Situato sotto la chiesa secentesca di San Giuseppe dei Falegnami, originariamente parte del Foro Romano (Comizio), il Carcere Mamertino è la più antica prigione di Roma.
Era formata da due piani sovrapposti di gallerie scavate alle pendici meridionali del colle del Campidoglio: nel più profondo venivano rinchiusi i prigionieri di stato, i rivoltosi e i capi di popolazioni nemiche, poi uccisi per strangolamento, come ad esempio successe a Giugurta, Vercingetorige e ai partecipanti alle rivolte di Caio Gracco e di Catilina. Nell’altro erano invece trattenuti i colpevoli di reati minori, fino alla pronunzia del loro giudizio.
Un’antica tradizione popolare vuole che qui siano stati rinchiusi anche i Santi Pietro e Paolo, i quali fecero miracolosamente scaturire dal terreno una sorgente d’acqua, riuscendo a convertire e a battezzare non solo alcuni compagni di prigionia, ma anche i propri carcerieri, Processo e Martiniano, divenuti martiri a loro volta.
Secondo la tradizione, scendendo nel carcere, Pietro batté il capo contro la parete, lasciando nella pietra la propria impronta, sin dal Settecento protetta con una grata.
Intorno al VII d.C. divenne luogo di culto legato alla figura degli Apostoli Pietro e Paolo. La tradizione permise la conservazione del carcere che fu trasformato in una chiesa (San Pietro in carcere) e luogo di pellegrinaggio. Tradizionalmente tale consacrazione sarebbe avvenuta nel IV secolo per volere di papa Silvestro I. I dipinti di IX-XIV secolo rimessi in luce durante i restauri nel carcere sono il primo documento storico-artistico da riferire alla Chiesa di San Pietro in Carcere.
E’ considerato uno dei complessi monumentali più importanti della storia di Roma.
I recenti scavi hanno dimostrato come all’inizio dell’età repubblicana (V-IV a.C.) avesse una funzione sacrale incentrata sulla fonte sotterranea, che ancora sgorga all’interno del Tullianum.
Gli archeologi hanno trovato all’interno una stipe votiva, per cui hanno ipotizzato che il Tullianum, vicino alla rupe Tarpea (la parete rocciosa posta sul lato meridionale del Campidoglio dalla quale venivano gettati i traditori condannati a morte, che in tal modo venivano simbolicamente espulsi dall’Urbe), sia stato un luogo sacro, probabilmente dedicato al culto delle acque.
Fino a un anno fa, cioè prima che il sito fosse chiuso per una campagna di scavi finanziati da privati con l’Opera Romana Pellegrinaggi che ha coordinato il progetto, la prigione era costituita da due ambienti. Il Carcer, l’ambiente superiore, di pianta trapezoidale costruito in epoca repubblicana (IV-II secolo a. C), e ricordato dalle fonti antiche come luogo di reclusione per i nemici pubblici dello Stato Romano in attesa di essere giustiziati e che nello specifico risalirebbe al periodo di Anco Marzio (640-616 a.C.), e il Tullianum, l’ambiente inferiore a forma circolare e legato a una fonte sotterranea che risalirebbe all’epoca arcaica ovvero a quella di Servio Tullio (578-534 a.C.). Le prime attestazioni del luogo risalgono al IX secolo a.C.
Ora ne sono stati scoperti altri che saranno visitabili a partire dal 21 luglio. In uno di questi è stato ritrovato un affresco databile tra il XIII e XIV secolo raffigurante la “più antica Madonna della Misericordia mai rinvenuta a Roma” con un manto rosso che copre i fedeli.
Ma anche, spiega Patrizia Fortini, l’archeologa che ha diretto gli scavi, è stato ritrovato insieme a uva, semi e nocciole , e a bicchieri e calici, probabilmente per funzioni rituali, “il limone, con tanto di polpa e semi, più antico in un contesto archeologico del Mediterraneo. Era parte delle offerte per un rito votivo e le analisi al radiocarbonio lo datano al 14 d.C., molto prima, cioè, di quando fino a oggi si pensava che il limone fosse arrivato dall’Asia”.
Per il soprintendente Francesco Prosperetti: “Le indagini archeologiche degli ultimi anni ci restituiscono non solo un monumento celeberrimo, ma la sua straordinaria vicenda, legata a doppio filo con le origini di Roma e l’intera storia della città”.
Più si scende più si passa dal noto a quanto finora era ignoto: dalle pietre paleocristiane con gli affreschi, alle rocce d’età imperiale, fino ai ciclopici blocchi di tufo delle Mura Serviane (quelle dei re di Roma), alla felice scoperta di resti dell’epoca arcaica tra il IX e l’VIII secolo a.C.
Con il nuovo allestimento che espone per la prima volta tutti i reperti rinvenuti negli ultimi sei anni, saranno visibili anche gli scheletri di un uomo, di una donna e di una bambina risalenti al XI o VIII secolo a.C. che testimoniano l’occupazione di quest’area già nell’Età del Ferro.
Per il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini l’importante restauro che ha consentito di realizzare uno studio stratigrafico “è il frutto di una collaborazione istituzionale importante tra l’Opera Romana Pellegrinaggi, il Ministero, il Comune, che è davvero quello che dovremmo fare. Insomma, lavorando insieme si possono davvero fare tutte le valorizzazioni, si possono superare i confini delle diverse proprietà e restituire al mondo un luogo straordinario come questo”.
L’Opera Romana Pellegrinaggi gestirà il sito e la visita, prenotabile su www.orp.org, sarà arricchita da un percorso multimediale che prevede anche l’uso di tablet sui quali si potrannp vedere le ricostruzioni degli ambienti originari. Con l’inaugurazione si aprirà anche un nuovo varco per entrare al Foro romano dal lato del Campidoglio. Un accesso che vuole rendere il Foro e il Palatino luoghi sempre più accoglienti per visitatori e turisti. Successivamente saranno attivate anche le uscite a San Teodoro e al Clivo Palatino, che rientrano nel progetto che mira ad accrescere l’offerta culturale di Roma nell’area archeologica centrale.
Come arrivarci? Venendo da piazza Venezia e imboccando via dei Fori Imperiali si accede da Clivio Argentario dietro il Vittoriano, proprio alla base della Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. All’entrata c’è il nuovissimo museo hi tech e la storia affascinante di Roma che affonda nel passato più leggendario.