, conserva all’interno tre altari in lamine di bronzo ed una tela con l’immagine dell’Immacolata. Importanti i ruderi dell’area archeologica di Monte Croccia: sono i resti di un’antica città lucana sorta tra il VI ed il IV secolo a.C., dei quali sono visibili alcuni tratti di mura ad archi. Ad Oliveto si svolge la festa del Maggio, antico rito arboreo di origini pagane inserito nella festa religiosa di San Cipriano, protettore di Oliveto.
 
Il Maggio è il fusto di un albero di cerro, che viene abbattuto la prima domenica di agosto e trainato in paese il giorno dell’inizio della festa patronale, al suono di zampogne ed organetti. In quello stesso giorno, viene abbattuta una cima di agrifoglio, e trasportata a spalle in paese tra canti e balli. Il Maggio (lo sposo) e la Cima (la sposa) entrano in paese all’imbrunire,  il 12 agosto, giorno della processione di San Cipriano. 
 

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