Il maestro Riccardo Mannelli, uno dei più importanti disegnatori e illustratori satirici italiani, ha esposto lo scorso 30 gennaio le sue opere al Building Bridge Art Exchange di Santa Monica, presentando la mostra Notes For The Reconstruction of Beauty curata dal Dott. Gianluca Draghetti. L’artista è stato ospite anche dell’IIC di L.A. che il 4 Febbraio ha dedicato all’artista un evento speciale con la partecipazione del Console Generale Antonio Verde e il presidente del BBAX, Dott.ssa Marisa Caichiolo. Gli inizi del Maestro risalgono agli anni ‘70 cui seguirono periodi di reportage durante i quali Mannelli, attraverso la sua matita, raccontò il mondo stando in trincea in paesi in guerra come la Russia di Gorbachev, il Cile di Pinochet o l’Argentina post-regime. Mannelli oltre a vantare importanti collaborazioni con pubblicazioni satiriche, riviste e noti quotidiani come La Repubblica e Il Fatto Quotidiano, ha sempre coltivato e approfondito la ricerca pittorica come forma espressiva. Le radici di Mannelli sono, infatti, più artistiche che editoriali poiché la sua formazione da autodidatta, come da lui definita, spazia dalla storia dell’arte anche grottesca dei maestri francesi dell’ Ottocento fino all’Espressionismo tedesco, al dopoguerra e ai grandi movimenti per i diritti civili degli anni sessanta statunitensi e inglesi.
Dott. Mannelli lei è considerato ed è uno dei più’ bravi disegnatori italiani. Da dove nasce lo stile satirico delle sue illustrazioni?
Sin da ragazzo mi piaceva disegnare con una vena grottesca influenzata anche dal primo underground americano. La mia satira nasce come atteggiamento prima culturale e poi politico ma nel senso allargato del termine, non come schieramento. Quando ho iniziato la mia carriera, verso metà anni 70, l’Italia e il resto del mondo erano ancora sotto la pressione di movimenti legati sia al sociale, che al politico. In quel periodo eravamo molto idealisti e ho sempre pensato che il lavoro artistico fosse uno strumento per veicolare idee e disagi.
Come è stata accolta in quel periodo la satira?
La satira è sempre poco accolta e quando va bene viene semplicemente sopportata. Ma è nell’ordine delle cose e se facendo satira non susciti alcuna reazione probabilmente non sei riuscito a comunicare e forse hai sbagliato mestiere.
Mannelli, lei ha realizzato molti disegni anche in condizioni estreme in paesi in guerra…
Ho sempre voluto vivere in prima persona i miei progetti. Quello che mi ha più impressionato, come nel caso della guerra civile nell’ex-Jugoslavia, è che per puro istinto di sopravvivenza non coglievo la gravità del pericolo che mi circondava. Questa condizione umana accompagnava anche le popolazioni coinvolte che, pur in una situazione di conflitto quotidiano, riuscivano a condurre una vita pseudo-normale tramite uno stato di continua rimozione.
In cosa si differenzia secondo lei l’illustrazione italiana dall’offerta artistica americana?
L’offerta italiana si distingue per la sua originalità e la moltitudine di proposte anche se tendiamo ad essere autoreferenziali e quindi poco efficaci. Gli USA grazie a una situazione culturalmente avanzata con più punti di riferimento sono quantitativamente più forti forse con un rischio di omologazione ma non nel senso negativo, è un dato di fatto che i loro prodotti abbiano egemonizzato il mondo.
Che bilancio fa dopo la sua prima esperienza negli USA e che impressioni le ha suscitato L.A. ?
È stata per me un’esperienza importante perché ho affrontato il mio primo viaggio negli States presentando i miei lavori e ho riscontrato da parte del pubblico reazioni positive sul piano artistico e culturale. L.A. può sembrare per la sua vastità un non luogo, ma in realtà è una città molto dinamica e che attrae con un magnetismo universale idee, permettendo compromessi e influenze tra differenti culture. A Los Angeles se sei determinato e la tua proposta è consistente hai la sensazione che ci sia spazio per tutti e soprattutto per atti di spontanea incoscienza.
Dott. Draghetti come è nata l’idea della mostra Notes for The Reconstruction of Beauty?
Arrivai a L.A. due anni fa per motivazioni personali, non lavorative. Da immigrante ho sentito la mia identità come sotto attacco. Ho voluto iniziare la mia esperienza a L.A. continuando a essere quello che sono, occupandomi dell’umanità e di chi la sa raccontare. Mi sono così lasciato ispirare da Coppola quando durante la conferenza stampa a Cannes per “Apocalypse Now” disse di aver fatto un disastro da 74 milioni di dollari; allo stesso modo pensando alla mostra di Mannelli ho voluto finanziarmi il lusso di fare qualcosa che mi appartenesse, ma non per capriccio intellettuale. La mostra è anche il frutto della scelta di offrire al pubblico americano il patrimonio artistico espressivo italiano senza la presunzione di portare l’arte a L.A.
Dott. Draghetti che accoglienza ha avuto la mostra da parte della comunità angelina?
La mostra è stato un successo e il pubblico del BBAX è stato sorprendente per l’interesse e il modo in cui ha apprezzato i lavori di Mannelli in cui sono presenti anche molti nudi. È stata anche una dimostrazione di come non contino le sovrastrutture che ci accompagnano quando ci avviciniamo all’arte. Gli americani e gli italo-americani sembrano reagire all’arte con una vera e spontanea reazione emotiva. Bergamot Station è concettualmente uno spazio meraviglioso e penso che Mannelli abbia portato una ventata di energia. Siamo stati accolti con grande entusiasmo anche dall’IIC e dal Console Generale Antonio Verde, grande appassionato, esperto di arte ed estimatore di Riccardo Mannelli. In generale penso che gli americani non abbiamo mai smesso di ammirare la nostra creatività e dovremmo quindi ripartire da questo continuo e incondizionato riconoscimento abbandonando quell’aurea di insicurezza che ci sta accompagnando negli ultimi 10 anni e ripartire da dove eravamo rimasti.