Forse L’Aquila non sarà una Pompei di montagna ma l’Abruzzo aspetta il suo moderno Vate, 150 anni dopo D’Annunzio
A L’Aquila, basta uscire per una passeggiata nel centro storico, cioè nella zona che va da Piazza Battaglione Alpini a Porta Napoli e dintorni, ed i pensieri di fine ed inizio d’anno scorrono facilmente, osservando i cantieri ed i cartelloni ad essi apposti.
Finalmente nel centro storico si vedono in giro tanti cantieri aperti ed operanti, i cartelloni parlano di sostituzione edilizia nel caso di abbattimento e ricostruzione, oppure di ripristino dell’agibilità e miglioramento antisismico, con la data di inizio e fine lavori, oltre all’importo della spesa prevista. Dobbiamo sperare che non si fermino.
Tutto questo accanto a parecchie inaugurazioni, cito quelle recenti del nuovo Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università dell’Aquila sistemato negli edifici del vecchio ospedale San Salvatore, la nuova Porta Napoli ed il Palazzetto dei Nobili restaurati e restituiti alle funzioni originarie dopo i danni del sisma.
Inoltre, la presenza di numerosi ed attivi cantieri in palazzi d’abitazione situati nelle zone di Corso Vittorio Emanuele e dintorni, Via Castello, Via Garibaldi e Viale Francesco Crispi consentono anche ai più scettici di ritenere che qualcosa di buono stia rinascendo e che forse l’Aquila, almeno in parte, non sarà una Pompei di montagna.
Aggiungo l’inizio dell’attività del nuovo teatro nel Parco delle Arti, nella zona di Monticchio, che dà, ancora una volta, la percezione concreta dell’esplosione della città in mille frammenti pulsanti di vita e di luci, che, sebbene lontani dal centro storico tradizionale, arricchiscono la popolazione di servizi ed opportunità.
Per analogia il pensiero corre al disastro del terremoto avvenuto in Giappone all’inizio dell’anno che se ne va, quello della tragedia della centrale nucleare di Fukushima, per cui mi pare do-veroso ricordare che il disastro ed i morti furono dovuti più allo tsunami che allo scuotimento forte e prolungato della terra.
È nota l’immagine dei grattacieli di Tokyo dove tutto oscillava a lungo senza crollare, mentre la gente fuggiva all’aperto, con la calma dovuta al senso di sicurezza personale che viene dalla consapevolezza di vivere in una città sicura. E corre anche all’uragano Sandy che ha distrutto vaste fasce della zona di New York, creando una qualche strana analogia con la città dell’Aquila, citata per questo in un lungo, recente articolo pubblicato sul New York Times.
Da notare che è stato rieletto sindaco dell’Aquila, col ballottaggio, Massimo Cialente, dopo una campagna elettorale caratterizzata dalla candidatura di un folto gruppo di aspiranti sindaci, ognuno con la propria tifoseria e ricetta di rinascita della città. La battaglia finale, senza esclusione di colpi, si è svolta fra il sindaco uscente e lo sfidante Giorgio De Matteis, le cui continue accuse all’avversario sono evidentemente passate senza lasciare tracce rilevanti sull’elettorato aquilano, in genere apparentemente indifferente e forse pigro, in realtà di carattere roccioso, saldamente attaccato ai propri convincimenti.
Ricordo che nell’anno che viene c’è una speciale ricorrenza in Abruzzo, che susciterà torrenti impetuosi e vasti fiumi di parole parlate e scritte: sono 150 anni dalla nascita del Vate, Gabriele D’annunzio (Pescara 12 marzo 1863- Gardone Riviera 1 marzo 1938).
Non sono una lettrice professionista, leggo per hobby e per diletto in italiano ed in inglese. Del Vate ho letto poco o nulla, però ho ricordi di scuola, che mi consentono di dire che ha dato all’Italia ed al mondo l’immagine di un Abruzzo come terra di pastori transumanti, con tradizioni barbare ed arcaiche, im-magine che ancora resiste nella cultura popolare.
“Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori Lascian gli stazzi e vanno verso il mare…E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente…
Ah, perché non son io cò miei pastori?”
Un io poetico di maniera, non certo quello autentico del vate, genio grandissimo, amante di avventure vissute in mondi ben diversi. Come non ricordare le sue innumerevoli storie ed avventure vissute nel bel mondo italiano?
Resto in attesa che spunti fuori dalla terra d’Abruzzo un nuovo Vate, straordinariamente ricco di creatività e di parole, che dia della nostra terra un’immagine attuale, fatta di evoluzione e trasformazioni del territorio e della gente che lo abita.
In conclusione mi piace riportare la spiritosa nota scritta in calce all’edizione della poesia sopra riportata, trovata in internet: se non fosse per il fatto che questa poesia nel suo complesso tratta della nostalgia per la terra natia, coglierei i primi versi come un velato invito a transumare anch’io altrove.