Lidia Bastianich non ha bisogno di molte presentazioni. Nata Matticchio e trasferitasi nel 1958 negli Usa, si è fatta conoscere negli anni, sia negli Stati Uniti che in Italia, prima come chef, poi come volto noto della televisione. Dal lontano 1971, anno in cui aprì il primo ristorante a New York è passata davvero tanta acqua sotto i ponti e non a caso ora si trova a capo di un impero della ristorazione che conta ristoranti in tutto il mondo e partecipazioni in altre attività come Eataly. 
Ha contribuito, insieme alla sua famiglia, a cambiare la percezione della cucina italiana, considerata non certo raffinata ai suoi esordi e invece diventata molto ricercata oggi, e per certi versi esclusiva. La partecipazione a Junior Masterchef Italia l’ha definitivamente consacrata al grande pubblico italiano, nel solco del frizzante figlio Joe, altra icona amatissima nel Belpaese. La sua famiglia come da tradizione italiana, ha sempre avuto un ruolo fondamentale sia nella sfera privata che lavorativa. Lidia, infatti, si considera molto fortunata ad averne una grande e molto unita. 
 
Lidia Bastianich oggi la cucina italiana è sinonimo di raffinatezza anche se quando lei ha esordito non era esattamente così. Quanto ha influito il suo lavoro e quello della sua famiglia in questo processo?
Quando abbiamo aperto il primo ristorante nel ‘71, la nostra era una cucina italoamericana, quella degli emigrati, che è ben diversa dalla cucina italiana tradizionale. I prodotti originali non li avevamo e dunque con i prodotti disponibili si cercava di avvicinare i nostri piatti ai sapori della tradizione. Nei primi dieci anni di attività, comunque, ho cercato di inserire nel menù la polenta, il risotto, e la iotta. 
Solo nel 1981, nel nuovo ristorante Felidia, ho introdotto la cucina regionale italiana. E’ da quel momento che anche da parte della stampa si è registrato un grande interesse a scoprire un modo di cucinare così diverso dalla cucina fino a quel momento riferibile agli italiani immigrati. Oggi in tutti i nostri ristoranti presentiamo una cucina italiana regionale, grazie anche alla disponibilità di quasi tutti i prodotti tipici che arrivano con facilità.
 
Lei è il simbolo della cucina autentica, genuina. Quanto è importante distinguere un prodotto originale da un “italian sounding”?
Ritorniamo ancora agli anni ‘70; gli “italian sounding” sono nati dalla volontà degli immigrati italiani di avere un prodotto il più possibile simile all’originale. Dunque bisognerebbe insegnare agli americani quali sono i veri prodotti originali. Gli americani adorano tutto ciò che è italiano e sono disposti a spendere pur di trovare un ottimo prodotto. 
Nel mio show, che conduco da ormai 18 anni, spiego quali sono i prodotti genuini e il loro processo che li rende così esclusivi come, per esempio, l’utilizzo di sette botti con legni differenti per fare l’aceto balsamico. Si tratta quindi di insegnare ai telespettatori che cosa è originale e, allo stesso tempo, bisognerebbe formare i venditori che hanno più probabilità di vendere questi prodotti.
 
Attaccamento alla famiglia, cucina come senso di appartenenza ed un immancabile garbo. E’ apprezzata tanto negli Stati Uniti quanto in Italia. I fan italiani possono sperare di rivederla alla conduzione di un programma tutto italiano?
Ho condotto due edizioni di Junior Masterchef Italia e mi sono divertita tantissimo, ma se dovessi pensare di insegnare la cucina italiana agli italiani mi sentirei un po’ fuori luogo, semmai verrei in Italia a imparare per poi insegnare agli americani le nuove conoscenze.
 
Lei ha scritto tanti preziosi libri di gastronomia italiana ed ora è in uscita l’ultimo (Lidia’s Mastering the Art of Italian Cuisine) che ha scritto con sua figlia Tanya. In che cosa si differenzia quest’ultimo dagli altri?
Potrei definirlo un po’ retrò perché non ci sono immagini accattivanti o effetti particolari, anzi non c’è neanche una foto, ma solo disegni. Nelle prime cento pagine ho scritto la mia filosofia sul cibo e com’è nata la mia passione. 
Poi ho voluto rendere noti prodotti sconosciuti agli americani come per esempio i carciofi che gli americani solitamente non considerano, suggerendo il modo di pulirli e cucinarli. In un altro capitolo spiego le tecniche di cottura come il fritto, il brasato, l’arrosto umido e asciutto ecc. Queste tecniche possono essere utilizzate sia per cucinare le oltre 400 ricette presenti nel libro che altre. 
Alla fine del libro c’è un glossario che fa chiarezza su termini già abbastanza conosciuti. Si capirà per esempio qual è la differenza tra una trattoria e un’osteria. Spero che diventi un punto di riferimento transgenerazionale. 
Tra le comunità italoamericane c’è un grandissimo senso di appartenenza alle tradizioni e il cibo ha sempre fatto da collante e da aggregatore.
 
Che cosa non doveva proprio mancare nelle ultime festività sulle tavole degli italoamericani o, più in generale, dei lettori de L’ItaloAmericano?
Tradizionalmente in America la vigilia è molto sentita e sicuramente non dovevano mancare prodotti tipici come il prosciutto, il capocollo, il grana, i sottaceti per gli antipasti, mentre per i primi non poteva mancare la pasta fresca. Io per esempio ho fatto un brodo di cappone con gli agnolini. Un’altra cosa che doveva essere presente sono i vini italiani.
 
Che cosa si augura Lidia Bastianich per il 2016?
Io ho lavorato molto, ma sono stata molto fortunata. Ho una bellissima famiglia, due figli, cinque nipoti, mia madre ha 95 anni. Ho avuto il privilegio di essere nata in Italia e di vivere in America, quindi di avere due culture meravigliose; quello che mi inquieta e per cui spererei in una positiva soluzione, sono gli avvenimenti che vediamo ogni giorno in televisione. Penso ai migranti, all’instabilità di certi Paesi, al fatto che non tutti hanno accesso al cibo. 
 
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