Impossibile non averlo mai assaggiato, il limoncello (o limoncino), è uno dei liquori home made (la ricetta è facilissima, da eseguirsi comodamente anche a casa con tempi di preparazione piuttosto rapidi, circa 80 giorni), più conosciuti in Italia.
Le origini, però, del liquore, sono oltremodo misteriose e come sempre accade le scuole di pensiero, sono tante. Alcuni ricordano l’uso dei pescatori contadini di bere un po’ di liquore di limone al mattino per combattere il freddo, altri parlano di monaci laboriosi intenti a conservare, nelle segrete delle loro celle meditative, il “buono” del succo di limone, abbinato allo spirito, un po’ meno santo, di quello pregato. Cosicché, oltre ai dolci, le conserve e quant’altro di buono circolava nei secoli bui, anche gli infusi più diversi, ottenuti con le fragole, il mirto, il mandarino, la noce, il limone appunto, erano produzione comune nei conventi costruiti tra le rocce e il mare, preparati con certosina pazienza.
Sia come sia, nelle case è sempre stata diffusa l’abitudine di conservare nella credenza qualche bottiglia di fragolino, nocillo e limoncello, anche se il suo successo, non può che dirsi recente.
Non dimentichiamo come il fine pasto, fosse costituito dalla sambuca o da qualche amaro, poi negli anni ’80 la grappa è stata capace di allontanare i profumi del mare e di oscurare la luce del sole mediterraneo: sbaragliò tutti i concorrenti grazie all’idea di distillare mono vitigni e trasformare le bottiglie creando piccoli capolavori. Fu così che il fuoco contadino del Nord conquistò le ambite ed eleganti tavole meridionali.
E dunque, come è nato il successo del limoncello, quale il suo segreto? Semplice, il frigorifero. Provate a bere un rosso freddo o un bianco a temperatura ambiente, degustateli poi a temperatura di servizio ed ecco come lo stesso vino cambia completamente i profumi e il sapore.
Poco più di dieci anni fa qualcuno, non sappiamo bene chi ma abbiamo fondati sospetti, infila una bottiglia di liquore di limone nel frigo del suo ristorante e la offre alla fine del pasto. Il successo è immediato perché si ha la sensazione di bere in un sorso tutto il territorio più bello del mondo.
È, insomma, tutta questione di gradi e il liquore di limone diventa limoncello. A bassa temperatura la sensazione dolce viene avvolta dalla freschezza che esalta l’aroma agrumato e che costituisce proprio la tipicità irripetibile.
Nessuna aggressiva e sofisticata campagna di marketing, solo il passaparola che comincia nei primi anni ’90. Da Capri e dalla Costiera dove a contendersi la paternità del liquore fresco e intenso sono i Sorrentini, gli Amalfitani ed i Capresi, la moda arriva ben presto Milano, dove lo chiamavano limoncino, poi scende a Roma (er limonello) e infine, poco dopo rieccolo a Napoli dove i bar del centro cominciano ad esibire orgogliosamente le allegre bottiglie piene di oro giallo liquido.
Così l’Italia è di nuovo unita alla fine del pasto: il whisky torna in discoteca, l’amaro in convento e la grappa si ritira al Nord, povere nuove minoranze alcoliche.
Addirittura, nel 2000, l’Istat inserisce il limoncello nel paniere usato per calcolare l’incremento mensile dell’inflazione: una specie di consacrazione per la sua diffusione.
Tutti lo bevono, ma sicuramente un intenditore non ha difficoltà a distinguere la qualità, il prodotto artigianale da quello industriale. La regola vale per tutti i prodotti tipici, limoncello compreso: la differenza è fatta dal limone. Un “distinguo” molto importante anche per la salute perché, per fare questo liquore, ottenuto appunto dalle scorze del limone, è indispensabile essere sicuri della provenienza degli agrumi che in alcun modo devono essere trattati con prodotti chimici antiparassitari.
Non solo. La differenza sta nel gusto, determinato dall’agrume utilizzato: di Massa Lubrense (forma ovale, buccia liscia, molto succoso), di Sorrento (con buccia a punti in rilievo), di Amalfi (forma affusolata, grandi dimensioni, buccia gialla e spessa, quasi privo di semi). Molte sono le varietà di limoni utilizzate per la produzione del liquore e ciascuna si caratterizza per l’intenso aroma degli oli essenziali, ereditati dall’ambiente, che porta con sè la buccia gialla.
L’unicità di questi agrumi, infatti, è determinata dal microclima, dalla vicinanza al mare e dalla protezione dai venti freddi grazie all’impiego delle tradizionali poste a copertura su pergolati di pali di castagno.
Per indicarlo sulle etichette delle bottiglie si usano infinite denominazioni, visto che quella originaria, Limoncello, è un marchio registrato dall’imprenditore Massimo Canale a Capri che nel 1988 ne iniziò la produzione artigianale: nettare o infuso di limoni, limonino, limonello e mille altre. Nome a parte, la sostanza non cambia a patto che si usi la materia prima proveniente della Terra delle Sirene, e questo (acquirenti ricordatevene leggendo l’etichetta) è garantito unicamente dalla Indicazione Geografica Tipica riconosciuta alle coltivazioni della Penisola Sorrentina.