Il cuore del capoluogo aquilano (Ph© Florence Leandri | Dreamstime.com)

Dai Quattro Cantoni, incrocio del cardo e decumano della città capoluogo d’Abruzzo, lungo il Corso largo e a pochi metri da Piazza Duomo, l’antica piazza del Mercato, si trova sulla sinistra uno degli edifici più stupefacenti e maestosi dell’Aquila: Palazzo Cipolloni Cannella. Le sue ragguardevoli dimensioni – oltre 2.500 metri quadrati di superficie distribuiti su tre livelli – ne fanno uno dei più vasti edifici del centro storico dell’Aquila, città d’arte tra le più preziose d’Italia.

Edificato nel 1490 dalla famiglia Pica Camponeschi, il palazzo cambiò più volte proprietari fino all’acquisto da parte dei Bonanni, nel Seicento, e due secoli dopo dai Cipolloni Cannella.
Immota manet – letteralmente “resta ferma”, ben salda alle avversità, recita il motto sul gonfalone civico dell’Aquila. Con una felice intuizione coniò la locuzione latina l’umanista aquilano Salvatore Massonio, traendola da un brano delle Georgiche di Virgilio in cui si celebra la capacità della quercia di radicarsi fortemente nel terreno e, dunque, di rimanere ben ferma. Il palazzo, negli ultimi tre secoli, ha resistito seppure con danni a tre terremoti, del 1703, del 1915 che distrusse la Marsica e l’ultimo del 6 aprile 2009 che ha infierito sulla città che ne porta ancora fresche le ferite. E’ sempre risorto, Palazzo Cipolloni Cannella, per diventare ancora più attraente, conservando una parte del passato e ogni volta innovandosi, simbolo d’una città che rinasce sempre più bella dai terremoti che l’hanno duramente colpita nei quasi otto secoli della sua storia. Anche questa volta l’accurato restauro dai danni del sisma ha restituito al palazzo la sua splendente magnificenza.

Varcato l’ampio portone d’ingresso s’ammira il trionfo architettonico dell’armonioso cortile a loggia. Salite le imponenti scale s’arriva al piano della Casa d’Aste Gliubich.
Loris Di Giovanni è il responsabile del dipartimento libri antichi, incisioni e manoscritti della Casa d’Aste, della quale è fondatore e amministratore unico Gianluca Gliubich, antiquario alla seconda generazione.
La famiglia ha origini nella croata Stari Grad, nell’isola di Lesina, un po’ a sud di Spalato, ora conosciuta col nome di Hvar. Notizie su questa antica famiglia le fornisce l’abate Simone Gliubich. Nel suo «Dizionario degli Uomini Illustri della Dalmazia» stampato a Vienna nel 1856 il prelato, valente storico e membro di prestigiose accademie, fa risalire l’avo più antico a tale Francesco Gliubich, nato a Sebenico all’inizio del XVI secolo da un’antica e nobile famiglia ungherese, rifugiatasi in Croazia dopo l’invasione dei turchi. I Gliubich da Trieste, città con la quale avevano sempre intrattenuto rapporti commerciali, si trasferirono nelle Marche, da dove arrivò nel capoluogo abruzzese il nonno di Gianluca, Nicolò Gliubich, ufficiale delle Poste.

Loris stringe tra le mani il catalogo di quella che si preannuncia tra le più importanti aste d’antiquariato cartaceo, non tanto per il numero considerevole dei lotti che verranno esitati, ben 552, quanto per la qualità eccellente. Sicuramente è questo già di per sé un record, la prima asta che si batterà in Abruzzo. Tra i volumi due preziosi incunaboli, il «Supplementum Summae Pisanellae» di Niccolò da Osimo, stampato nel 1474 a Venezia e un Digesto di Giustiniano impresso sempre nella città lagunare nel 1491 da Bernardino de Tridino de Monteferrato (Giolito de Ferrari), detto “lo Stagnino”.

Tra le incisioni spiccano «Le insegne della Morte» di Albrecht Dürer e, dello stesso autore, una «Resurrezione” tratta dall’edizione di Koppmayer, realizzata ad Augsburg nel 1675. Straordinario un manoscritto di gnomonica illustrato, uno sulla Vita e le Opere del Cardinal Mazzarino e un altro di Cronache Aquilane con la storia della città del medico e scrittore Francesco Ciurci, arricchito dal Registro de’ baroni abruzzesi che contribuirono alle Crociate e da un poemetto in ottava rima di Mariano Marerio sulla storia del «Morbo qual fu in L’Aquila» nell’anno 1528.
Sempre aquilano è un altro magnifico documento, un diploma rilasciato dal Camerlengo cittadino che attesta la nobiltà del barone Piero Alfieri e della di lui moglie Margherita Branconio, in pergamena arricchita da disegni delle armi de’ Branconio e stemma della Real Casa Imperiale di Spagna, nonché di bolla in ceralacca. La famiglia Branconio di cui si parla nell’attestato di nobiltà, era originaria di Collebrincioni, attuale frazione dell’Aquila distante circa 10 km dal centro storico. Nella Chiesa di San Silvestro del capoluogo abruzzese i Branconio avevano una cappella di famiglia. Ancor oggi vi si può ammirare una copia della Visitazione di Raffaello Sanzio. L’originale, trafugato dagli spagnoli nel 1655, è conservato a Madrid nel Museo del Prado. Fu Giambattista Branconio, richiamato nel diploma citato, a commissionarlo a Raffaello quale regalo per suo padre Marino.

Attira l’attenzione, il top lot dei disegni in asta, «L’Incoronazione della Vergine» di Giorgio Vasari ma anche il «Thesaurus Antiquitatum Sacrarum» di Ugolino Blasio, composto da 34 volumi in gran folio antico in piena pergamena per complessive 22.000 pagine, arricchito da 55 enormi tavole sulla storia degli Ebrei.
Saranno eccezionalmente battute diverse lettere di sovrani europei, tra le quali quelle vergate da Carlo V (1540) e Filippo di Spagna (1620), ma anche altre dei re di Polonia e del Brasile. Infine, una quantità incredibile di disegni di Francesco Paolo Michetti, fanno il paio con due libri: l’edizione stampata nel 1714 del «Philosophiae Naturalis Principia Mathematica» di Isaac Newton e il «Methodus inveniendi lineas curvas» di Eulero.


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