L’opera di Llewelyn Lloyd (1879 – 1949) rivive nella mostra ‘Lloyd. Paesaggi toscani del Novecento’ allestita a Villa Bardini fino al 7 gennaio. Sono raccolte 60 opere dell’artista provenienti da 27 diverse collezioni private di tutta Italia (specie da Firenze e Livorno, ma anche da Roma, Milano, Viareggio e Reggio Emilia) e da collezioni pubbliche come la Galleria di Arte Moderna di Roma, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la Pinacoteca civica del Comune di Forlì, la Pinacoteca Civica “Foresiana” di Portoferraio (Isola d’Elba), la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e la Fondazione Livorno, le Gallerie degli Uffizi Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti.

La mostra ripercorre il cammino artistico Llewelyn Lloyd, di origini gallesi, ma livornese di nascita, che giunge a Firenze alle soglie del Novecento, dopo la formazione a Livorno e seguendo l’ideale artistico e morale di Giovanni Fattori. Nelle sue opere il tema sempre presente è il paesaggio ed in particolare le luminose vedute dell’Isola d’Elba.

Dalle albe rosate e dai tramonti infuocati del Divisionismo, in ampie raffigurazioni di campagne o affacci marini, si seguono, nelle sezioni successive della mostra, le costanti ricerche formali impostate su studiati rapporti cromatici ed equilibri compositivi che dimostrano come di fatto il pittore, sebbene affondi le sue radici nella cultura Macchiaiola, debba essere considerato a pieno titolo un esponente della pittura italiana del Novecento.

Quando nel 1948 Llewelyn Lloyd scriveva la presentazione alla mostra dedicata allo scomparso amico Oscar Ghiglia, esordiva definendo un errore il considerare la sua pittura come una “derivazione macchiaiola”, dichiarandolo “invece un vero pittore del Novecento”.

In tale sforzo di ristabilire la definizione storica e critica dell’artista cui era stato a lungo legato, affettivamente, ma anche culturalmente, è da leggersi l’urgenza avvertita dallo stesso Lloyd di una riconsiderazione anche sulla propria posizione. Lloyd moriva poco dopo, il 1 ottobre 1949.

Alcune mostre retrospettive gli venivano subito dedicate a Firenze e Livorno (1951), alcuni “omaggi” alla sua pittura venivano organizzati negli anni Sessanta e Settanta. Nel frattempo si faceva strada la definizione di “Postmacchiaioli” che, nello sforzo di recuperare alla critica la generazione di quegli artisti che erano nati in Toscana sotto l’egida delle grandi personalità di Silvestro Lega o Giovanni Fattori, disinteressati alle istanze del Futurismo ma protesi ad altri linguaggi della modernità, metteva in luce la loro complessa e contraddittoria situazione.

Mentre personalità dal linguaggio fortemente individuale vengono in questi anni sempre più riportate all’attenzione della critica e del pubblico nella loro luce novecentesca (come Mario Puccini, Moses Levy, Plinio Nomellini, ad esempio; manca ancora Oscar Ghiglia), ecco che anche l’opera di Llewelyn Lloyd, spesso relegata a un àmbito esclusivamente regionale e ancor più spesso considerata un’appendice della pittura macchiaiola, viene proposta da questa mostra come un tassello della vasta e articolata cultura italiana di primo Novecento, seppur espressione di una modernità radicata nella storia.

Il rapporto con la tradizione artistica toscana per Lloyd è stato infatti dinamico, nei termini di una “rilettura” critica: ha derivato la sua pittura dai problemi formali posti dalla Macchia, ma l’ha vivificata e rinnovata innestandovi scelte cromatiche e compositive scaturite dalla conoscenza dei moderni sviluppi della pittura italiana e internazionale.

Alla grafica, aspetto importante nel procedimento creativo dell’artista – ma pressoché sconosciuta al pubblico – è dedicato un piccolo ma significativo spazio. I disegni sono raccolti in un “angolo” di intimità domestica ad attestare come per Lloyd i ritratti prediletti fossero quelli dei familiari e gli interni dello studio o della casa.

Una piccola sezione, nell’affaccio che villa Bardini offre sull’Arno, è infine dedicata a esemplificare l’interesse che il pittore nutre negli anni Trenta per le vedute fiorentine o per quei luoghi dove la città digrada verso le campagne, lungo il corso dell’Arno o i margini del Terzolle, del Mugnone o dell’Elsa. È da questo momento che la sua pittura si ripiega, quasi nostalgicamente, verso quella pittura Macchiaiola che fino ad ora aveva rappresentato una corroborante matrice di ricerca di problemi formali pienamente novecenteschi

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